Calabria. L’ultima carta di Robertino: scalare il partito per restare “in libertà”

Che Robertino stia tentando la scalata all’interno di Forza Italia non è certo una rivelazione: è semplicemente una mossa ampiamente prevedibile, perché è l’unica che gli resta per provare a risolvere i suoi ineluttabili problemi giudiziari. La realtà è lineare e non servono analisti per comprenderla: quando un politico è alle strette, tenta di salire più in alto possibile nella gerarchia, nella speranza che il prestigio del ruolo diventi uno scudo.

Dopo aver vinto la sfida tutta interna al centrodestra — soprattutto contro Fratelli d’Italia, che sperava in un risultato diverso per ridimensionare l’accentratore di intrallazzi, vera causa del conflitto con Occhiuto — e dopo aver ribadito che la Calabria è la sua roccaforte, il passo successivo non poteva che essere quello: trasformare il feudo politico in una piattaforma di lancio nazionale. Una logica conseguenza della sua strategia di sopravvivenza.

A questo punto, anche alla luce delle sconfitte del centrodestra in Campania e in Puglia, e con la Calabria rimasta uno dei pochi baluardi al Sud, per Robertino avviare la scalata dentro Forza Italia è stato un gesto naturale. Sono mesi che lavora sottobanco alla creazione di una rete di fedelissimi pronti a registrare ogni suo movimento in vista dell’OPA interna. Da quando è stato eletto non fa altro che spostare equilibri, tessere relazioni trasversali, promettere posti, offrire fedeltà selettive: tutto in funzione della scalata. Altro che rinnovamento liberale: qui l’unico rinnovamento è quello della sua posizione di potere, indispensabile per restare in piedi.

Questa scalata non nasce da un’elaborazione ideale, né da un rinnovato afflato culturale. Nasce dalla necessità. Nasce dall’urgenza. Nasce dal fatto che Robertino sa perfettamente che senza un ruolo nazionale di peso non ha alcuna leva utile nei confronti della Meloni, da sempre vicina ai suoi colonnelli calabresi — Orsomarso e Ferro — promotori del fuoco amico contro di lui, nella speranza di costringerla a intervenire sulla Procura di Catanzaro, l’unico vero problema di Robertino. E questo perché è ormai chiaro che l’inchiesta su Occhiuto è stata invogliata proprio da Fratelli d’Italia, e quindi l’unica in grado di risolvergli il problema. Ma mentre questa partita politica si consuma, sul fronte giudiziario il quadro si sta ridefinendo in modo ancora più delicato.

Con la proroga d’indagine già notificata a fine giugno, la Procura sta arrivando alla fase decisiva del lavoro e non ha alcuna intenzione di archiviare. Al contrario: tutto lascia intendere che l’obiettivo sia quello di far confluire in un unico fascicolo l’intero quadro delle contestazioni — la truffa ai danni della Comunità europea, la corruzione contestata a Occhiuto, Ferraro e Posteraro, e soprattutto l’altro filone, quello ben più esteso, legato alla sanità regionale.

Se questa confluenza avverrà, nel nuovo fascicolo entreranno anche le pressioni sugli uffici della Regione, le nomine pilotate, gli incarichi, gli interessamenti per favorire cliniche private e l’intero sistema di relazioni che gli investigatori hanno documentato negli ultimi mesi. Una visione d’insieme che ricompone il mosaico: non episodi isolati, ma un metodo. Ed è questo che Robertino teme: un’indagine unificata che fotografa il sistema nella sua interezza, e per evitarla la scalata non è un’opzione: è la sua ultima via di fuga. Una via di fuga che somiglia più a un tentativo disperato, perché ora, più che mai, la Procura dovrà dimostrare di aver svolto un lavoro investigativo solido, tale da giustificare l’avvio dell’azione giudiziaria nei confronti di Occhiuto e, soprattutto, di essere davvero autonoma rispetto al potere politico.

Il primo appuntamento della scalata è fissato per il 17 dicembre, a Palazzo Grazioli, il giorno in cui Occhiuto presenterà al partito la sua nuova “creatura” politica, battezzata non a caso “In libertà”. Un titolo che suona più come una speranza che come una condizione.