di Saverio Di Giorno
Uno degli indagati nell’ultima operazione della Procura di Paola, un architetto diamantese che si avvalso della facoltà di non rispondere, risulta iscritto alla “Gran Loggia A.L.A.M.”. Una loggia regolare che ha sede a Roma a Palazzo Vitelleschi. Dunque un’indagine che tra le altre cose riguarda la costituzione di una loggia segreta, sfora nel campo di quelle regolari. Non è la prima volta che il confine tra obbedienze regolari e deviate diventa invisibile. Non è una novità per la Calabria: sulla questione aveva già indagato a lungo Agostino Cordova. Ma non è nemmeno una novità per la cittadina di Scalea. Un episodio che è sorprendentemente legato all’indagine nuova e permette di parlare di una categoria poco approfondita: le “mele marce” in divisa.
Nel 2007 Woodcock indagava su un gruppo di persone legate alla massoneria. Nell’indagine compariva anche la loggia Oreste Dito numero 326 con sede a Scalea appunto. Questa indagine poi si chiude, ma sulla loggia se ne sa di più per un altro episodio immediatamente precedente i fatti “Plinius”. Questa loggia infatti fa riferimento a una più grande loggia francese “Grande Loge Traditionelle et Symbolique Operà Francese”. Lo si sa perché nel mezzo di una perquisizione all’ex comandante Castrenze fu ritrovato nel suo cassetto chiuso a chiave un documento consegnatogli da un altro appartenente alle forze dell’ordine Mario Saullo. Tra gli altri vari atti che aveva deciso di tenere sotto chiave vi erano delle denunce dell’avvocato Battista Greco. Sentito in merito conferma: “queste cose le confermai anche nel processo militare che si tenne” e poi aggiunge che ricorda che le denunce riguardavano ipotesi di reati che riguardavano l’amministrazione di Diamante e rientravano personaggi come il pm Franco Greco. I documenti della loggia, di cui si è venuti in possesso oltre ai regolamenti dell’obbedienza contengono anche i nomi degli appartenenti (di tutta Italia) e in qualche caso vi sono collegamenti con alcuni soggetti attenzionati di recente.
Castrenze prima condannato poi prosciolto non era affiliato. Lo era Saullo. Il ruolo degli uomini delle forze dell’ordine infedeli è uno degli aspetti meno esplorati. Si parla spesso dei colletti bianchi, dei professionisti, ultimamente dei magistrati, ma poco di questo lato che non può esserne escluso perché se depistaggi, intercettazioni sparite e fascicoli bloccati ci sono, questo può essere possibile anche grazie a uomini che disonorano la loro divisa. E se per i primi ormai si parla di massomafia, deve parlarsene anche per questi infatti consapevolmente o meno agiscono di concerto con queste logge. Ma la responsabilità diviene ancora più grande se chi denuncia viene poi trasferito o passato ad altre mansioni o viceversa se chi deve sollevare dagli incarichi non si accorge di queste situazioni.
Sull’alto Tirreno più volte sono stati segnalati alla redazione questi casi, ma vale anche per alcuni di questi soggetti spostati in ruoli delicati con il lasciapassare del generale Mariggiò secondo quanto si legge nella “memoria difensiva” al tribunale di Napoli. Altri casi sono i militari finiti in intercettazioni dell’indagine Frontiera e prima ancora Cartesio (gestita da Luberto). Il caso dell’omicidio Bergamini è altrettanto grave: “il 4 ottobre 2012 il comando legione carabinieri Calabria, su richiesta del comando provinciale carabinieri di Cosenza ha trasferito d’ autorità ad altre sedi di servizio proprio tutti gli investigatori del nucleo investigativo che si stavano occupando delle odierne indagini sul caso Bergamini” gli stessi che l’anno prima erano “stati contemporaneamente ed improvvisamente trasferiti ad altre sedi ed incarichi, in via provvisoria, dal comandante provinciale di Cosenza, mentre stavano occupandosi delle importanti indagini afferenti alla ricerca di un pericoloso latitante di ‘ndrangheta (Ettore Lanzino, ndr)”. I rapporti portavano la firma dell’allora colonnello Franzese. Denis Bergamini non ha ancora ottenuto giustizia.
Al contrario nella stessa procura (di Castrovillari) per altre recenti indagini secondo quanto ci è stato riferito il trasferimento non è invece avvenuto per alcuni funzionari nonostante ripetutamente richiesto al ministero anche dalla procura generale diretta dal dott. Lupacchini. A proposito di quest’ultimo, ultimamente impegnato in due procedimenti (uno davanti al CSM e uno al tribunale di Salerno), è interessante sottolineare un pedinamento avvenuto da Cosenza a Napoli da parte di un’automobile di servizio.
C’è poi da ricordare il caso di Stefano Dodaro finito al centro di rapporti e inchieste. Capo della squadra mobile di Cosenza vicino ai Morrone, al pm Luberto e di qui a Spagnuolo. Le accuse parlano di soffiate passate nelle procure. Le coperture che arrivano dai pm non possono che poggiare sugli infedeli in divisa. È un caso che una volta venute meno le coperture (leggasi Luberto) si è potuti arrivare ad altri politici che erano rimasti fuori da altre indagini (ad esempio Mario Russo)? È andata meglio a chi era finito nelle indagini di Castrovillari.
Ma il discorso delle divise vale anche per Catanzaro. Le critiche a Gratteri provengono da chi meno se le può permettere (avvocati e magistratura democratica). Bisogna averlo seguito attentamente e riconoscerne innegabili meriti, ma anche alcuni limiti che appaiono sinceramente inspiegabili. Il suo limite più grande è la provincia di Cosenza almeno finora. Il dubbio è che molti dei suoi limiti dipendano dai suoi collaboratori. A chi lo segue molto attentamente il nome di Ercole D’Alessandro, altro uomo in divisa arrestato nel corso dell’operazione “Basso Profilo”, suggerisce qualcosa e rimuginandoci sopra viene in mente il suo libro “Fratelli di Sangue”. Ecco chi ringraziava calorosamente.
O lui quindi è a conoscenza di reati, ma crede ai suoi collaboratori, oppure gli nascondono molte carte. O è strategia. Tra i ringraziati vi è anche il capitano Gerardo Lardieri, altro uomo in divisa la cui posizione meriterebbe chiarimenti in relazione alla vicenda Facciolla.
Fin dove possa arrivare la commistione tra la divisa e la criminalità e quanto spesso una divisa sia anche coperta da un cappuccio è difficile dirlo anche per la forte coesione interna tra le divise. Ma soprattutto bisogna stabilire quanto in questi episodi siano coinvolti i vertici delle rispettive forze. Un’operazione di pulizia che dovrebbe avere un’iniziativa interna. In una terra in cui i carabinieri sono “sbirri”, la difesa dell’immagine è parte del lavoro già difficilissimo delle forze dell’ordine sul territorio.