Il giornalista Agostino Pantano ha avuto modo di tornare sulla vicenda relativa al suo rapporto con LaC news all’indomani del provvedimento della questura di Vibo, che ha sequestrato 26mila euro e rotti agli editori per le questioni legate alla cassa integrazione. Lo ha fatto con due distinti post. Il primo, di carattere generale, il secondo di replica ad una nota dell’azienda.
dalla pagina FB di Agostino Pantano
Non penso proprio che una Procura, e un Gip, autorizzino il sequestro di apparecchiature tese solamente a garantire l’integrita’ del bene aziendale – computer e telecamere etc etc – e per proteggerlo dai ladri; e non penso proprio che una Questura dia credito con superficialita’ a quanto dichiarano dei denuncianti, ovvero senza svolgere approfondite verifiche: poi, e’ chiaro, e’ giusto che l’indagato si difenda – mettendoci la faccia, sarebbe meglio visto che siamo in tv – e senza ordinare compilazioni ambigue (fiducia nella magistratura, ricostruzioni illogiche etc etc) ad estensori anonimi.
In ogni caso, tengo come sempre aperti i miei armadi – per l’ulteriore caccia “agli scheletri” che certamente ordineranno – e fisso almeno due punti nuovi: (1) Il senso di impunita’ e’ crollato (2) di questa storia fin qui non gliene frega niente a nessuno, tranne a noi che la subiamo, a qualche testata nazionale prestigiosa che la racconta facendo nomi e a qualche collega che si indigna.
commento a margine: moriro’ povero e solo, questo gia’ lo so, non arrivero’ alla pensione – a 3 fallimenti editoriali che ho alle spalle si aggiunge quest’altra “grana” dai tempi lunghi che mi inquieta – ma una cosa e’ certa: ho sempre fatto quel che era giusto fare e questo pensiero mi e’ dolce.
HO DENUNCIATO LA SOSPETTA CASSA INTEGRAZIONE DEL MIO EX DATORE DI LAVORO, HO DIRITTO DI REPLICARE ALLA NOTA AZIENDALE CHE MINIMIZZA IL SEQUESTRO A MIA TUTELA: RADIOGRAFIA DI UNA COMUNICAZIONE VERGATA DA “MENTI RAFFINATISSIME”. SVEGLIA, SVEGLIA, SVEGLIA !!!
Essendo partita da una mia denuncia, la parte dell’inchiesta su Diemmecom relativa alla cassa integrazione pagata dallo Stato – a fronte di prestazioni lavorative che io ho garantito con orari e buste paga di sempre – mi sento chiamato in causa dalla nota aziendale con cui si commenta i sequestri autorizzati dal Gip di Vibo Valentia, nella parte in cui si tenta di minimizzare l’accaduto adducendo come prova il fatto che la somma congelata – 26mila euro e rotti – e’ di gran lunga inferiore alle disponibilita’ economiche del gruppo (foto 1).
Siccome conosco il professionista che potrebbe aver consigliato questo tipo di versione legale, non commento oltre e lascio alla valutazione di tutti questa difesa: come se in attesa di una sentenza per un incidente stradale, al grande gruppo assicurativo – secondo loro – bisogna sequestrare tutti i conti milionari che ha in giro per il mondo e non quella parte che servirebbe a risarcire la vittima del sinistro, se il giudice ammettera’ che e’ morto e l’assicurazione deve pagare.
Siamo all’abc della procedura legale e non posso pensare che chi ha dato il via libera alla pubblicazione della nota aziendale, non si sia accorto dell’enormita’ di quanto asserito: e’ stata sequestrata quella somma e non altre perche’ quella sarebbe la cifra frutto di un ammortizzatore sociale che ha coperto soli due mesi.
Vi e’ poi un’altra parte della comunicazione che mi riguarda, quella dove si dice che altri sono i sistemi di controllo sui giornalisti, e tale versione – che utilizzero’ nella parte civile del contenzioso che ora puo’ partire – in questo caso a me pare vergata da un professionista diverso dal primo.
Si ammette che non ci sarebbe bisogno delle telecamere per controllare il giornalista (foto 2), che gli si puo’ impedire di fare o lo si puo’ cestinare dopo che ha fatto: ecco, bravo chi ha scritto, dimostreremo con la mia difesa che questo e’ quello che mi ha spinto ad uscire. Insomma anche in questo caso sono state utilizzate parole troppo emblematiche di un errore grossolano di strategia, e “controllo” e’ una di queste, che stento a pensare che chi le ha usate o autorizzate anche in questo caso voglia il bene dell’azienda: excusatio non petita, accusatio manifesta bastava citare , se ci sono, le sentenze che autorizzano le telecamere a un metro dal lavoro di ingegno oppure dire chiaramente nessuno ha mai utilizzato quelle immagini per fare pressioni psicologiche sui lavoratori oppure ordinare a distanza la caccia…
E che dire poi del terzo passaggio che mi riguarda direttamente, e sul quale qui scrivo per il diritto di replica, dove si dice che emergera’ a breve la ratio del provvedimento (foto 3): e’ come se una inchiesta avesse obiettivi altri e diversi dalla legalita’ e dalla giustizia ?
Qui sembra esserci lo zampino di un terzo e diverso professionista, forse esperto di messaggi in codice che noi comuni mortali non possiamo cogliere, se non frequentiamo redazioni e procure.
Trattandosi di un terzo passaggio che mi sembra anche questo molto emblematico di un momento in cui bisogna capire da dove arriva l’attacco, eppure riportato in una nota ufficiale, la cosa piu’ facile che un giornalista puo’ fare e’ accusare un altro giornalista – per le ricostruzioni che sono state lette su altri giornali giustamente indignati e solidali con me – o scaricare le colpe sul collega giornalista che ha denunciato (io per la mia quota parte), e mai guardarsi dentro, magari nella scrivania accanto, per capire a chi convenga il buio da cui legittimamente tentate di venire fuori.
Una cosa e’ certa: ho rispetto per chi ancora non ha capito, mi suscita un nuovo sdegno chi come si fa nei lutti dei mafiosi e’ il primo che va a casa per le condoglianze: in molti casi questa solidale solerzia serve a coprire la colpa di aver ammazzato lui il mafioso che fa finta di piangere.