“Sotto i colpi d’ascia della sorte, il mio capo sanguina, ma non si china…”
di Luisa Pecora
Avevo tredici anni, ero bruttina e con l’apparecchio, il broncio da sfoderare ad ogni evenienza e qualche sogno chiuso in un cassetto. Nel mese d’agosto con la mia famiglia ci recavamo spesso in Sila, sul lago, sul lato del Lago Cecita che è di competenza del comune di Celico, per intenderci, il lato opposto all’ingresso del Parco Nazionale.
Partendo dal Comune di Rose, passando per la frazione di Lagarò, imboccavamo una delle numerose stradine che scende fin sulle rive del Mucone, per trascorrere una giornata in relax, ad ammirare le bellezze della nostra meravigliosa regione. Quel senso di pace, di serenità, unito alla vista di cotanto splendore, era così strettamente legato alla felicità, a tutto ciò che per un bambino la felicità può significare: la famiglia e gli amici accanto, luoghi aperti dove poter correre spensierati, bagnarsi i piedi, mangiare fino a scoppiare, due calci al pallone, ballare con la musica a palla, ridere fino allo sfinimento.
I ricordi dell’infanzia non ci abbandonano mai, alimentano quella parte di fanciullo che resta sospesa e un po’ dormiente nel corpo e nell’anima di quel ragazzo/a cresciuto/a, che diventa genitore. E nei luoghi dell’infanzia si torna sempre, forse inconsapevolmente, alla ricerca della felicità perduta.
Oggi non ho più tredici anni, ne ho trentasei, sono madre, ho due bambini dolcissimi, e l’amore e il rispetto per la mia adorata terra continua a vivere nel mio cuore. Tre giorni fa abbiamo deciso di trascorrere una giornata in montagna e per sbaglio, per caso o perché il destino ha voluto così, siamo tornati esattamente su quella sponda del fiume che ci aveva ospitati tanti anni fa. La gioia per quel ricordo che si materializzava, si è subito trasformata in disgusto e amarezza per quello spettacolo incivile del quale eravamo diventati spettatori nostro malgrado. Rifiuti ovunque, alcuni raggruppati e altri sparsi: lattine, reti da pesca, bottiglie di vetro, piatti di plastica…
Ne abbiamo raccolti un po’ ma erano veramente troppi. Abbiamo continuato l’esplorazione e dalla pineta ci siamo spostati fin sulle rive del lago, e lì davvero è stato un dolore così grande che non riesco a trovare parole adatte per descriverne l’intensità. Come corollario al tutto c’era un gruppo di persone, accampate con furgoni, materassi, tavoli, tende e coperte, con le canne da pesca, almeno una decina, piazzate, presumo, dalla mattina, e sono rimaste lì fino alle otto di sera, poi siamo tornati a casa. Ho notato che nel pomeriggio dal fondo del lago hanno ripescato una rete con dentro almeno una ventina di pesci.
Il giorno successivo ho deciso di segnalare l’accaduto alla polizia provinciale.
Hanno risposto dicendomi che l’opera di bonifica spetta al comune di Celico, che per quanto concerne la verifica in merito all’ autorizzazione o meno di pescare in quella zona, e i controlli sul possesso dei permessi di caccia, la competenza è della polizia provinciale stessa, e che diverse volte hanno multato gli evasori invitandoli a sgomberare l’area, area che è stata nuovamente occupata a dispetto dei divieti intimati dalle forze dell’ordine. Hanno concluso ringraziandomi per la segnalazione e rassicurandomi in merito al fatto che avrebbero provveduto ad avvisare chi di dovere.
A questo punto mi domando: ma le responsabilità a chi appartengono? Come si può incastrare tale questione, già tanto articolata e complessa, con il solito problema del rimbalzo e della differenziazione delle competenze, soprattutto in seguito al riassetto apportato dalla nuova normativa?
Il Parco Nazionale della Sila fa parte del demanio dello Stato, la questione rifiuti è di competenza comunale, i controlli sui permessi relativi a caccia e pesca nell’area sono di pertinenza provinciale.
Si passano la palla, giocano al rialzo, si ritirano, fanno un nuovo ingresso in scena e nel frattempo il nostro patrimonio viene depredato, inquinato, distrutto.
E intanto i vigili del fuoco, l’esercito e la protezione civile impegnati sul fronte incendi rischiano la vita per tutelare noi, i nostri animali, le nostre case, le nostre terre, i nostri boschi. Mentre la politica, con tutti i suoi rappresentati, agghindati in pompa magna, quando si tratta di celebrare successi, risulta del tutto reticente di fronte a tali fenomeni criminosi.
L’anarchia regna sovrana a causa soprattutto dell’assenza di un garante, di un organismo super partes, di qualcuno che si renda conto che la Calabria è in ginocchio e che occorre un intervento immediato.
Perché parlo di anarchia? Analizziamo i fatti!
Da circa due mesi e mezzo la Calabria sta letteralmente andando a fuoco, per colpa di una politica folle e insensata, basata sul porre rimedio, invece che sul prevenire. Tutta la fascia montuosa silana e la Presila è vittima di quello che pare essere un piano malefico di una associazione a delinquere, con tanto di mandante e d esecutori, nata con lo scopo di distruggere il nostro patrimonio boschivo, per chissà quale interesse economico.
I vigili del fuoco, la protezione civile e l’esercito stanno intervenendo massicciamente per salvare famiglie, case e animali, ma il loro sacrificio non è sufficiente. Gli incendi, oltre a causare la scomparsa di querce, faggi, pini, ulivi, stanno uccidendo numerosi animali, rimasti bloccati senza via di fuga alcuna, a causa della rapidità con cui il fuoco si sta estendendo. Case bruciate, padri di famiglia e giovani uomini che hanno trovato la morte in mezzo ai roghi nel tentativo disperato di domarli. Famiglie sgomberate e alloggiate nelle palestre delle scuole con 50 gradi. Danni ingenti per gli agricoltori calabresi, per il patrimonio paesaggistico, economico, culturale e produttivo calabrese.
Lo scenario che si presenta percorrendo la strada che dal mio paese arriva fino in cima, alle vette più alte della Sila è apocalittico e deprimente, sembra l’inferno. Odore acre di fumo e tutto intorno è nero. Tutto ciò è davvero sconfortante. Allora mi domando, un governo che è capace di stanare i mafiosi nei loro bunker sotterranei come può non essere in grado di piazzare lungo le strade telecamere e posti di blocco al fine di beccare sul fatto gli esecutori materiale di questo disegno scellerato?
Stiamo assistendo ad un vero e proprio scempio, e i piromani continuano ad appiccare un incendio dietro l’altro incuranti, tanto è chiaro, nessuno mai li scoprirà! E mi chiedo se sia giusto che chi ha i mezzi non fa nulla e chi vorrebbe aiutare non può perché non ha i mezzi. E mi domando ancora se alla fine di questa stagione di guerra si aprirà un’inchiesta per trovare e punire i colpevoli o se ancora una volta saremo costretti ad abbassare la testa ed arrenderci, trovarci nostro malgrado ad essere spettatori impotenti di un macabro scenario di morte, fatto di cadaveri e scheletri di case, alberi, animali, persone: ciò che resta del nostro bel paese. L’anarchia è divenuto uno stile di vita, con la complicità di chi dovrebbe vigilare sul rispetto delle regole. Ognuno fa ciò che gli pare, l’apparato coercitivo è carente, assente, incoerente.
Sommersi dai rifiuti, messi al muro dalla minaccia incendi, i canadair che sorvolano costantemente i nostri cieli, siamo sotto assedio, e il governo dov’è?
Visto l’andazzo, viste le mie continue segnalazioni ignorate, non so neppure se valga ancora la pena di indignarsi, cercare sostegno e aiuto o se forse sarebbe meglio gettare la spugna e smettere di credere nella giustizia.
Ma come si può sostituire l’aria della Sila, dei pini secolari, dei faggi e delle querce, dell’aria fresca al riparo dal sole, come si può barattare tutto questo, gli stupendi paesaggi, quello spettacolo meraviglioso che Dio ci ha donato, per qualche spicciolo ed essere felici, e come possiamo noi calabresi abituarci a respirare “il puzzo del compromesso al posto del fresco profumo di libertà”?. La libertà di correre tra i boschi e abbracciare gli alberi, come fanno i miei figli, inconsapevoli e puri, spensierati e felici.
Spero vivamente che qualcuno ci aiuti, lo spero da madre, da cittadina calabrese, da donna del sud, da moglie di un vigile del fuoco.