Calabria, sanità e potere. Chi era Profiti, il “colletto bianco” preferito da Chiesa e Opus Dei: il clamoroso caso dell’attico del cardinale Bertone

Nella tarda serata di ieri è deceduto improvvisamente Giuseppe (Pino) Profiti, conosciutissimo manager della sanità non solo ligure, ma anche della Calabria e del Lazio. Secondo le prime notizie, il 62enne di origini catanzaresi, ma da tanti anni trapiantato in Liguria, in questi giorni si trovava in Puglia, dove era in vacanza. Qui è stato colto da un malore.  Pino Profiti fino all’inizio del 2022 è stato consulente della Regione Liguria sia nel dipartimento della Sanità che in quello del Bilancio e delle Finanze. Aveva condiviso l’incarico con quello similare della Regione Calabria. Nel suo passato oltre la docenza all’università di Genova si ricordano gli incarichi come vice presidente dell’ospedale Galliera quando presidente dell’ente ecclesiastico era l’arcivescovo di Genova Tarcisio Bertone.  Fu proprio il Cardinale diventato segretario dello Stato Vaticano a volerlo al suo fianco, a Roma, come presidente dell’ospedale Bambin Gesù. In Calabria era tornato nel 2022, chiamato dal presidente della Regione come commissario straordinario per la costituzione dell’Azienda Zero.

Giuseppe Profiti, originario di Catanzaro, da circa un anno e mezzo commissario della sedicente Azienda Zero e recentemente “rinnovato” a suon di “barbettoni” (leggi migliaia di euro) fino a dicembre, che si propone nientepopodimenoche di rimettere in piedi la sanità calabrese (!), era uno di quei “colletti bianchi” che ha fatto un po’ di tutto nella vita  – da ex ufficiale della Finanza a presidente del Bambino Gesà a consulente del presidente Toti alla Regione Liguria… – e che aveva le mani in pasta negli ambienti che contano. Chi lo conosceva bene, in particolare, lo inseriva nel ristretto novero degli “eletti” dell’Opus Dei e i suoi rapporti migliori – guarda un po’ il caso – li ha tenuti e li tiene con la Chiesa.

Ha fatto scalpore solo pochi anni fa, tanto per farvi capire di cosa parliamo, il processo vaticano per la ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone pagata proprio da Giuseppe Profiti con i soldi della Fondazione Bambin Gesù (Profiti è stato a lungo presidente di questa Fondazione), che si è conclusa a sorpresa con un cambio in extremis dell’imputazione (ma guarda un po’ il caso…), da peculato ad abuso di ufficio: un solo anno di condanna con pena sospesa per il manager bertoniano, Profiti appunto, e l’assoluzione piena del secondo imputato, Massimo Spina, ex tesoriere della Fondazione. Insomma, la montagna ha partorito il topolino e non sono state accolte le richieste del Promotore di giustizia – il Pm vaticano – che aveva chiesto tre anni per Profiti con l’accusa di peculato.

Sembra quasi che la corte non se la sia sentita di assolvere anche l’ex manager del Bambin Gesù e gli abbia imputato il “minimo sindacale”.

I tanti pagamenti

La vicenda dell’attico di Bertone, ottenuto unendo due appartamenti più piccoli e malmessi nel palazzo adiacente a Santa Marta, è piuttosto intricata e per gli stessi lavori vengono emessi pagamenti da soggetti diversi. L’imprenditore Gianantonio Bandera fa un preventivo di ristrutturazione non certo economico, per 611.000 euro ma pratica uno sconto del 50 per cento e chiede 308.000 euro. Nel corso dei lavori, a motivo del riscaldamento a pavimento e di problemi strutturali, il costo lievita di circa 100.000 euro.

Il Governatorato vaticano, a cui compete la gestione dell’immobile, fa sapere a Bertone la difficoltà a far fronte alla spesa. Profiti decide di farsene carico con i soldi della Fondazione: propone a Bertone, il quale accetta, di concorrere alla ristrutturazione spiegando che la nuova casa sarebbe stata usata per incontri e cene finalizzate a raccogliere fondi per l’ospedale pediatrico. Così Profiti paga a Bandera, tra il dicembre 2013 e il maggio 2014, fatture per 422.000 euro. L’imprenditore esegue anche lavori nelle parti comuni, per 178.000 euro, che devono essere versati dal Governatorato.

Le doppie fatture

Accade però che il Governatorato, oltre a questi 178.000 euro per le parti comuni, versi a Bandera a partire dal giugno 2014 – e dunque dopo i pagamenti già avvenuti della Fondazione – anche 189.000 euro per la ristrutturazione (in realtà già saldata) dell’appartamento. Resosi conto della doppia fatturazione, blocca i successivi pagamenti. Dunque Bandera incassa 422.000 euro dalla Fondazione e 367.000 euro dal Governatorato e così viene pagato due volte per gli stessi lavori. Ma non dice nulla. Il cardinale Bertone restituisce 307.000 euro al Governatorato, e 150.000 come donazione al Bambin Gesù, spendendo così 457.000 euro per ristrutturare un immobile di proprietà del Vaticano. Il Governatorato spende solo 60.000 euro e si ritrova con un immobile il cui valore è accresciuto di 600.000. Profiti non viene condannato per peculato, ma per abuso di ufficio e bisognerà attendere la sentenza per capire quale legge vaticana abbia violato.

Come già accaduto con Vatileaks 2, anche il processo sull’attico di Bertone, più che chiarire, ha lasciato molte domande in sospeso. La più evidente delle quali è quella sul funzionamento degli appalti e dei lavori di ristrutturazione all’interno della Città del Vaticano, nonostante le riforme… Per non parlare del ruolo dei “colletti bianchi” come il signor Profiti. Ormai però passato a miglior vita. Amen.