Calabria, sanità massomafiosa. L’omicidio Fortugno: i punti ancora oscuri e l’ombra dei Servizi segreti

Oggi sono passati esattamente 18 anni dalla morte di Fortugno ed è opportuno non dimenticare. Senza memoria non può esistere futuro. E allora, se vogliamo davvero capire quali sono i mali della sanità in Calabria è più che mai opportuno fare un salto nel passato, alla genesi del commissariamento, per farci un’idea della situazione e per arrivare alla fin troppo facile conclusione che, nella sostanza, ben poco è cambiato. Nonostante nel ruolo di commissari si siano alternati generali dei carabinieri, burocrati, boiardi di stato e ora il parassita presidente di Regione eletto con tutti i voti della borghesia mafiosa. Quella che vi proponiamo in una serie di pubblicazioni è la parte dedicata a “Sanità e corruzione” della relazione della #Commissione #Parlamentare #Antimafia del 2008, quando era presidente Francesco Forgione. L’ultimo vero presidente della Commissione Antimafia, che poi è stata affidata a soggetti del tutto inaffidabili come Rosy Bindi (arrassusia) e Nicola Morra (Diocenescansi). Oggi sono passati esattamente 18 anni dalla morte di Fortugno ed è opportuno non dimenticare. 

PRIMA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-la-genesi-il-caso-crea-centrodestra-e-centrosinistra-nessuna-differenza/

SECONDA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/calabria-e-massomafia-locri-2006-il-sistema-perverso-per-arricchire-i-boss-della-sanita-privata/

TERZA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-locri-convenzioni-e-appalti-nelle-mani-della-massomafia-decine-di-milioni-direttamente-ai-boss/)

QUARTA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-massomafiosa-tutti-i-dipendenti-della-ndrangheta-nellasl-di-locri-quando-la-realta-supera-anche-la-fantasia/)

QUINTA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/la-calabria-e-lonorata-sanita-il-clamoroso-caso-di-villa-anya-e-la-complicita-delle-banche/)

SESTA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/calabria-e-massomafia-le-intercettazioni-di-crea-3-miliardi-e-360-milioni-di-euro-per-la-sanita-7mila-miliardi-di-lire/)

SETTIMA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/calabria-sanita-massomafiosa-dal-sistema-crea-ad-oggi-nulla-e-cambiato-disprezzo-totale-per-la-vita-e-per-il-dolore/)

OTTAVA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/calabria-sanita-massomafiosa-il-caso-vibo-un-triste-record/)

9. Il caso Fortugno

Quello che ha immediatamente colpito gli investigatori intervenuti sul luogo del delitto, gli osservatori esterni, oltre che i mezzi di comunicazione, è stata la scelta delle modalità con le quali è stato compiuto l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese Francesco Fortugno. Modalità altamente spettacolari, inconsuete nella storia della ‘ndrangheta reggina, che nei rari casi in cui ha commesso omicidi eccellenti, ha evitato ogni spettacolarizzazione. Tipico il caso dell’omicidio di Ludovico Ligato, ucciso di notte, nella sua villetta al mare, senza testimoni, così come l’omicidio del sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonino Scopelliti, che avvenne lungo una strada deserta e anche in questo caso senza testimoni.

L’omicidio di Fortugno è avvenuto nell’atrio di palazzo Nieddu, seggio elettorale di Locri per le primarie dell’Unione. Il palazzo si trova in pieno centro storico e il luogo era affollato per l’afflusso degli elettori al seggio, per i giornalisti, i politici, i curiosi presenti. E’ il 16 ottobre del 2005 e l’ora – le 17.30 – è quella di massimo afflusso ai seggi e coincide con il passeggio domenicale lungo le vie del centro. Né si può dire che quella fosse una scelta obbligata e che gli assassini abbiano dovuto sfruttare la prima o l’unica occasione utile. Al contrario, le indagini consentono di affermare che l’omicidio era stato pianificato da tempo, che la vittima era sotto osservazione da mesi, che era possibile compiere quel gesto in ora serale o notturna, al rientro dell’onorevole nella sua abitazione, posta in luogo centrale, ma poco illuminato, oppure in occasione dei frequenti spostamenti in macchina tra Locri e Reggio Calabria, sede del Consiglio regionale.

Gli autori scelsero con cura quel momento (il collaboratore di giustizia Novella riferisce in un passaggio delle sue dichiarazioni della fretta manifestata da Ritorto di eseguire il delitto proprio quel giorno), pur essendo perfettamente consapevoli del clamore che ne sarebbe derivato e delle conseguenze di carattere investigativo e repressivo. Un rischio accettato in vista del risultato eclatante che l’omicidio doveva suscitare nell’opinione pubblica e nella vita politica calabrese. Le conseguenze furono in parte quelle volute: l’azione della Giunta regionale risultò frenata e intimorita e lo stesso Consiglio regionale impiegò mesi prima di procedere alla nomina del nuovo vicepresidente. Alla luce delle risultanze investigative si può oggi confermare l’opinione da più parti manifestata subito dopo il fatto: si trattava di un delitto politico-mafioso, in cui la vittima fu colpita per il suo ruolo nella politica regionale e per la mole degli interessi che premevano in vista della formazione di nuovi equilibri. La collaborazione di Bruno Piccolo e Domenico Novella ha consentito di individuare l’autore materiale dell’omicidio, i suoi complici, gli organizzatori e mandanti. Tale collaborazione non è però priva di punti oscuri sui quali occorre riflettere criticamente. In primo luogo va sottolineato che, nel panorama di scarsa presenza di collaboratori di giustizia provenienti della ‘ndrangheta, la zona della Locride si caratterizza come uno dei territori nei quali il fenomeno è ancora più rarefatto. Le cosche che operano in tale territorio sono tra le più radicate, più vicine alla tradizione, alle origini stesse della ‘ndrangheta, più fedeli ai suoi valori di fedeltà e di omertà. Contrasta dunque con tale situazione che nell’ambito del medesimo procedimento, dal medesimo territorio, dalla medesima cosca, in un ambito temporale ravvicinato, si siano verificate due collaborazioni, dal peso decisivo, come quelle di Piccolo e Novella.

Nell’ordinanza emessa il 19 marzo 2006 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento 744/06 Rgnr D.D.A. a carico di Ritorto+11, per l’omicidio Fortugno e altri gravi reati, risulta indagato Vincenzo Cordì, esponente di vertice della cosca omonima, il quale era all’epoca detenuto in espiazione della condanna riportata per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso in esito al processo cosiddetto “Primavera”. Al Cordì fa riferimento un’informativa della Squadra Mobile di Reggio Calabria, redatta in data 24.2.06 e recepita nell’ordinanza citata: “A seguito dell’esecuzione delle O.c.c.c. maturate nel contesto della cosiddetta “operazione Lampo”, Bruno Piccolo, nato a Locri (RC) l’11 marzo 1978, intraprendeva una fruttuosa collaborazione con la D.D.A. di Reggio Calabria fornendo particolari rilevanti sulla struttura e sulle attività criminose della cosca di cui faceva parte (Cordì). Tratto in arresto in data 14 ottobre 2006, il collaboratore rendeva le prime dichiarazioni il 6 dicembre successivo.

In data 9 dicembre 2006, veniva censurata una lettera inviata in epoca precedente da Vincenzo Cordì proprio a Bruno Piccolo, presso il carcere di Sulmona (AQ).
Il contenuto della missiva del 9.12.2006, fa riferimento all’obbligo di non collaborare e ciò al fine di prevenire la temuta collaborazione del Piccolo”. In particolare si legge: “Caro amico Bruno, l’importante in questi luoghi è stare tranquilli farsi la galera con onestà rispettare tutti quelli che ti rispettano nella tua stanza fare tutto quello che ti tocca e a secondo quanto siete ognuno fa il suo, parlare poco solo quando è necessario, e sai com’è se c’è qualcuno che fa il furbo tipo ti dice con questa accusa chissà quanto galera fai, tu gli rispondi che non importa quanto galera faccio l’importante è uscire a testa alta e che la galera non ci impressiona….E più oltre: ora caro Bruno non so in questo carcere chi c’è di calabresi ma qualcuno c’è di sicuro, se no c’è un mio caro amico che è all’A.I.V. e si chiama Filippo è di Reggio se hai modo manda i miei saluti che se può fare qualcosa lo fa, comunque vedi che se hai bisogno di qualcosa o hai qualche problema me lo fai sapere subito”.

Il Filippo cui si fa riferimento nella missiva si identifica in Filippo Barreca, nato il 9.10.1956, elemento di spicco della criminalità organizzata collegato alla cosca De Stefano, anch’egli recluso presso il carcere di Sulmona (AQ). Ulteriore lettera degna di menzione è quella inviata dal medesimo Vincenzo Cordì a Domenico Novella, suo nipote, coindagato nel medesimo processo, a cui è stato contestato il concorso nell’omicidio Fortugno.

Carissimo mio nipote Micarello. Ti scrivo dopo aver ricevuto la tua lettera e mi compiaccio nel saperti in buona salute e che stai bene, io come ti avevo già detto quando eri a Roma avevo scritto ad un amico che era a Rebibbia e giorni fa mi è arrivata la lettera dicendomi che se la vedeva lui ma che sicuramente ti trasferivano perché a Reggina Celi non ti tenevano, cosa che poi è stato così, e così mi hanno detto i nostri che eravate partiti tutti per Sulmona ma non sapendo che invece vi hanno sparpagliato nei vari carceri, ma nell’immediatezza o scritto ad un amico che si trova li, qui o saputo che a te ti avevano portato ad Ancona e ti ho scritto anche una cartolina, ma sicuramente non ti è arrivata, io spero che la smettano con questo farti andare avanti e indietro nei vari carceri perché non so perché lo fanno e cosa vogliono, e se non vogliano farvi uscire come sarebbe giusto perché non si può fare la galera innocente come la stiamo facendo tutti, ma che almeno ti assegnino un carcere dove uno può sistemarsi, io vi auguro che ti potessero portare qui e nella sventura poter stare un po’ insieme, ma io sempre spero che al più presto potrai essere a casa con la tua famiglia che era già abbastato la galera innocente che ha fatto tuo padre anche se poi gli è stata riconosciuta la sua totale innocenza cosa difficile dei nostri tribunali comunque mio caro nipote Micu (come nonno Micu), se ti dovessero tenere li vedi che nei vari sezioni ci sono molti Calabresi che ci conoscono oltre a quel ragazzo che e chiama Piromalli che me lo saluti tantissimo anche se a lui non me lo ricordo ma che ero molto amico del padre e di suo fratello Tonino poi si sono trasferiti (parole illeggibili in fondo pagina perché non fotocopiate) visti comunque con gli altri paesani ti risenti e dici a chi appartieni sia se sei li o se vai in altri posti e se ti trasferiscono me lo fai sapere subito, quando a quello che è di fronte a te nella cella e fa il pazzo o lo è per davvero lui per la sua strada e tu per la tua, tu rispetta tutti quelli che ti rispettano ne più ne meno e ora che ricordo in quel carcere se non sbaglio c’è Vicenzino di Sant’Ilario comunque ci sono tanti e come ti ho detto ti presenti e ti raccomando (anche se non c’è bisogno) stai nel tuo e quello che ti tocca di fare fai nella stanza e ognuno fa il suo se c’e qualche problema me lo fai sapere subito, spero che oggi ai fatto un buon colloquio e i tuoi genitori sono più tranquilli anche se diciamo tranquilli visto queste ingiustizie che ci fanno, ora mi avvio alla conclusione di questo mio scritto, facendoti sapere che ti penso sempre e ti voglio tanto bene con l’augurio che al più presto i saluti me li potrai mandare dalla libertà, come fai colloquio mi saluti mamma e papà e i tuoi fratelli, ti abbraccio con affetto zio Enzo Ciao ciao, vedi che oggi o fatto anchio colloquio e ti salutano i miei, ciao ciao caro nipote”.

Dal testo è fin troppo percepibile (ancorché espresso con linguaggio criptico) il tentativo di inviare a Novella un messaggio che vada al di la del significato letterale delle parole.
Con questa lettera il Cordì esibisce la considerazione di cui gode, anche all’interno degli istituti penitenziari, invitando Novella a spendere il suo nome per ottenere immediato rispetto.
Non può trascurarsi un’ulteriore singolarità: Cordì scrive le lettere proprio ai due soggetti che di lì a poco avrebbero iniziato a collaborare con la giustizia. E’ possibile che tale coincidenza riveli la capacità – tipica di un capo scaltro ed esperto – di riconoscere i punti deboli della propria organizzazione, ma permangono elementi di perplessità sull’intera vicenda, soprattutto se si considera che il Novella, nelle sue dichiarazioni, appare impegnato ad escludere ogni ruolo dei Cordì nell’ideazione, preparazione ed esecuzione dell’omicidio Fortugno, di cui addirittura non avrebbero avuto alcuna notizia preventiva. Novella recide ogni possibile collegamento tra l’omicidio ed il contesto mafioso al quale egli stesso appartiene, concentra la sua attenzione sulla ragione elettorale di Marcianò Alessandro e omette di fornire indicazioni circa una serie di elementi poco chiari, come ad esempio i viaggi a Milano, l’arma del delitto, e altro ancora.

A Piccolo e Novella occorre comunque dare atto di avere consentito di individuare l’esecutore materiale dell’omicidio, i suoi complici e il ruolo di mandante di Alessandro Marcianò, quest’ultimo interessato alla sostituzione del Fortugno con il primo dei non eletti, Domenico Crea. Da questo punto di vista l’ordinanza emessa il 23 gennaio 2008 nel processo 1272/07 Rgnr D.D.A. RC, denominato “Onorata Sanità”, conferma la ricostruzione della D.D.A. reggina. Si evidenzia in questa ordinanza come il lavoro investigativo abbia consentito di fare chiarezza “…su un contesto politico-affaristico-mafioso che, nel costituire lo scenario di fondo nel quale matura lo stesso omicidio Fortugno, rende palese come la penetrazione delle organizzazioni criminali nei gangli vitali delle istituzioni pubbliche sia resa possibile e concreta dalla presenza di soggetti capaci di coagulare il consenso delle famiglie mafiose … in un’ottica di totale asservimento della funzione pubblica a rapaci e spregiudicati interessi di parte”.

Rimangono però alcune perplessità che derivano dalla lettura delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia più volte citati. Le indagini hanno infatti consentito di accertare che, proprioil giorno precedente l’omicidio, Novella e tale Audino si erano recati a Milano, con andata e ritorno nell’arco delle ventiquattrore. Il rapido viaggio compiuto alla vigilia del delitto viene spiegato dal Novella, con la necessità (i cui connotati di urgenza appaiono inafferrabili) di acquistare un’autovettura. Ora, posto che il Novella e l’Audino erano al corrente del progetto criminale che si sarebbe consumato di lì a poco, appare davvero singolare che essi abbiano intrapreso quel viaggio, per far ritorno a Locri nella stessa mattina del giorno in cui l’omicidio avvenne. Sarebbe stato interessante sapere con chi i due si siano incontrati e perché, e se, per ipotesi, essi non si siano recati a Milano e dintorni per informare una o più persone di quanto sarebbe avvenuto o addirittura per chiederne consenso.

Non è ragionevole ritenere che un delitto come quello nei confronti del Vice presidente del Consiglio regionale della Calabria e, per di più, con quelle modalità di tempo e di luogo, possa essere stato eseguito da esponenti di una cosca mafiosa, senza che i vertici della stessa non fossero avvertiti, consapevoli e consenzienti. Così come non appare pienamente credibile una ricostruzione per la quale il delitto sarebbe avvenuto all’insaputa della cosca competente per territorio e in generale del sistema mafioso reggino.

In tale prospettiva va conclusivamente sottolineato come, a margine della vicenda Fortugno, si collochino tre episodi inquietanti e non chiariti. Il primo di tali episodi è il suicidio di uno dei due collaboratori di giustizia in precedenza citati – Bruno Piccolo– il quale si è tolto la vita mediante impiccagione alla vigilia del secondo anniversario dell’omicidio Fortugno. Le motivazioni rimangono tuttora oscure.

Il secondo di tali episodi è l’attentato a Saverio Zavettieri. Questi, all’epoca dei fatti assessore regionale alla cultura, fu il destinatario di un grave atto intimidatorio, con l’esplosione di una fucilata contro il vetro antisfondamento della sua abitazione a Bova Marina. E’ lo stesso Zavettieri (sentito dalla Commissione in data 6 febbraio 2008) a ritenere che tra l’intimidazione a suo danno e l’omicidio Fortugno vi sia un collegamento, un nesso, costituito dall’esigenza di determinate espressioni patologiche della realtà sociale della provincia di Reggio Calabria, di ottenere diretta rappresentanza politica. Secondo Zavettieri tali componenti, cioè, la zona grigia o la borghesia mafiosa, non avrebbero alcuna difficoltà a transitare da uno all’altro dei due schieramenti contrapposti che caratterizzano il sistema politico, pur di ottenere la tutela dei propri interessi. Cosa effettivamente avvenuta alla vigilia delle ultime elezioni regionali, con il passaggio – fra gli altri – dallo schieramento di centro destra a quello di centro sinistra del già citato Domenico Crea, successivamente ritransitato nel centrodestra.

Il terzo episodio cui si faceva cenno è il cosiddetto caso Chiefari, dal quale si diffondono una serie di interrogativi, in gran parte non risolti, e una luce ulteriormente inquietante sull’intera vicenda Fortugno.

Il predetto Francesco Chiefari (il cui fermo è stato convalidato dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del 23 dicembre 2006) avrebbe collocato, a pochi giorni di distanza, all’interno degli Ospedali di Siderno prima e di Locri poi, cariche di tritolo, in grado – quantomeno la prima – di esplodere con effetti micidiali. Nel primo episodio la carica era accompagnata da una lettera minatoria nei confronti del fratello e della vedova dell’on. Fortugno e intendeva, esplicitamente, porsi in collegamento con l’omicidio.
Ancora più torbidi e inquietanti apparivano poi il retroscena della vicenda e i non chiariti rapporti di Chiefari con personale dei Servizi segreti, di cui egli dichiarava essere stato confidente.
Tutti gli interrogativi rimasti aperti intorno alle varie vicende legate all’omicidio Fortugno possono trovare una parziale risposta nei vari procedimenti in corso, sia perché direttamente legati all’omicidio sia perché in generale collegati agli interessi diretti della ‘ndrangheta nella sanità.

E’ comunque auspicabile e necessario che su questa vicenda, che rappresenta la più alta sfida che le cosche hanno lanciato alle istituzioni in Calabria dai tempi dell’omicidio del Procuratore Scopelliti, le indagini vadano ancora avanti nella ricerca di tutti gli elementi necessari a chiarire fino in fondo le motivazioni dell’omicidio e del suo contesto politico
mafioso e fugare ogni zona d’ombra assicurando alla giustizia mandanti ed esecutori.
Anche all’interno di questa complessa vicenda emerge un dato di fondo, quasi strutturale, relativo alla natura dei partiti e alle classi dirigenti.
In vista di ogni elezione, notabili politici detentori di pacchetti di voti e preferenze si offrono sul mercato del consenso. Si cambia così schieramento portando in dote voti ma anche interessi materiali e clientelari. I bisogni della gente vengono ricondotti in un sistema di favori clientelari che per rigenerarsi deve essere alimentato con soldi pubblici e affari. Per questo il buco del bilancio della sanità è diventato un pozzo senza fondo.
La politica si privatizza e le cosche che controllano il territorio trattano con essa, la condizionano, offrono i loro pacchetti di voti o entrano direttamente nelle liste con propri uomini. Purtroppo, questo meccanismo vede come protagonisti passivi anche i cittadini che, in assenza di diritti esigibili da rivendicare in modo trasparente, affidano i propri problemi a chi promette, anche con mezzi corrotti e illegali, di offrirgli una risposta percepita da loro stessi come l’unica possibile.
Questa è la politica debole che in Calabria dà forza alla ‘ndrangheta. Ma questa politica per rigenerare se stessa, il suo consenso, le sue clientele, deve riprodurre la sua debolezza, pena la perdita di relazioni che alimentano il sistema di potere di cui è espressione.

9 – (fine)