Campania. Benvenuti a “DeLucaLand”

(di Simona Brandolini – corriere.it) – Vincenzo De Luca ha due idiosincrasie conclamate: una nei confronti del Pd, l’altra di Napoli. Senza contare una palese acredine verso chi lo ostacola, lo critica, lo avversa. A farne le spese, ultimamente, è stato Roberto Andò, regista impegnato e direttore del teatro nazionale Mercadante a Napoli, reo di aver pubblicamente denunciato il taglio di 2 milioni di fondi Poc da parte della Regione con relativa sospensione della stagione estiva. Apriti cielo! De Luca l’ha bollato come «cafone», anzi «cafone a 18 carati». Rubinetti chiusi. Non che sia andata meglio a Stéphane Lissner, soprintendente del teatro San Carlo (altri 3 milioni e 800 mila euro tagliati). Lo scrittore Antonio Scurati si è dimesso dalla fondazione Ravello perché al presidente non era gradita la presenza di Roberto Saviano. Insomma chi non “ringrazia la Regione” semplicemente viene escluso dai finanziamenti, che, invece puntualmente vanno a finire al teatro Verdi (di Salerno) e a Luci d’artista (sempre di Salerno).

BENVENUTI A «DELUCALAND»

In Italia Vincenzo De Luca è Crozza. Il mito populista, che alberga in buona parte dell’elettorato, lo ha sempre premiato. Soprattutto nei giorni terribili della pandemia. Per tanti resta ancora l’amministratore capace, il simpatico battutista, il simbolo di una politica personalistica e autocratica, ma che funziona. Ebbene in Campania, soprattutto a Napoli, intellettuali, pezzi di società civile, stanno restituendo a De Luca il favore dell’acrimonia. E così il presidente si sta sempre più rintanando nel suo fortino: Delucaland, alias Salerno. Piazza della Libertà è il luogo dove vuole essere seppellito, in via Porto, sede del Genio civile baricentrico tra il Municipio e il Crescent, ha il suo ufficio, da pochissimo si è trasferito dal popolare quartiere Carmine al centro, ma del funzionario comunista non ha perso un certo grigiore. In città, visti i risultati non proprio soddisfacenti del sindaco, Enzo Napoli, di stretta osservanza senza essere l’originale, c’è chi lo rimpiange. E assicura che se si candidasse di nuovo sarebbe eletto a furor di popolo.

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IL CACICCO PIÙ CACICCO

Miracoli dello sceriffo. Perché chi è nato nel 1993, o giù di lì, conosce soltanto un politico: Vincenzo De Luca. Il presidente campano, il cacicco più cacicco di tutti, festeggia i 30 anni di governo (quasi) ininterrotto della cosa pubblica. Un unicum in Italia, che, però, non può essere ridotto a un inciampo della storia. De Luca ha costruito fama e potere grazie a un misto di concretezza e spregiudicatezza, di meticolosa e militare occupazione di tutti i posti liberi o liberabili con i suoi fedelissimi, di una comunicazione aggressiva, ruvida e a tratti greve, di crozzismi ben prima di Crozza e un bel po’ di incapacità altrui. Tanto che ora annuncia e sfida: governerò per i prossimi trent’anni. Minacciando la modifica dello statuto regionale per un terzo mandato. E di scendere in campo con o senza il Pd. A 73 anni. Ma sulla sua strada questa volta ha trovato un ostacolo. Si chiama Elly Schlein, neosegretaria del Pd, che nei giorni scorsi ha chiarito di essere «contraria al terzo mandato».

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LA SEGRETARIA PD E I CAPIBASTONE

Nel suo primo discorso pubblico Schlein ha messo in chiaro che non farà sconti a nessuno, tantomeno a capibastone e cacicchi. «Non arretrerò di un millimetro», ha detto al Nazareno, annunciando battaglia e giocandosi parte della sua credibilità proprio sul rinnovamento della classe dirigente dem, cominciando dalla Campania, dove ha inviato, senza troppi perché, il generale inverno Antonio Misiani: modi spicci e una patente di antideluchismo in tasca. Tanto che ora si guarda a Schlein come l’unico mister Wolf «risolvo il problema De Luca». Non che gli altri segretari del Pd non abbiano provato a disarcionarlo, almeno a parole. Tentò Matteo Renzi, ma il lanciafiamme annunciato si trasformò in fuoco fatuo e anche lui si accomodò a stringere accordi con il vicerè campano, non ci è riuscito Enrico Letta che pure aveva promesso «me ne occuperò», ma non ha fatto in tempo perché nel frattempo ha perso lui la poltrona. La domanda è: perché ora dovrebbe farcela Schlein?

UNA SPINA NEL FIANCO

L’eretico De Luca è sempre stato una spina nel fianco, ma resta uno dei due unici presidenti di Regione del Sud dem e dei quattro in Italia, praticamente una specie da proteggere. La domanda, retorica, che si pongono al Nazareno è: si può aprire una guerra con De Luca per i prossimi due anni e mezzo? Sarebbe un suicidio. E allora come inglobare e bypassare l’ingombrante presidente? È la missione che si è dato Misiani: rendere il Pd campano autonomo da De Luca. Tutt’altro che facile in una regione in cui storicamente il partito è appiattito su signori delle preferenze e notabili. La strategia è coinvolgerlo nelle battaglie comuni: autonomia differenziata, lavoro, diseguaglianze, divari. E ignorarlo su quelle che lo vedono su fronte opposto: Ponte sullo Stretto, codice degli appalti, cultura, terzo mandato.

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IL DESTINO DEL FIGLIO PIERO

Come nella geometria euclidea, le due parallele De Luca e Schlein, per storia e stile, almeno per ora non possono incontrarsi. La leader Pd è estranea a quei giochi di corrente e accordicchi stretti in nome della pax sociale e dei voti, soprattutto meridionali, che in questi anni sono stata benzina nell’auto di De Luca. Se inviare Misiani in Campania è stato un primo dito nell’occhio, la prova del nove sarà il destino del figlio Piero, già fuori dalla segreteria nazionale, attuale vicecapogruppo del Pd alla Camera. Il suo rinnovo, dicono, ha le ore contate, ma potrebbe comunque avere un altro ruolo. Medicare, più che mediare. Se fino ad oggi De Luca padre non ha neanche mai fatto gli auguri o nominato la neosegretaria è perché sta attendendo alla finestra le mosse. Una tattica antica. Venderà cara la pelle. D’altronde, in trent’anni di governo (quasi) ininterrotto ha ingollato, uno dopo l’altro, come fossero pop corn, 7 segretari più due reggenti del Pd, 3 dei Ds e 2 del Pds. Riuscendo a tenere insieme interesse personale e di partito. Criticando aspramente i dem, ma facendo eleggere il figlio. «Un partito all’amatriciana e carbonara» oppure il suo preferito «un partito di anime morte», per citare l’amato Gogol.

IL POL POT DI SALERNO

Il Pol pot di Salerno quando inizia la carriera di amministratore, comincia soprattutto a costruire la sua forza politica. Sono gli anni in cui il politologo Mauro Calise profetizza e sperimenta l’idea di «partito personale» con Antonio Bassolino. Ma chi in realtà farà sempre a meno dei simboli di partito è proprio De Luca, che va avanti con le sue civiche, anche in Regione, o contro o in concorrenza con il Pd. Ed è proprio a Palazzo Santa Lucia che diventa un vicerè, anzi per dirla con un gruppo di intellettuali e giornalisti antideluchiani, un monarca. Isaia Sales è uno di questi. In una recente intervista al Domani , l’ex sottosegretario del governo Prodi ha sfatato anche il mito del buon amministratore: «Non lo è, la Campania è agli ultimi posti per la qualità della sanità e dei trasporti. È stato tra i peggiori presidenti di sempre. C’è un enorme necessità di rinnovamento, Elly Schlein ha cominciato con De Luca, è la prima volta che succede che qualcuno non gli tenda la mano». E torniamo all’inizio, anzi alla fine di questa storia. Per ora.

LA PRIMA VOLTA A UN’ASSEMBLEA DEL PD A NAPOLI

De Luca che fa fatica, anche fisicamente, a superare in autostrada la curva di Vietri in direzione di Napoli, s’è scapicollato per la prima volta a un’assemblea del Pd nella metropoli campana. In un’atmosfera surreale, è partito con un monologo di 40 minuti. Un manifesto anti-Schlein: sì al terzo mandato e no al campo largo. «Vengo da un grande e glorioso partito che è tuttavia morto tra gli applausi. In quel partito c’erano uomini che si chiamavano Enrico Berlinguer, Amendola, Nilde Iotti, Terracini. Oggi abbiamo un po’ di arte povera tra di noi, rischiamo di morire tra le bandiere al vento». La premessa di una convergenza impossibile è questa. Forte del fatto che in Campania Schlein ha vinto solo nell’odiata Napoli. Perché lui, i suoi, e tutto il notabilato locale sostenevano Stefano Bonaccini, che però quando s’è trattato di commissariare il partito campano ha votato a favore. «Coltellate correntizie», le definirebbe. De Luca, legittimamente, vuole decidere il suo destino politico, ma rischia, questa volta, di fare la fine dello sceriffo Kane in Mezzogiorno di fuoco : consuma la sua vendetta, ma intorno a lui non c’è più nessuno.

IL PERSONAGGIO

LA VITA – Nato a Ruvo del Monte, Potenza, nel 1949, Vincenzo De Luca sì è trasferito da bambino con la famiglia a Salerno. Laureato in Storia e Filosofia, ha insegnato per un periodo alle scuole superiori. Divorziato dalla prima moglie, ha due figli, Piero, 43 anni, e Roberto, 40. Il primo è vicecapogruppo del Pd alla Camera, il secondo assessore a Salerno.

LA CARRIERA – De Luca ha aderito al Pci e nel 1990 è diventato vicesindaco di Salerno. In varie fasi ha gestito la città per 17 anni, diventando il sindaco più longevo d’Italia. E’ stato presidente della Regione per due mandati, incarico che attualmente ricopre e vorrebbe essere ricandidato per la terza volta, contro la volontà della segretaria del Pd Elly Schlein.