Carabinieri morti durante lo sgombero: già nel 2024 i fratelli avevano aperto il gas per evitare lo sfratto

L’esplosione durante le operazioni di sgombero a Castel D’Azzano, è costata la vita a tre carabinieri, è una vicenda che si trascina da anni e aveva rischiato di trasformarsi in tragedia, come avvenuto nella notte tra lunedì e martedì. Era uno sgombero considerato a rischio: sul posto c’erano infatti anche le Unità operative di pronto intervento dei carabinieri, specializzate in azioni antiterrorismo. Già un anno fa, ad ottobre 2024, Franco Ramponi, 64 anni, allevatore e agricoltore e la sorella Maria Luisa, 58, dovevano lasciare la loro abitazione di via San Martino, ma all’arrivo dell’ufficiale giudiziario il terzo fratello, Dino, aveva riempito la casa di gas.

La situazione aveva fatto desistere il pubblico ufficiale, tornato sul posto a novembre dello stesso anno accompagnato, questa volte, dalle forze dell’ordine e da i vigili del fuoco. Questa volta erano stati Franco e Luisa a opporre resistenza salendo sul tetto della casa, riuscendo nel loro intento di allontanare il custode giudiziario. Fu proprio in una di queste occasioni che uno dei tre fratelli si cosparse di benzina minacciando di darsi fuoco.

Come riporta L’Arena, quel giorno Franco aveva affermato di essere “l’unico titolare e il tribunale mi contesta di non essere rientrato da un debito fatto con la banca, ma che io non ho firmato. È stato mio fratello Dino ad accedere al prestito che non ha onorato, solo che ha firmato col mio nome, perché sono io il proprietario. Ci sono perizie calligrafiche che parlano chiaro: quella non è la mia firma”. Aveva poi aggiunto: “Ci hanno messo alle strette e a breve ci toccherà fare le valigie e sloggiare, probabilmente a dicembre. Magari riuscissi a trovare una stalla in affitto dove portare mucche e vitelle, così continuerei a lavorare. Ma per la casa? Io e mia sorella siamo sotto un ponte”.

Sostenevano di essere stati “ingannati” e che la sentenza del Tribunale che li sfrattava dal casolare era sbagliata, i tre fratelli Ramponi. La vicenda nasce da un mutuo che avrebbero sottoscritto nel 2014, con l’ipoteca di campi e casa. I tre avevano però sempre sostenuto di non aver mai firmato i documenti per il prestito, e che anzi le firme erano state contraffatte. L’iter giudiziario era però arrivato fino alla decisione di esecuzione dell’esproprio.

Il Comune di Castel d’Azzano conosceva bene la vicenda e come ha affermato il vicesindaco Antonello Panuccio: “Non erano soggetti fragili”, nel casolare “non c’erano minori e nemmeno anziani”. Si trattava di “agricoltori che coltivavano i campi, che purtroppo sembra siano stati coinvolti in fatti criminosi e hanno dovuto subire l’esecuzione forzata del recupero del credito sulla casa, che era uno dei pochi beni che avevano”. Il Comune era anche pronto ad accoglierli in qualche sistemazione provvisoria.