di Saverio Di Giorno
Arrivano dei messaggi. Quando apro il cellulare in chat si materializzano immagini confuse, urla, sbarre, rumore di piatti. Poi realizzo: è l’interno di un carcere, di più carceri. Non so quali e sinceramente non ha importanza, si somigliano tutti. Sono le immagini della protesta che sta prendendo piede in tutte le carceri italiane. Vedo soprattutto ragazzi tuta e ciabatte. Poi gli audio delle persone dei vicinati intorno, spaventati, fanno una sorta di reportage. Ecco che scavalcano l’inferriata, ecco che tirano giù un cancello. Ecco, sono fuori. Qualcuno viene subito riacchiappato. Tafferugli. Qualcuno riferisce di lividi sui detenuti. Al reportage si frammezzano colpi, forse armi da fuoco, forse esplosioni. No i colpi sono ritmati: sparano.
Ragazzi, gruppi di ragazzi vedo. Qualcuno di mezza età. Lo spavento si è trasformato in panico e il panico in furia. Nei corridoi è tutto a soqquadro.
Si poteva prevedere forse. In Iran, a chi restava da scontare gli ultimi mesi, a chi era malato, a chi era dentro per piccole cose sono stati dati i domiciliari. La prima regola per fronteggiare questa emergenza è evitare gli assembramenti e le carceri italiani sono assembramenti vergognosi. Riempiti per una grandissima percentuale da un’umanità fatta di piccoli spacciatori, ladruncoli, rapinatori. Non era possibile comportarsi come in Iran? I secondini hanno contatti con l’esterno e poi entrano, le carceri cosi rischiavano di trasformarsi in trappole. Questo fa salire la tensione.
E poi l’ordinanza di sospendere per due settimane le visite dei parenti è stata la miccia che ha fatto saltare tutto. Una cosa da niente? Una pretesa? Là fuori c’è il Coronavirus, molte delle loro famiglie probabilmente sono poco abbienti (perché cosi è), magari già malate, senza tutte le cure necessarie perché gli ospedali non funzionano e se non puoi andare in clinica privata e non hai santi in paradiso, resisti. Magari non è cosi, ma i pensieri si affastellano, si rincorrono e si accavallano in mente. E se non sono contagiati e se poi si ammalano? Questo pensiero ha fatto (irresponsabilmente) fuggire giovani al sud, perché non dovrebbe aver avuto lo stesso effetto nelle carceri (ancora più colpevolmente). Oppure, semplicemente no. C’è l’occasione. L’occasione per sfogare i disagi delle pessime condizioni e uscire. Le carceri sono sempre più punitive e sempre meno rieducative. E questa situazione è pericolosa anche per i secondini.
Alla fine di questa storia ci saranno ampie riflessioni da fare. Dalla sanità, alle regioni, alle carceri. Perché un paese è un sistema, tutto è collegato, tutto si tiene. Se si tiene. Non si può lasciare un pezzo di società indietro. Che siano carcerati o che siano meridionali. Nessuna risposta hanno avuto i detenuti, nessuna voce dalle istituzioni i due casi di Reggio. Nessuna risposta dal numero verde, in molti casi, segnalati, squilla a vuoto. Questo perché qualche operatore non conosce la procedura di autodenuncia. Ma il problema non è certo di operatori e funzionari che in poche hanno dovuto adattarsi al meglio. Non ci sono risposte perché semplicemente non ne hanno.
Le emergenze non le crea il virus, ma l’incapacità di affrontarlo: aver costantemente tagliato sulla sanità, aver regalato milioni alle cliniche private, aver fatto finta che non esiste un problema giustizia, aver favorito l’emigrazione. Tutto quello che una società civile e organizzata può assorbire, come un elastico, in una società debole è rigettato, sputato fuori. È un elastico lacerato e con un peso in più cede. Nelle sue parti più deboli vengono semplicemente fuori tensioni che altrove vengono sopite, controllate o sfogate in altri modi. Ci chiediamo quanto ancora il popolo calabrese sarà ad esempio disposto a subire, ora che è venuta fuori la drammatica conseguenza della colonizzazione della sanità pubblica. Siamo vicini a carcerati e secondini. Anzi, siamo carcerati e secondini, in questo diabolico gioco a guardie e ladri dove si perde entrambi.
Ah, per chi se lo sta chiedendo: non è giustificazione, né buonismo verso i detenuti. Sono solo vicende umane. Io sul cellulare ho visto ragazzi.