Caro-energia, tra chi ci guadagna c’è l’Eni. E il governo tace

(Emiliano Mariotti – true-news.it) – “Eni non stipulerà nuovi contratti per l’approvvigionamento di petrolio o prodotti petroliferi dalla Russia”. Con un breve comunicato la compagnia del cane a sei zampe ha annunciato, nel solco già tracciato dal colosso britannico Shell, la sospensione della stipula di nuovi contratti commerciali con Mosca, mantenendo però attivi quelli già in essere. Che non sono pochi: Eni è vincolata infatti da accordi di lungo termine col gigante russo Gazprom e per ora non ha alcuna intenzione di sospenderli, nonostante il direttivo dell’azienda si sia ovviamente affrettato a precisare che intende rispettare qualsiasi decisione verrà presa dalle istituzioni europee e italiane in risposta alla crisi ucraina.

Le polemiche sul gas

Non è però l’unico fronte sul quale la società deve difendersi dalle polemiche: non è passato inosservato infatti l’aumento esponenziale degli utili di Eni, merito ovviamente della crescita sfrenata delle quotazioni del gas sul mercato, sestuplicate rispetto al periodo pre-pandemia.

Dai risultati preliminari di bilancio del 2021 del gruppo emergono numeri – oltre 4,7 miliardi di utili, di cui 2,1 solo nell’ultimo trimestre, e un margine operativo pari a 9,7 miliardi – che riportano ai fasti del 2012.

Una performance record che coinvolge naturalmente anche gli altri operatori, da Enel a Edison, e che solleva non poche perplessità, visto che si tratta di una società controllata al 30% dal Tesoro italiano. Lo stesso, di fatto, che nel decreto “energia” in cantiere a Palazzo Chigi è destinato a mettere in campo risorse per quasi 6 miliardi di euro per calmierare gli oneri di sistema per famiglie e imprese.

Il caso decreto Energia

Non solo: lo stesso provvedimento dovrebbe prevedere anche il coinvolgimento di Eni nel raddoppiare la quantità di gas estratto nei giacimenti italiani, che il governo vorrebbe incrementare da 3 a 6 miliardi di metri cubi per poi rivendere il prodotto a prezzi calmierati alle aziende energivore. Tradotto: incassi aggiuntivi per il cane a sei zampe per 1,5 miliardi di euro se il gas fosse venduto a prezzi di mercato, di 600 milioni di euro se il prezzo venisse calmierato a 20 centesimi al metro cubo.

Come ha machiavellicamente ricordato lo stesso Putin, le aziende energetiche italiane stanno registrando grandi profitti grazie agli accordi siglati con la Russia, principale fornitore di gas dell’Europa che ogni anno manda in Italia attraverso il Tarvisio circa 30 miliardi di metri cubi. Parte di essi vengono poi rivendute sui mercati internazionali lucrando sulla differenza di prezzo.

Per di più dei contratti pluriennali siglati da Eni e compagnia restano ignote le cifre, al contrario di quanto avviene nel mercato libero, da cui però proviene solo una piccola percentuale del totale.

Eni, in particolare importa circa il 60% del proprio fabbisogno (più o meno la metà del gas estero che entra in Italia) e ne acquista circa il 30% al mercato Psv, tarato sul prezzo dei Paesi Bassi; gli altri grandi operatori italiani, invece, si approvvigionano prevalentemente al mercato Psv. Cosa vuol dire questo? Che Eni compra poco meno di due terzi del gas di cui si approvvigiona a prezzi vantaggiosi per poi rivenderlo a prezzi di mercato.

Prezzi ovviamente in costante crescita vista la situazione.

L’ottima performance aziendale, salutata con entusiasmo dall’amministratore delegato Claudio Descalzi, pone però una rilevante questione politica: proprio mentre molte piccole e medie imprese (oltre ovviamente alle famiglie) soffrono e rischiano di chiudere a causa del caro-energia, la principale azienda nazionale del gas, partecipata – come ricordato – dallo Stato continua a trarre benefici da una crisi drammatica per il sistema industriale italiano.

Una contraddizione evidente, rimarcata dalle scelte del governo Draghi che riserva un diverso trattamento a chi produce energia da fonti rinnovabili e chi invece estrae, distribuisce e vende gas in Italia: gli extra-profitti dei primi saranno infatti tassati (come da relativo decreto approvato a gennaio), quelli dei secondi no.

L’ennesima conferma del fatto che, anche in questi mesi di bufera dei prezzi dell’energia, la tanto auspicata transizione energetica in Italia non è nemmeno cominciata. E intanto Eni continua a guadagnare.