Al ministero della Giustizia c’è un sottosegretario, Andrea Delmastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia, che ha un problema con la giustizia e ne ha creato uno enorme anche al governo. Il fedelissimo ed ex avvocato di Giorgia Meloni non solo è finito sotto processo per rivelazione di segreto d’ufficio, primo esponente di governo rinviato a giudizio, ma è diventato anche il primo ad essere condannato – sia pure ancora solo in primo grado: un fulgido esempio di cortocircuito politico-giudiziario con le opposizioni che ne chiedono le dimissioni.
Nel pieno dell’attacco mosso dall’esecutivo alle toghe, nel dicastero che si occupa di giustizia e del suo funzionamento siede chi è imputato e adesso anche condannato in primo grado per aver rivelato notizie coperte da segreto e non divulgabili. Già il solo rinvio a giudizio disposto dalla giudice per l’udienza preliminare, Maddalena Cipriani, aveva imbarazzato lo stesso ministro, Carlo Nordio, che aveva apertamente difeso il sottosegretario ed era stato puntualmente smentito prima dal contenuto della richiesta d’archiviazione avanzata dalla procura, successivamente dall’imputazione coatta poi dal rinvio a giudizio e, da ultimo. per ora, dalla condanna a 8 mesi in primo grado.
Per il momento la posizione di Delmastro sembra ancora blindata ma la questione Delmastro, ovviamente, non ha nulla a che vedere con l’iter processuale. Il vero problema è semmai l’incompatibilità evidente tra il ruolo di sottosegretario alla Giustizia e quello di imputato.
L’INIZIO DEL CASO
La storia è iniziata a fine gennaio 2023 quando il deputato Giovanni Donzelli, all’epoca coinquilino di Delmastro, aveva parlato alla Camera di colloqui tra mafiosi detenuti al 41 bis e l’anarchico Alfredo Cospito. Colloqui utilizzati per attaccare gli esponenti politici del Pd che erano andati a trovare Cospito in carcere («Siete con lo stato o con i terroristi?»).
Delmastro aveva successivamente ammesso di aver rivelato a Donzelli i contenuti riservati raccolti in una relazione elaborata dal Gom, il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria. L’intervento in aula aveva provocato un putiferio politico, Donzelli si era giustificato parlando di atti accessibili ai deputati, in realtà non era così, e le opposizioni avevano chiesto le dimissioni di Delmastro, autore della fuga di notizie.
Il primo a scendere in campo in difesa del sottosegretario era stato il ministro della Giustizia. «La natura del documento non disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati», si leggeva nel comunicato ufficiale, e secondo Nordio «spetta al ministero definire la qualifica degli atti». Parole che avevano provocato la reazione del presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia: «Ciò che è segreto lo stabilisce la legge, non le scelte discrezionali dei singoli».
La vicenda è presto diventata argomento per i magistrati. E quando la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione lo ha fatto sulla base di un assunto: la divulgazione di contenuti coperti da segreto amministrativo c’era stata, ma mancava l’elemento soggettivo. In pratica l’avvocato-sottosegretario Delmastro non aveva compreso la segretezza degli atti.
A sconfessare questa lettura è stata la giudice per le indagini preliminari, Emanuela Attura, che, a luglio 2023, aveva disposto l’imputazione coatta di Delmastro. Una decisione che aveva scatenato l’ira di Palazzo Chigi, che in una nota anonima, poi rivendicata dalla premier Meloni, aveva attaccato: «È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Nei giorni scorsi Attura si è vista anche revocare la scorta alla quale era sottoposta per le minacce di un esponente apicale del clan Casamonica.
L’imputazione alla fine è stata accolta, Delmastro dal marzo 2024 è stato seduto sul banco degli imputati. Il sottosegretario è stato fortemente segnato, anche umanamente, dalla vicenda, e non ha voluto mai scaricare sul collega Donzelli, responsabile della divulgazione, l’onere del pasticcio. Il governo ha fatto quadrato attorno al fedelissimo di Meloni e continua a dire che non si deve dimettere. L’addio avrebbe un effetto doppiamente negativo per Fratelli d’Italia, che si troverebbe a dover rinunciare a una casella fondamentale negli equilibri nella maggioranza, lasciando il dicastero della Giustizia nelle mani di Forza Italia.