La Corte d’Appello di Catanzaro presieduta dal giudice Gabriella Reillo ha messo la parola fine alla vicenda Marlane. Dichiarati inammissibili gli appelli e confermata la sentenza di primo grado. Tutti assolti anche in secondo grado i dirigenti del gruppo Marlane. La Corte d’appello di Catanzaro ha pronunciato lunedì pomeriggio la sentenza nei confronti del caso Marlane, la fabbrica tessile di Praia a Mare i cui dirigenti erano imputati per disastro ambientale e omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime in relazione alla morte di un centinaio di operai, in un arco di tempo di circa 40 anni.
Grazie a questo giudice ora tutto il terreno della Marlane potrà essere tombato definitivamente. Nessuno più saprà cosa vi è stato seppellito, nessuno più potrà lamentarsi e dolersi dei tumori passati e futuri e più di tutto nessuno saprà di cosa sono morti i 107 operai della fabbrica, accertati dalla procura di Paola, né perché altre decine di operai si sono ammalati di tumori vari.
Il giudice Reillo, nell’udienza del 25 novembre, ha ritenuto che non erano più necessari nuovi accertamenti su quei terreni nonostante la richiesta venisse dal Procuratore Generale Salvatore Curcio, oltre che dalla Procura di Paola.
La giustizia salva sempre se stessa, l’assoluzione in primo grado venne dal presidente del collegio dott. Introcaso, che immediatamente dopo venne promosso Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro. Il giudice Reillo non fa che seguire la linea aperta a Paola da Introcaso. Non avremo così una verità giudiziaria, c’era da aspettarselo d’altronde, ma esiste un’altra verità che è quella che viene fuori dai racconti degli operai sopravvissuti e dai familiari. La verità vera, una verità che è all’opposto di quella giudiziaria. Tutti coloro che hanno lavorato in quella fabbrica, e parliamo di migliaia di operai e delle loro famiglie, sanno che in quei terreni , posti al confine fra Praia a Mare e Tortora, vennero sepolti tonnellate di rifiuti di ogni genere provenienti da quella stessa fabbrica.
Lo disse Francesco De Palma che era l’operaio incaricato a seppellirli ogni sabato, quando la fabbrica era chiusa. De Palma non venne mai chiamato a testimoniare durante le udienze del processo a Paola, e nemmeno dopo la sua morte si volle sentire la sua testimonianza in una video intervista fatta da militanti ambientalisti. Non si vollero neanche sentire i carabinieri di Scalea che fermarono un camion pieno di rifiuti provenienti dalla Marlane e destinati ad essere seppelliti a Costapisola. Non si volle tener conto di tutte le testimonianze di familiari ed ex operai che con coraggio dissero la loro verità durante il processo a Paola.
Non si volle tener conto della testimonianza di Luigi Pacchiano, ex operaio colpito da un tumore, memoria storica della fabbrica che testimoniò per sei ore di seguito rivelando tutto l’andazzo di quella fabbrica di veleni.
Non si volle tener conto dei rifiuti tossici trovati dai Vigili del Fuoco all’interno della fabbrica, né delle perizie di eminenti esperti del settore, nominati anche dalla stessa Procura di Paola nel novembre del 2007.
Si chiude così un capitolo vergognoso su una vicenda della quale i media nazionali non hanno mai voluto occuparsi così come fatto per tanti altri fatti simili a questo della Marlane. Purtroppo Praia a Mare si trova in Calabria, è una cittadina a vocazione turistica, ha un padrone sindaco che governa da oltre venti anni e che ha creato un sistema Marlane imponendo il silenzio su tutto, e costringendo al silenzio sindacati (CGIL, Cisl e Uil che ricevevano l’indotto della produzione), Asl (che non facevano i controlli necessari) , Vigili Urbani (che non vedevano l’andirivieni dei camion di rifiuti), Prefettura (che mai si è occupata del caso), Procura (che ha occultato le denunce degli operai fino al 2009), carabinieri (che mai sono entrati nella fabbrica per accertarsi delle morti continue degli operai), medici (che non facevano il loro dovere di visite agli operai).
Un sindaco che per soli quattro anni non ha governato, ma che al suo posto ha messo un altro personaggio imputato nell’inchiesta quale Lomonaco. Era lui l’esperto chimico al controllo dei materiali tossici che venivano usati nella fabbrica ed è lui che è stato anche dirigente della fabbrica senza mai accorgersi di nulla.
Gli operai sopravvissuti testimoniarono che quando arrivavano i bidoni pieni di prodotti chimici l’ordine era quello di staccare le etichette con il teschio per non far impaurire gli operai addetti alla preparazione dei prodotti liquidi che servivano per la colorazione dei tessuti. I prodotti sprigionavano per tutta la fabbrica un vapore denso di veleni che veniva respirato da tutti gli operai sprovvisti di mascherine, tute e guanti.
A questi vapori si aggiungevano i freni dei telai che sprigionavano nell’aria polvere di amianto. Per questo gli operai si ammalavano e morivano come mosche , per questo quando tornavano a casa erano sporchi di fuliggine, neri come se avessero lavorato in una miniera di carbone. Lo hanno testimoniato le mogli degli operai durante il processo a Paola. E in tutta risposta i “principi del foro”, deridendole le chiedevano se il marito era un fumatore. Non poteva finire diversamente, in effetti questo processo.
L’alleato stretto dei due sindaci è il padrone della ex fabbrica, un potente uomo d’affari legato alla Confindustria e di conseguenza ai poteri forti, parliamo della famiglia Marzotto.
Marzotto non è un imprenditore qualsiasi. Ha mani dappertutto in Veneto. Fabbriche ancora funzionanti con un migliaio di operai, fabbriche tessili e anche inceneritori come quello a Portogruaro gestito dalla Zignago Power, oltre alla Marlane stessa trasferita nei paesi dell’est a Brno, trasformata in Nova Molisana a e la Sametex acquistata con 10 milioni di euro.
I Marzotto uscirono quasi indenni da un’inchiesta aperta dalla Guardia di Finanza, su richiesta dei pm milanesi Laura Pedio e Gaetano Ruta, che ordinarono il sequestro di immobili, tra cui una villa a Cortina e appartamenti a Roma, Milano e un villa a Trissino (VI), appartenenti alla famiglia Marzotto e Donà dalle Rose, iscrivendo nel registro degli indagati tredici persone, tra cui Matteo e Massimo Caputi, ex azionista di Valentino ed ex numero uno di Idea Fimit, per il reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
Le indagini ruotarono intorno alla cessione – da parte della holding di famiglia Icg, domiciliata in Lussemburgo – della maggioranza delle quote nella maison Valentino al fondo Permira. Operazione che risale al 2007, grazie alla quale la famiglia ha realizzato una plusvalenza di 200 milioni di euro, su cui non sarebbe stato versato alcun contributo al fisco italiano, pari a 65 milioni di euro.
Secondo le Fiamme Gialle, la testa operativa della holding lussemburghese sarebbe nei fatti in Italia, e dunque i Marzotto avrebbero dovuto dichiarare tutto all’Agenzia delle Entrate. Per la cronaca, Permira ha poi rivenduto la casa fondata da Valentino Garavani per 700 milioni di euro a Mayholla, fondo d’investimento riconducibile alla famiglia del Qatar.
Alla fine se la cavarono con qualche milione di euro in un clamoroso patteggiamento.
Ma tant’è lo stato poi si accanisce sui poveri che non riescono a pagare qualche rata del mutuo e gli sequestrano la casa. E a difesa di questi personaggi sia a Paola che in Corte d’Appello a Catanzaro si sono presentati uno stuolo di avvocati, pagati profumatamente e di “grido” o come si suol dire Principi del Foro, quali l’avv. Ghedini difensore di Berlusconi, l’avv. Giarda, l’avv. Perugini, l’avv. Pittelli ex senatore di Forza Italia coinvolto nella vicenda Why Not e recentemente assolto, amico di fascisti come Delle Chiaie, e che a dispregio dei familiari presenti in aula, durante un’udienza nel Tribunale di Paola leggeva il libro dello stragista.
Personaggi altisonanti che arrivavano scortati da segretarie e da trolley, e che se la ridevano di tutto e di tutti forti dei loro nomi e delle famiglie che rappresentavano.
Oggi a distanza di oltre 15 anni tutti i reati dei quali erano accusati i tredici imputati sono quasi tutti prescritti e resta solo quello di disastro ambientale. Ma senza più perizie suppletive come era stato richiesto dal Procuratore generale tutto è finito in una bolla di sapone, come previsto da copione. Marzotto ha avuto una nuova assoluzione.
Adesso, grazie alla complicità del sindaco Praticò potrà coronare una nuova idea di speculazione edilizia su quei terreni maledetti che non verranno bonificati. Una speculazione che vedrà la nascita di un grande centro commerciale, una darsena con annesso albergo. Tutto questo grazie alle sentenze di Paola e Catanzaro e grazie al sindaco di Praia a Mare Antonio Praticò, che pagherà le sue cambiali elettorali a suon di assunzioni per quanto verrà costruito su quei terreni.
tratto da Scirocco