Catanzaro 2022, la longa manus di Peppe (e Wanda) ‘ndrina sul “cavaliere candido” Donato

La mafia non spara a Catanzaro. Non l’ha mai fatto. Quando è avvenuto in modo accidentale è sempre stato un problema per il “sistema Catanzaro”, un incidente sul percorso di pace tacitamente sottoscritto con il mondo di mezzo, un problema sempre risolto attivando quel mescolamento di diverse culture lecite e poco lecite, che sono la radice e la caratteristica della massomafia.

Catanzaro è la città della massomafia non solo perché l’ha certificato ormai da tempo la DDA di Nicola Gratteri, ma lo è soprattutto per la sua connotazione geografica e sociale. E’ il luogo dove convergono e si incontrano le aspirazioni di un comprensorio più ampio che dal crotonese al marchesato, passando per la piana di Lamezia e proseguendo lungo la dorsale tirrenica del vibonese, lambendo il territorio delle Serre, in una specie di attraversamento di valico ritorna sullo Jonio e si ricongiunge con altre realtà da sempre limitrofe e contigue con le ‘ndrine del reggino. Una specie di accerchiamento che ormai da anni ha frantumato il vecchio adagio di “isola felice”, così era considerata la città capoluogo di regione, quello di una città che troppo facilmente si è arresa per un interesse diffuso fra pochi alla prospettiva del “sistema”.

Non serve l’uso del piombo come metodo di governo a Catanzaro, ecco perché la mafia non spara frequentemente sui tre colli, ma declina sapientemente nuove procedure di consenso, di alleanze e di progettualità anche politiche che si muovono sul valore del denaro e sulla potenza di convinzione delle masse, facilmente influenzabili dal valore positivo del “modello” e del “sistema”.

La mafia non spara a Catanzaro, corrompe, acquista, celebra, traffica, promuove, costruisce carriere, assume e si nasconde fra le pieghe della macchina burocratica ed amministrativa usando la leva della politica. A Catanzaro la mafia usa la strategia dell’isolamento anche sociale, così come cerca di fare nei confronti di Nicola Gratteri, ma soprattutto restituisce anima alle mummie, facendole tornare a respirare e presentandole come la novità (!) solo perché ha l’esigenza di controllare ed orientare il voto popolare.

E’ scoccata l’era dei “professori”, la novità che si vorrebbe già consolidata nella tornata elettorale che si annuncia ormai nella città di Catanzaro. Il binario di arrivo per contendersi la sedia di sindaco è sempre quello de la gauche trasformista catanzarese, quella riconosciuta o meno con la tessera in tasca, ma certamente quella delle relazioni trasversali, dalle spropositate parcelle, delle aderenze economiche con lobbisti, affaristi e faccendieri, solidamente ancorati, dietro compenso al mondo di certa magistratura traballante e la solita politica regionale dal sapore ‘ndranghetista.

Siamo nel campo della novità. Quella della politica massomafiosa che si riadatta al presente, sfogliando la margherita dell’utile, delle convergenze parallele capaci di superare le tessere e l’appartenenza, insomma la riedizione della “meglio gioventù” capace di saltare il fossato dell’ideologia a piè pari, diventando valore unificante fra vessilli, bandiere e qualche gagliardetto a metà fra associazionismo universitario e vecchie memorie del Ventennio, senza dimenticare residuali flash mob vintage. Tutto va bene, tutto fa brodo.

E’ il “sistema” all’interno del sistema, quello che cammina nel campo opaco della politica e dell’università corrotta, un nuovo modello che certamente ha anche la sua radice, storica ed attuale, nel deserto di Germaneto, dove da decenni “la meglio gioventù” ha costruito il suo mondo di potere accademico ed economico, ma che oggi si scopre con la complicità delle ‘ndrine politiche di Forza Mafia e di Fratelli di ‘Ndrangheta valore propositivo ed unificante per una proposta politica cittadina di rinnovamento e di salute pubblica.

Brucia la sedia del futuro sindaco di Catanzaro. Brucia di responsabilità e di complicità, ma anche di mancanza di orgoglio politico, quello che viene stracciato con la stessa semplicità con cui si seppellisce la tessera, la storia, l’ideologia e l’appartenenza. Questo lo sa molto bene il professore Valerio Donato, il nuovo cavaliere candido della prossima “disfida” di Catanzaro, in corsa due volte: come candidato cosiddetto autonomo e corridore veloce in cerca di benedizioni, di accrediti e di investiture di ‘ndrina.

Il “sistema Catanzaro” si ricostruisce la verginità politica. Poco importa quale sia il prezzo da pagare, quello è sempre a carico del popolo che lo paga da sempre con il sangue, con la fame e con il culo. Si aprono i forzieri ed i portoni dei castelli dei feudatari della massomafia da Vibo Valentia fino a Catanzaro ed il “cavaliere” accademico Valerio Donato viene ricevuto ed in silenzio consacrato al sacro collegio del centrodestra da Peppe ‘ndrina e dalla “riccioluta”, la Wanda di Calabria. Che però potrà farlo solo al secondo turno, come da ordini “meloniani”. 

Inizia una nuova storia che tutela tutti ed il “sistema Catanzaro”. Si salvano per il futuro gli amici delle “ditte” amiche, le complicità del “sistema università”, la grande portata sul banchetto delle prossime elezioni comunali di Catanzaro, dove noi cercando di scartare le lenticchie, con l’aiuto di Dio, ci incamminiamo nella narrazione. Perché ormai tutti sanno che si andrà al secondo turno e anche se i due professori faranno solo finta di litigare perché in realtà fanno parte della stessa “cricca”, c’è ancora molto da raccontare.