Catanzaro. La mafia non spara, adesso “assolve” comprando le sentenze

La mafia non spara a Catanzaro. Acquista le persone e le loro coscienze, costruisce operazioni di speculazione morale usando un nuovo tipo di finanza agevolata, quella degli incarichi prevalentemente regionali, secondo uno schema ormai consolidato che si replica ad ogni appuntamento elettorale.

Catanzaro è la città della massomafia, la citta del “sistema” quello venuto fuori come un fungo tossico dopo le operazioni della Dda di Nicola Gratteri, che hanno disvelato il valore nascosto della città e le implicazioni di certa politica, troppo vicina ad ambienti criminali, ma soprattutto partecipata da questi nei suoi snodi più significativi. Il valore positivo, sempre in ipotesi, della politica anche quella che si presume vicina ai cittadini, deve essere sempre declinata secondo il manuale delle ‘ndrine, ma soprattutto secondo le alleanze con le diverse “obbedienze”, un’altra caratteristica ormai consolidata della città di Catanzaro.

Questo è il perimetro consolidato dentro il quale si stanno componendo i diversi schieramenti che daranno vita alla prossima competizione elettorale cittadina, dove al netto dei singoli candidati a sindaco salvo eccezioni da verificare, sono quasi sempre figure riconducibili per diversi aspetti al “sistema”, e lo spostamento delle truppe più che la caratteristica della trasversalità ha quello dell’interesse specifico della massomafia. Non esiste il valore della politica a Catanzaro, salvo che la stessa non la si voglia intendere, per come è giusto, come un alleanza costruita al momento secondo le esigenze del crimine e del compasso.

Sullo sfondo resta una città dilaniata nel suo valore morale dove bische e biscazzieri, quelli di lungo corso e dalla casacca double-face, cercano di dettare l’agenda futura mettendo sulla bilancia la loro compartecipazione, il cui valore viene pesato in oro, quello che deve essere pagato prima come una specie di riscatto. La mafia non spara a Catanzaro minaccia il sequestro e chiede la mazzetta.

Catanzaro è una città sequestrata, sotto assedio da anni per una mortalità criminale votata alla lungodegenza, mentre la crisi delle nascite segna il passo, mettendo in predicato la speranza, quella dispersa al vento e tradita dai pochi pargoli della politica, cresciuti al pane e truffa secondo il vecchio metodo del “sistema” Catanzaro.

La politica è terreno di approdo della massomafia, dove scafisti clandestini si spostano insieme alle truppe da una sponda all’altra, senza distinguo di colore, di appartenenza e di ideologia. La tessera e la militanza ha il valore della fidelity card, quella dei supermercati, perché ormai parliamo di compravendita di uomini e di pacchetti di voto, quelli orientati e comandati dalle locali di ‘ndrangheta politica che da fuori le mura ormai comandano sulla città di Catanzaro, mentre resta sospeso il valore morale. Sospeso dall’azione della magistratura locale, che dice di essere ancora in cammino, ma inciampa negli agguati di palazzo dove tutto si regge nell’accordo, ormai storico, fra toghe facilitatrici nelle sentenze e parte di una Magistratura a tratti inquinata. E’ un ambiente sospeso dove il voto dei cittadini è nullo, anche se tutti lo professano libero, ben sapendo che è condizionato ed inquinato più di prima.

La storia e le sue implicazioni del passato sono state l’unico punto fermo nello squallido scenario delle elezioni comunali a Catanzaro. Racconta le diverse epoche, i fenomeni elettorali e le pietre d’inciampo, mettendo in prima linea i centri di potere, quelle lobby terreno di coltura di affaristi e mercenari politici, ma altrettanto di colletti bianchi e magistratura organica al sistema, quella che resta il vero nemico, il fuoco amico che ha pesato come un macigno sull’azione di Nicola Gratteri, ormai volato a Napoli.

Chi delinea il futuro possibile per la città di Catanzaro con la nuova era del “professore vincente”, quello lanciato a fionda nella competizione, che per distrazione o per opportunità dimentica di guardare nel suo retrobottega dove galleggia la questione morale, sa coscientemente di mentire bruciando sull’altare della massomafia ogni energia utile che comunque potrebbe diventare ostile al clima di restaurazione che si respira in città. E’ sempre quel mondo di mezzo che qualcuno, quasi schifato, fino a ieri diceva di non conoscere il vero motore delle macchine politico-affaristiche che si sono schierate in pista, pronte a lanciarsi verso il nuovo e la novità, solo declinate a parole, ben guardandosi però di andare a fondo al problema.

Questione morale e credibilità sono al bivio a Catanzaro, una situazione che ha messo in grave crisi la credibilità e anche l’azione del procuratore Nicola Gratteri, accusato da alcuni versanti della città di fare facile giustizialismo, quegli spezzoni di società massomafiosa conclamata che con un ghigno adesso sono trionfanti nel vedere cadere quel baluardo di speranza, così come veniva percepito da grandi percentuali di cittadini normali, che era Nicola Gratteri, al quale però non ci resta che imputargli un esercizio troppo esasperato di politically correct, un vezzo inutile rispetto ad un attacco concentrico del “sistema”, quello che si regge su toghe abituate a facilitare le sentenze con la complicità di parti di magistratura inquinata e organica al metodo del porto delle nebbie, il vero male del sistema giustizia, prima e dopo ogni tipo di riforma.

La mafia non spara a Catanzaro, costruisce e compra le sentenze con l’aiuto dei colletti bianchi. La delegittimazione è il vero terreno di scontro e la recentissima assoluzione di Mimmo Tallini restituisce fuoco alle polveri, quelle del dubbio ed in particolare della costruzione politica per le elezioni amministrative della città di Catanzaro, che si sono risolte a favore di Fiorita grazie proprio ai voti di… Tallini. Non a caso “immortalato” dai meme dei social nei panni di don Pietro Savastano, il boss di Gomorra, che si riprende tutto quello che è “suo”, pardon “nostro”.

Se sul terreno politico è tempo di vendetta tanto che molti si affrettano a cospargersi il capo di cenere, come Sergio Abramo già vittima, giustamente, della forte reprimenda della figlia di Mimmo Tallini, molti altri hanno assistito in campo neutro allo spettacolo, con Caino che cerca di resuscitare Abele e le truppe di occupazione di Peppe ‘ndrina che sono rimaste con il fianco scoperto.

C’è tuttavia al netto della vicenda personale, da rispettare sempre, una serie di domande che restano appese, quelle che Gaetano Mazzuca dalle colonne della Gazzetta del Sud aveva messo nero su bianco: «Possibile che tra sei soci cinque si conoscono e proprio solo uno non conosce gli altri?». È questo l’interrogativo attorno a cui ruota la requisitoria tenuta dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Domenico Guarascio nel processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta Farmabusiness. Nelle oltre due ore di intervento i magistrati della Dda hanno tentato di dimostrare il loro sillogismo giudiziario, ossia che l’allora assessore regionale Domenico Tallini sia stato a conoscenza che la società, in cui ha investito tra i 150 e 200mila euro, fosse riconducibile al clan Grande Aracri di Cutro.

È possibile, si è chiesta la pubblica accusa, che solo l’esponente politico che si rapporta a questa vicenda «non ha contezza del coacervo criminale che assiste la nascita, la costituzione, la fioritura di questo affare?».

Ed ancora: secondo l’accusa «il contributo che offre Tallini all’apertura del consorzio passa attraverso una ricezione delle carte che avviene ancor prima del dicembre del 2013 a Tallini, che assicura che si sarebbe studiata la questione, e avrebbe parlato con i funzionari per come meglio impostare la cosa». Sarebbe stato sempre lui a consigliare di seguire il modello già fatto nel Lazio. Il suo nome sarebbe stato speso fin dall’inizio con i farmacisti da consorziare. Sempre l’allora assessore si sarebbe interessato per trovare un capannone dove realizzare la società e sarebbe stato ancora lui a indicare la ditta a cui affidare le pulizie[…]«ma non è certo l’abuso d’ufficio che stiamo contestando, ma questa contribuzione attiva che troverà poi un elemento pure visibile, finanche poi alla fine la vestizioni di cariche sociali da parte del figlio, e successivamente di ulteriori professionisti che lui stesso in interrogatorio indica come espressione del suo lato economico». Tutti sarebbero stati a conoscenza del ruolo di Tallini. Insomma Tallini si sarebbe occupato dell’intera vicenda e quindi è logico ritenere che fosse informato sull’identità degli altri soci. Per il pm è come essere invitato a giocare a calcetto e non chiedere chi siano gli altri componenti della squadra.

Fin qui le domande di Gaetano Mazzuca che restano in sospeso e che sembrano avere, non si capisce per quale motivo non riferibile, liofilizzato l’azione della procura di Nicola Gratteri mentre le sentenze si rispettano e non si discutono, almeno secondo quel principio di rispetto della giustizia…

Tutti onesti, per carità! Non saremo certo noi a metterlo in dubbio, ci limitiamo soltanto ad incrociare le notizie, osservando come solidarietà storiche stiano saltando. Saltano quelle alleanze politiche ultraventennali che hanno governato la città di Catanzaro per un tradimento conclamato ai danni di Mimmo Tallini, considerato senza appello Belzebù fino a ieri, proprio dai suoi più fedeli seguaci, scappati con grande fretta dal recinto.

Ma saltano anche quelle costruite sui proventi della sanità calabrese e sui buchi di bilancio dell’azienda ospedaliera universitaria di Catanzaro, quei famosi cento milioni di euro ereditati dalla Fondazione Campanella, puntualmente ricordati dalla Corte dei Conti, che oggi nessuno ha il coraggio di intestarsi, perché tutti erano distratti. Un altro capitolo delle controversa storia di Catanzaro, la città della massomafia.

Sono questi gli argomenti ostici che nessuno ovviamente ha voluto riesumare, che nessuno ha trattato in campagna elettorale: una specie di “pax mafiosa” utile a tutti, visto che tutti, chi più chi meno, hanno la loro personale responsabilità, quella che è utile dimenticare ed annacquare con i vezzi di dignità e di moralità granitica. Tutti uguali da destra a sinistra senza discontinuità, senza colpa e senza affanni(!)

Oggi tutti ostentano le proprie immaginette, quelle in odore di santità, tutti si autoproclamano il nuovo Messia per la città di Catanzaro, ma tutti dimenticano di essere stati prima Giuda e di aver operato nel passato come Longino trafiggendo il costato di Cristo con la lancia dell’immoralità diffusa, quell’argomento che resta sospeso nella pratica, ma che viene incensato solo dalla retorica, senza dire il come ed il quanto.

Lobby e logge sono già al lavoro: la restaurazione sulla città di Catanzaro è cosa fatta. La mafia non spara a Catanzaro, rastrella le azioni non quotate, spezzetta il patrimonio cittadino e lo rivende. Risolve così la “questione morale”, la grande incognita che si chiama Mimmo Tallini che ha fatto scivolare nel baratro i sogni di gloria di tanti, di troppi e l’ultimo salvagente dei naufraghi dichiarati, perché macchiatisi di tradimento. Nelle ultime ore si affollavano i “mayday” e molti naufraghi ritornavano a nuotare controcorrente risalendo la foce della Fiumarella, quando fino al giorno prima veleggiavano in mare aperto per raggiungere l’approdo nel porto di Vibo Valentia, il covo di Peppe ‘ndrina. Potenza della “giustizia”…

Questo non risolve il problema, semmai lo amplifica in negativo. La regola è sempre la stessa: la politica è puttana e, ci spiace dirlo, Giulietta è zoccola!

La mafia non spara a Catanzaro ma diffonde le sue metastasi tumorali nelle istituzioni. Così la questione morale diventa opzione positiva nel pedigree politico lasciando parola ed azione ai tanti consiglieri indagati contro i quali il nuovo sindaco, magari appoggiato dagli stessi, dovrà decidere se perseguire la costituzione di parte civile per danno all’immagine dell’Ente, o verosimilmente secondo il manuale delle ‘ndrine, dire che siamo su “Scherzi a parte”.

Catanzaro resta la città della massomafia, di “Basso Profilo” ed ecco che le investiture nascono e muoiono nel campo del centrodestra con la velocità di un battito d’ali, perché è il “sistema” che deve essere tutelato, quel reticolo di interessi e di complicità spesso mafiose che prevalgono sul bene collettivo e che, in fondo possono giustificare una sconfitta per garantire la vittoria alla mafia, quella che non spara a Catanzaro. Ed è andata proprio così!

La mafia non spara a Catanzaro, identifica il profilo del “nuovo sindaco” nel circuito della “Santa” e recupera il manuale di “Basso Profilo”. La città di Catanzaro si garantisce e si riconsegna all’organizzazione del “sistema”, dove fra scie di neve chimica riceve il gradimento politico di chi siede in Commissione Antimafia tenendo i piedi ben saldi nel mondo di mezzo delle ‘ndrine e della politica corrotta.