CATANZARO-COSENZA, LA STORIA DEL DERBY
I primi anni Cinquanta sono tra i più bui sia per il Catanzaro sia per il Cosenza. Si giocano ancora altri quattro derby in Serie C con rispettive vittorie in casa di rossoblù e giallorossi. Poi, nel 1953, Cosenza e Catanzaro retrocedono in Quarta Serie e vanno in scena per la prima volta due derby di Serie D. Il Catanzaro – che vince il derby al Militare per 1-0 – risale subito mentre per il Cosenza occorrerà attendere ancora qualche anno.
E’ il 1958 l’anno del ritorno dei derby. L’avvento alla presidenza di Salvatore Perugini ha finalmente prodotto i suoi frutti. Il tecnico Gastone Prendato è stato messo in grado di gestire una delle “corazzate” della serie C. Ma anche il Catanzaro, in serie C già da diversi anni, con a capo un giovane presidente di nome Nicola Ceravolo, destinato a diventare “leggendario”, ha programmato una stagione da protagonista, guidata da un altro allenatore di grido, Piero Pasinati.
Si capisce già dalle prime battute del campionato 1958-59 che i “cugini” si contenderanno la promozione in serie B. Tra i rossoblù la “star” è il capitano Mario Uxa, attaccante di gran classe, che già negli anni passati ha segnato valanghe di gol, soprattutto in acrobazia, ed è l’idolo dei tifosi. Ma anche la mediana è messa bene con i granatieri Bordignon e Delfino.

In avanti, oltre che ad Uxa, ci si affida al talento di Ardit e alla fantasia delle ali Risos e Palpacelli. Quest’ultimo è rimasto un mito per le sue travolgenti discese e per la sua capacità di crossare in corsa.

Tra i giallorossi gli elementi più in vista sono l’esperto portiere e capitano Masci, la quotata ala destra Raise ma soprattutto due fantasisti che hanno segnato un’epoca, determinanti nel risolvere il “testa a testa” con il Cosenza a favore della città dei Tre colli. Il primo è Giovanni Fanello. E’ nato a Pizzo, il paese dei tartufi, e ha appena 19 anni. Fino all’anno prima giocava in Promozione con la squadra napitina. Ma Pasinati non ha esitato a lanciarlo in prima squadra, estasiato dal suo gioco di gambe ubriacante. Il secondo è Gennaro Rambone, napoletano verace, bomber di sfondamento.

1-1 il risultato finale del derby giocato nel girone di ritorno (all’andata al Morrone era finita 0-0) al Militare il 15 marzo 1959 con reti del catanzarese Rambone al 57’ e pareggio di Ardit al 68’. La partita è inserita nella schedina del Totocalcio. Eccezionale cornice di pubblico per l’attesissimo derby, battuto ogni primato di presenze. Almeno 10.000 gli spettatori presenti, di cui oltre 2.000 cosentini, giunti nella città dei Tre colli con ogni mezzo a disposizione.
Esemplare contegno delle tifoserie: nessun incidente degno di rilievo tranne qualche piccola ed inevitabile scaramuccia. Prima dell’inizio dell’incontro, il sindaco di Catanzaro, Generale Gregorio Morisciano, entra personalmente sul terreno di gioco per offrire un mazzo di fiori giallorossi al capitano rossoblù, in ossequio alla lealtà sportiva fra i due centri ed alla successiva correttezza che avrebbe caratterizzato, in campo e sugli spalti, la pur delicata partita.
In classifica, la lotta per le posizioni d’avanguardia non cambiava: il Cosenza restava capofila della serie C meridionale conservando due lunghezze di margine sui giallorossi catanzaresi. Ma alla fine il Catanzaro arriverà primo con 47 punti, seguito dal Cosenza a quota 46.
A margine del derby, da registrare un colorito episodio; il signor Francesco Giudice, meglio noto a Cosenza come “Cicciu ’u cravattaru” compie un gesto plateale ed in segno di sacrificio, per lo splendido pareggio conseguito, si fa tagliare i baffi dopo 25 anni. Una gran folla assiste alla “cerimonia” svoltasi davanti al Comune di Cosenza il giorno dopo il derby sottolineando con applausi a scena aperta l’avvenimento.
CICCIU ‘U CRAVATTARU
Allo stadio Morrone, il tempio del tifo cosentino, ogni domenica sono almeno diecimila i tifosi che incitano la squadra. Ma ce n’è uno in particolare che ha potere carismatico su di tutti.
E’ un giovanotto di 35 anni, bassino, esile, con un gran sorriso e uno splendido paio di baffi da sparviero. Gestisce un chiosco di cravatte a piazza dei Bruzi. Ma non c’è dubbio che la maggior parte del suo tempo la passi a pensare al suo Cosenza e al modo migliore per incitarlo, sia in casa che in trasferta. All’anagrafe è conosciuto come Francesco Giudice, ma per tutti è semplicemente “Cicciu u cravattaru”, il suo nome di battaglia. Non c’è nessuno che faccia riferimento al suo vero nome… La voce è il suo punto di forza. I suoi assoli all’interno del catino di via Roma sono uno spettacolo. La terna arbitrale e gli avversari sono i suoi bersagli preferiti. I beniamini in rossoblù lo adorano.
Per renderci conto di quanto fosse importante la sua figura siamo riusciti a reperire un documento d’epoca che ne tratteggia un ritratto esilarante. Con tanto di caricatura.
La testata si chiamava Cosenza Sport…
“… La prima nota che si eleva nel cielo, brillante di sole o umido di pioggia, è quella che parte dalla sua ugola gracidosa. L’arbitro diventa un venduto prima ancora di fischiare l’inizio della partita, i segnalinee diventano catanzaresi dal momento in cui fanno il controllo delle reti e i giocatori ospiti assumono il mestiere di macellaio fin dal loro apparire sul terreno…”. E la partita, com’è facile intuire, non è neanche iniziata…Dicevamo che i calciatori non potevano fare a meno di adorarlo. E la testimonianza di Giorgio Trocini, terzino del Cosenza di Zsengheller promosso in serie B nel 1960-61, è quanto mai opportuna.
«Io giocavo spesso nel ruolo di terzino sinistro, a due metri di distanza dal pubblico. Quando giocavo dalla parte della tribuna A, Cicciu u cravattaru era l’attrazione principale, e non solo per il suo colorito incitamento. Non appena si sviluppava un’azione pericolosa, non necessariamente del Cosenza, lui si sentiva male… Ma dietro a lui c’erano decine di tifosi che, visibilmente sorridenti, erano pronti a non farlo cadere a terra… La scena si ripeteva quasi ogni domenica… Era uno spasso: ditemi voi come facevo, anche se stavo giocando, a non ridere?».
Lo intervistammo nel 2008, quando aveva già quasi 90 anni. Punto di partenza, naturalmente, le cravatte ovvero come è riuscito ad aprire il suo mitico chiosco a piazza dei Bruzi.
«Sono tornato dalla prigionia in guerra dopo tre anni – ricordava -. Visto e considerato che non c’era possibilità di lavorare, mi avevano proposto di arruolarmi nella polizia, ma io ero appena tornato dal fronte e non avevo nessuna intenzione di continuare quel tipo di vita e allora mi sono messo in commercio. Vendevo calze, cravatte eccetera. Poi ho chiesto al sindaco di allora, la buonanima di don Salvatore Perugini, se era possibile aprire un chiosco…».
Appena si nomina la famiglia Perugini, il buon Ciccio ha subito pronto un aneddoto per l’ex sindaco.
.«Quando Salvatore era piccolo ed eravamo allo stadio Morrone, dopo una partita andata male, un tifoso ha tentato di rovesciare la macchina del sindaco all’interno della quale c’era il nipotino, che avrà avuto otto-nove anni. E allora don Salvatore mi ha mandato a chiamare. Volete sapere cosa gli ho detto? Don Salvatò, voi dovete sapere che fino a quando non esce l’ultimo giocatore dal campo, io non esco… Però vi chiedo solo un favore, una preghiera, non vi chiedo né posti di lavoro né altro: visto che il mio chiosco a piazza dei Bruzi non ha nessun tipo di copertura, fatemi coprire la testa perché io, quando torno a casa, sono sempre bagnato fradicio… Allora, infatti, avevo solo un ombrellone… E così il sindaco mi ha dato finalmente l’autorizzazione…».
Quando gli ricordiamo che era riconosciuto da tutti come capo dei tifosi, u cravattaru si schernisce. «Ma ce n’erano anche altri… Per esempio Elio Principato, che non mi lasciava mai…». E tesse le lodi del pubblico di Cosenza: «Qui da noi non è mai accaduto quanto vediamo in altre parti d’Italia…».
Ma com’era il tifo negli anni Sessanta?
«Eravamo organizzati, altro che chiacchiere… I tifosi gridavano eccome, si facevano sentire. Non erano ultrà, come dicono adesso, ma noi eravamo tosti. E poi la tifoseria di Cosenza era quella che avvicinava tutti i ceti sociali: l’avvocato veniva vicino a me, il dottore vicino a Elio Principato e così via… Ci davamo appuntamento con largo anticipo per prenderci i posti…».
Un capitolo a parte per la rivalità col Catanzaro. E qui Ciccio dà il meglio di sé. «Sono pezzenti e presuntuosi! E se non era per i politici che gli hanno fatto avere il capoluogo di regione sarebbero stati una completa nullità… A noi ci hanno dato il contentino dell’università ma adesso ce l’hanno pure loro. Sono presuntuosi e facci tuasti… Però avevano una bella squadra…» .Il finale è tutto dedicato a quella scommessa che l’ha costretto al taglio dei suoi amati baffi. Elio Principato ricorda che gli aveva proposto la scommessa alla vigilia di quel Catanzaro-Cosenza del 1959. «Se avessimo ottenuto un risultato positivo, Ciccio si sarebbe dovuto sottoporre al taglio dei baffi». ‘U cravattaru ricordava lucidamente: «Abbiamo pareggiato 1-1 e ci siamo preparati per la cerimonia davanti al Comune. Hanno sistemato un palchetto, sono salito, è arrivato mastru Tuturu il barbiere e zac! Quella mattina Cosenza era paralizzata. A piazza dei Bruzi c’erano almeno tremila persone. Hanno fatto festa gli uffici, i bar, i negozi e le scuole: sembrava una festa patronale… C’erano anche i vigili che regolavano il traffico perché avevano chiuso anche corso Mazzini… In quel periodo c’erano le elezioni ed è passata una macchina con all’interno qualche onorevole che doveva andare a parlare. Ha visto che non poteva passare e ha chiesto al vigile quale politico stesse parlando. Si è sentito rispondere “Cicciu u cravattaru»…
Storia e memoria di un pezzo della nostra vita.