La ricostruzione della storia del derby Catanzaro-Cosenza in terra giallorossa arriva ai mitici anni Sessanta. Nella prima parte di quel decennio, giallorossi e rossoblù si affrontano per tre stagioni consecutive in Serie B.
GLI ANNI SESSANTA
All’alba degli anni Sessanta rossoblù e giallorossi si ritrovano in serie B. Il Cosenza di Zsengeller è reduce da una storica seconda promozione in Serie B inseguita vanamente per dodici lunghi anni con tanto di spareggi persi e testa a testa sfortunati, l’ultimo dei quali proprio contro i cugini catanzaresi due anni prima. Il Catanzaro di Arcari gioca il suo terzo campionato consecutivo nella cadetteria e inizia a coltivare qualche timida ambizione.
Nella stagione ’61-62 il Cosenza riesce ad ottenere un pareggio per 1-1 al Militare. La partita, giocata il 27 febbraio 1962, è condizionata dalla pioggia, che riduce il campo ad un acquitrino. Il Catanzaro va in vantaggio al 23′ della ripresa quando Florio su passaggio di Guglielmoni gira al volo in rete sorprendendo il portiere cosentino. Il Cosenza pareggia a dieci minuti dalla fine. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo, il portiere Masci incappa in un clamoroso svarione respingendo malamente la palla sulla nuca del compagno di squadra Raise vedendosi così rotolare in rete la palla beffardamente.
Nella stagione successiva – 1962-63 – al “Militare” un gol di Zavaglio piega i Lupi, che comunque sono protagonisti di un brillante inizio di campionato, fondamentale per mettere fieno in cascina ed evitare sempre possibili brutte sorprese. Alla guida del Cosenza c’è Todeschini, che l’anno prima ha sostituito Zsengeller e, in qualche modo, ha centrato l’obiettivo della salvezza. La “vecchia guardia” è rappresentata dal forte centromediano Federici e dal bomber livornese Agide Lenzi, tra i nuovi il più in palla è senza dubbio il fantasista Marmiroli, che fa innamorare i cosentini con le sue leggendarie serpentine.
Il Catanzaro di Remondini va assumendo sempre più la fisionomia di una squadra di categoria. In avanti gioca un certo Osvaldo Bagnoli, il milanese che vent’anni dopo, da allenatore, vincerà lo scudetto con una provinciale, il Verona. Ma emergono anche talenti di grido come Mecozzi e Maccacaro, che solo qualche anno più tardi saranno i protagonisti massimi di quel Catanzaro che, nonostante giocasse in serie B, arriverà addirittura alla finale della Coppa Italia contro la Fiorentina.
La stagione 1963-64 sarà ricordata a lungo come l’ultima per il Cosenza in cadetteria. I Lupi infatti retrocederanno al culmine di un’annata particolarmente travagliata e faranno ritorno in Serie B soltanto 24 anni dopo mentre il Catanzaro, proprio in quel lasso di tempo, conoscerà le stagioni memorabili della sua storia. Prima la finale di Coppa Italia del 1966, poi la storica promozione in Serie A del 1971 e quelle successive del 1976 e del 1978. Il derby di dicembre 1963 sarà giallorosso: 2-0. Sotto, il tabellino.
GIGINO LUPO E I TIFOSI STORICI
La storia di una società calcistica fa leva inevitabilmente sull’estro dei calciatori e sull’abilità dei dirigenti. Negli annali saranno scritte a caratteri più o meno cubitali le loro imprese ovvero le promozioni nelle categorie superiori. Ognuno di noi è legato a un ricordo particolare, a un calciatore che ha lasciato il segno più di tanti altri, a un presidente che ha avuto la fortuna di essere seduto su quella poltrona nel momento migliore.
Ma se calciatori e dirigenti passano, magari rimanendo nel cuore di un’intera città, non c’è dubbio che i tifosi rimangono ed entrano nella leggenda molto di più rispetto ai protagonisti delle singole annate.
Il limite di chi racconta il calcio nella nostra realtà spesso è quello di non tenere nella giusta considerazione i personaggi più carismatici della tifoseria fermandosi alla cronaca o tutt’al più alla documentazione di una coreografia. E così, nella memoria del tifo autentico, per fortuna qualcuno ha anche raccontato chi erano questi tifosi.
Rafeli d’ù Gatto Nero è stato l’ultimo dei tifosi storici del Cosenza a lasciare la vita terrena e ha lasciato il suo e il nostro Cosenza in Serie B, come aveva sempre desiderato fin da quando era ancora un ragazzo e quel “paradiso” lo aveva vissuto intensamente insieme ai padri della nostra passione.
Raffaele Mandoliti era il più diretto discendente di quella generazione che aveva portato i colori rossoblù nelle case di tutti i cosentini e dei suoi pionieri indiscussi: Ciccio ‘u Cravattaru, Gigino Lupo e Gianni Bruno, Santinu u marmuraru e Ignazio tanto per citare le leggende. Che poi avrebbero portato a Piero Romeo e agli Ultrà Cosenza tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta.
Gigino Lupo è il padre di tutti i tifosi rossoblù. La storia della sua passione fa parte a tutti gli effetti della storia della città e della società.
L’immagine che lo caratterizza è quella del periodo più critico del percorso societario, quella in cui i tifosi dovevano inventarsi le celeberrime “collette” per assicurare gli stipendi ai calciatori perennemente in sciopero e sul punto di non giocare le partite in trasferta.
Gigino Lupo ha fondato il club che probabilmente ha raccolto più fondi per il Cosenza: “I Fedelissimi”. A quella palestra si sono “allenate” tutte le future generazioni della tifoseria rossoblù.
Poliziotto, prestava servizio proprio a Catanzaro ed era l’anima della tifoseria. Nella città dei Tre Colli ha lavorato per tanti anni, compresi quelli in cui le due squadre erano in Serie B, negli anni Sessanta. E per Gigino non era facile “convivere” con i “cecè”.
Le cronache delle tifoserie narrano addirittura (per come scrive anche Sergio “Canaletta” Crocco, uno dei tanti figli rossoblù di Gigino Lupo) della pitturazione in giallorosso del balcone di Gigino quando lavorava lì. Ma lui, il padre di tutti i tifosi rossoblu, non solo non ha abbandonato la sua fede ma non perdeva occasione per ricambiare le “cortesie”.
In tanti lo ricordano in Tribuna B a dare il massimo per la nostra squadra del cuore. Spesso con l’ombrello puntato sul guardalinee o sull’arbitro di turno e sempre con quel tono di voce che era diventato familiare.
1977-78: un anno di squalifica del San Vito, tutte le partite in trasferta. Se il Cosenza non è rimasto solo lo si deve principalmente a lui, capace di organizzare carovane rossoblù per tutta l’Italia meridionale al seguito della sua passione. E poi la prima esperienza del Centro Coordinamento Clubs non poteva che vederlo presidente. Ancora oggi il Coordinamento porta il suo nome. Impossibile non pubblicare la poesia di Sergio Crocco dedicata a lui: una fotografia perfetta di ciò che ha rappresentato per il Cosenza Calcio un uomo come Gigino Lupo. Impossibile non pubblicare la poesia di Sergio Crocco dedicata a lui: una fotografia perfetta di ciò che ha rappresentato per il Cosenza Calcio un uomo come Gigino Lupo.
Il Bar Gatto Nero e un negozio di marmi erano i quartier generali del club “I Fedelissimi”. I titolari erano Raffaele Mandoliti e Santino Gervasi.
Mandoliti era diventato fin da subito Rafeli d’ù Gatto Nero, era inevitabile. Il suo bar era il punto di ritrovo di migliaia di tifosi, specie quando si respirava aria di vittoria. Rafeli rappresentava l’anima popolare del tifo, il suo quartiere di via Popilia, lasciava il segno con la sua diplomazia tutta cosentina ed era un lavoratore instancabile, soprattutto se il suo lavoro era finalizzato alla causa del Cosenza.
Al Gatto Nero si prendevano i biglietti per la partita, si organizzavano i torpedoni per le trasferte, si facevano i primi striscioni e si confezionavano le bandiere: il fenomeno ultrà a Cosenza è nato anche davabti a quel bar di corso Mazzini a due passi dalla fontana di Giugno e dal sempre famigerato Municipio.
Per i giovani cronisti degli anni Ottanta era impossibile non passare dal Gatto Nero per fare qualche domanda a Rafeli sulla quantità dei biglietti acquistati, sulle modalità per raggiungere i pullman e naturalmente sulle fortune dei Lupi, che tornavano in B dopo 24 anni.
Anche Santino Gervasi, detto ‘u marmuraru, e il suo inseparabile compagno d’avventura Ignazio Nisticò incarnavano l’anima popolare e fatalista del tifoso medio. Se il Gatto Nero era il quartier generale de “I Fedelissimi”, il negozio di marmi di Santino è stato il “covo” di un’intera generazione di sostenitori diciamo più attempati. Il loro gruppo folk, “Il Trio della Sila”, ha cantato Cosenza per decenni. La trasmissione “Noi tifosi” è un punto di riferimento per chiunque voglia cimentarsi a seguire il Cosenza attraverso l’etere. Mai una polemica, mai una parola fuori posto: solo amore e passione per i colori rossoblù.
La grandezza di Raffaele Mandoliti e de “I Fedelissimi” è stata quella di aver sostenuto il Cosenza nei periodi più bui della sua storia, negli anni Settanta, tra rovinose invasioni di campo e società tutt’altro che virtuose, con la tifoseria protagonista di “collette” prodigiose per far scendere in campo la squadra.
L’alter ego di Gigino Lupo era Gianni Bruno di Domanico. Il suo ultraquarantennale sodalizio con Gigino Lupo è passato di diritto nella leggenda del tifo rossoblù. Dal 1967, quando è tornato dall’America, il buon Gianni è stato il suo braccio destro, contribuendo a creare, praticamente dal nulla, i club che hanno contraddistinto decenni di passione. Dal “Lupi della Sila” ai “Fedelissimi” al “Francesco Guido”. Dalle croniche difficoltà degli anni Settanta, quelli delle collette e dei viaggi disperati per consentire il pagamento degli stipendi allo splendore della fine degli anni Ottanta quando finalmente i colori rossoblù sono tornati nell’olimpo del calcio.
La sua casa di Domanico è stata un crocevia di tecnici, calciatori, addetti ai lavori, ultrà e semplici tifosi. E Gianni ha sempre stupito tutti per la sua squisita ospitalità e per il suo eccezionale attaccamento alla causa. Al piano inferiore, dove c’era il club “Lupi della Sila”, Gianni conservava una quantità pressoché infinita di ricordi, cimeli, fotografie. Un archivio impressionante. Il Centro Coordinamento Clubs è stato una loro creatura.
La dote migliore di Gigino Lupo? “Non potevi aprire bocca se avevi bisogno di qualcosa – raccontava Gianni -. Te la trovava subito… Il nostro viaggio più pazzo è stato quello per arrivare a Modica per portare i soldi ai giocatori che avevano già annunciato che non sarebbero scesi in campo. Sembrava che questo paese non esistesse sulla faccia della terra… E poi eravamo sempre insieme: io e Gigino Lupo. Anzi, Gigino Lupo e Gianni Bruno. Raccoglievamo soldi da tutte le parti. Anche dall’America spedivo dollari alla società del Cosenza…”. Ora Gigino, Gianni, Santino, Ignazio e Rafeli sono insieme lassù a tifare Cosenza e a noi non resta altro da fare che tramandare la loro passione alle generazioni che verranno. Perché una città senza memoria è una città senza futuro.