Dal campionato di Serie B 1963-64 passeranno 21 anni prima di un nuovo derby tra Catanzaro e Cosenza.
Vent’anni nei quali il Catanzaro ha conosciuto gioie e soddisfazioni a ripetizione e il Cosenza è stato costretto a remare controcorrente, perennemente assillato da problemi societari. I giallorossi hanno conquistato la serie A nel 1971, l’hanno persa subito dopo ma dal 1978 in poi hanno inanellato sei anni consecutivi nella massima serie costellati di grandi risultati, ottimi piazzamenti e dalla continua valorizzazione di talenti. Su tutti quel Massimo Palanca che diventerà uno dei simboli indiscussi delle palle inattive su scala nazionale. I suoi calci d’angolo tagliatissimi e ad effetto e le sue potenti punizioni ancora oggi vengono ricordati come esempi di grande perizia balistica. E alla fine degli anni Ottanta il Cosenza sperimenterà sulla sua pelle la sua eccezionale efficacia.
I rapporti tra le tifoserie sono diventati incredibilmente distesi e fraterni. Senza più l’assillo del confronto diretto e della rivalità, i tifosi cosentini hanno trovato la maniera per partecipare attivamente ai successi dei cugini. Che, dal canto loro, hanno ricambiato con uguale calore. Non passava una sola estate in cui il Catanzaro non facesse visita al Cosenza e non si contano le occasioni in cui i giallorossi hanno giocato partite ufficiali sul “campo neutro” del San Vito o per i lavori di restauro dello stadio o (molto più spesso per la verità) per gli strali del giudice sportivo dopo qualche episodio di intolleranza dei tifosi catanzaresi.
I cosentini, in pratica, forse per dimenticare le amarezze provocate dalla loro squadra del cuore, non disdegnavano di sostenere quel Catanzaro che, in ogni caso, era diventata la squadra vessillifera del calcio calabrese, grazie anche al carisma e al savoir faire del suo presidente Nicola Ceravolo. Memorabile la sfilata cosentina dei giallorossi appena promossi in serie A nella centralissima corso Mazzini tra gli applausi della folla. Ma si festeggiava anche nella città vecchia, come testimonia la foto di copertina con tanto di ringraziamenti per il caloroso tifo.
Il Catanzaro in Serie A era stato un evento che coinvolse quasi tutta la Calabria, ai tempi della rivolta di Reggio Calabria. Erano i tempi di “Catanzaro cha cha cha capoluogo e Serie A”. Era il 27 giugno 1971 quando il gol di Angelo Mammì al San Paolo di Napoli nello spareggio contro il Bari regalò per la prima volta la Serie A alla Calabria.
Qualche tempo fa, abbiamo chiesto al giornalista di Catanzaro Alessandro De Virgilio di contestualizzare il punto di vista catanzarese – e di riflesso anche quello cosentino e calabrese – in quella situazione sociopolitica pesantissima e delicatissima del 1970-71.
La promozione in Serie A del Catanzaro fu un evento andato ben oltre il dato sportivo. La stagione 1970-71 coincideva con l’avvio del regionalismo e con la sollevazione di Reggio Calabria contro Catanzaro per il capoluogo di regione. La città dello Stretto fu sconvolta per diversi mesi, dal luglio del 1970 al febbraio dell’anno successivo, dai disordini provocati nel nome del capoluogo dalla destra eversiva con il sostegno, secondo alcune inchieste della magistratura, della ‘ndrangheta. La protesta coinvolse comunque larghi strati della cittadinanza reggina e fu, in ogni caso, una rivolta popolare per quanto strumentalizzata, un caso unico in età moderna che non sarà mai analizzato abbastanza.
Anche a Catanzaro si vivevano momenti di tensione, non solo per le notizie provenienti dallo Stretto, ma anche a causa dei tentativi di attuare nella città designata capoluogo la strategia della tensione attraverso le bombe, una delle quali provocò la morte dell’operaio Giuseppe Malacaria. Fra le due comunità c’era un clima di guerra civile, di vero e proprio odio. Com’è noto, la designazione di Catanzaro, del resto già sancita nella relazione della commissione Donatini-Molinaroli 20 anni prima, fu confermata e suggellata dallo statuto della Regione. E’ evidente che in quel clima la promozione in Serie A del Catanzaro ebbe un significato di grande valenza sociale non solo per la città. Le cronache dell’epoca raccontano che la notizia dell’esito vittorioso dello spareggio giocato a Napoli contro il Bari con il gol di Mammì che regalò la promozione ai giallorossi fu accolta con manifestazioni di gioia non solo a Catanzaro ma anche a Cosenza e in altri centri della Calabria. E perfino a Messina, si legge in un servizio del Corriere dello Sport del giorno successivo all’impresa, ci fu chi inneggiò a Catanzaro e al Catanzaro.
Questo significa che la causa di Catanzaro raccoglieva consensi anche fuori dalle mura cittadine?
Sul piano prettamente sportivo era la Calabria ad andare in serie A. Dopo mesi in cui la regione era stata sulle prime pagine dei giornali nazionali e internazionali per la rivolta di Reggio, i calabresi tornavano sotto i riflettori per un fatto positivo, in un paese in cui , peraltro, il calcio è popolarissimo. Il piccolo Catanzaro avrebbe sfidato i grandi club, squadre blasonate come Juventus, Inter, Milan popolarissime in Calabria. I tifosi delle grandi squadre avrebbero potuto quindi vedere i loro beniamini al vecchio “Militare”. E si pensi alla condizione dei tanti calabresi emigrati al Nord, spesso emarginati e relegati nel loro ruolo di manodopera per il triangolo industriale, che videro la squadra della città capoluogo della loro regione sfidare le grandi.
La squadra, peraltro, appena qualche anno prima, aveva clamorosamente centrato l’obiettivo di giocare la finale di Coppa Italia, perdendo all’Olimpico di Roma, ma solo su rigore, e per giunta nei tempi supplementari, per l’errore di un difensore, contro la Fiorentina, una finale in cui aveva dominato. I giallorossi, peraltro, arrivarono alla sfida decisiva dopo aver battuto a Torino la Juventus. Il Catanzaro di quegli anni era già grande prima di giocare il suo primo torneo nella massima divisione. Sul piano geopolitico, non è un mistero che molti Comuni delle altre province calabresi, nel Settanta come nella prima contesa del Cinquanta, parteggiassero per Catanzaro capoluogo. E così lo slogan Catanzaro cha cha cha capoluogo e Serie A apparteneva un po’ a tutta la Calabria, escludendo Reggio ovviamente.
Oggi non è più così.
Indubbiamente quel patrimonio di simpatia che Catanzaro aveva guadagnato grazie alle sue tradizioni di città ospitale e signorile, e soprattutto esprimendo una classe dirigente all’altezza del suo ruolo, è stato dissipato da tempo. Un capoluogo non è solo la sede in cui si riuniscono la Giunta o il Consiglio regionale; è soprattutto il posto in cui i cittadini trovano il meglio dei servizi. Sono passati più di 40 anni prima che la città offrisse ai calabresi una sede della Regione all’altezza delle esigenze.
Per decenni gli uffici di interesse regionale sono stati disseminati in immobili presi in fitto, sparsi per la città, con benefici solo per i proprietari che si sono arricchiti. Chi arrivava a Catanzaro lo faceva perché era costretto a farlo, subendo i disagi dovuti al traffico e alla carenza di parcheggi, mentre un tempo da tutta la Calabria si raggiungeva il capoluogo per fare acquisti nei negozi del centro. Catanzaro, che di fatto era già il capoluogo della Calabria e ne otteneva il riconoscimento nello statuto, non ha saputo meritare il credito di cui ha goduto. Questo ha influito sul rapporto con i calabresi che, delusi, hanno sopportato e mai completamente accettato la leadership di Catanzaro, pur avendone a suo tempo sostenuto le ragioni. La città si trova in una posizione ideale, la sua centralità geografica e il suo vasto territorio, che si estende dalla collina al mare, in qualsiasi altro contesto sarebbero stati fonte di ricchezza, ma chi ha governato Catanzaro ha voluto che la città si arroccasse sui suoi colli in ossequio alla speculazione fondiaria e immobiliare, trasformando antichi e dignitosi edifici in palazzi moderni senza alcun criterio estetico. Il centro storico, che aveva un suo pregio, ne è uscito deturpato e il risultato è stato il caos urbanistico. Qualche costruttore si è arricchito, ma la città si è nel complesso impoverita.
Ma in questa sede prevale l’aspetto calcistico. E così, nel nostro racconto, arriviamo agli anni Ottanta e di conseguenza alla ripresa della rivalità con toni purtroppo molto accesi. Un altro capitolo della nostra storia.