Catanzaro-Cosenza, rivalità e stupidità (di Astolfo Lupia)

Ogni santissima volta che si gioca Catanzaro-Cosenza (o Cosenza-Catanzaro) e quindi anche questa volta – si gioca domenica 26 novembre allo stadio Ceravolo – abbiamo provato a cercare le motivazioni di questa rivalità così accesa tra le due città e le due tifoserie.

Noi cosentini la risposta non siamo mai riuscita a darcela. In altre parole: non abbiamo mai capito davvero perché, improvvisamente, il 18 novembre 1984 la città di Catanzaro, che era sempre stata legata da buoni rapporti a Cosenza, ci si è rivelata ostile.

Astolfo Lupia è un ultrà della “Vecchia Guardia” trapiantato ormai da anni a Perugia ma che, anche se da considerevole distanza, non ha mai abbandonato Cosenza ed il Cosenza.

Ecco la sua bella riflessione. 

Nei giorni precedenti il derby del 18 novembre 1984 sostenevo la visita di leva alla “Florestano Pepe”, mangiando lo schifoso murzeddu di Peppinu u Zuzzusu a pranzo e cena (in caserma davano carne dell 1918). Con i miei amici giravamo tranquilli. Uno di noi ci fece entrare in un bar vicino corso Mazzini: tutto a posto con gli indigeni e senza problemi. Ci si sfotteva, ci si pigliava per il culo simpaticamente, ma nulla di più.

Alla fine ci si diede l’appuntamento per domenica allo stadio. Ricordo che in curva Est più di un tifoso di “chirillà” era a vedere la partita con noi (fu la mia prima trasferta). D’altronde c’era poca o nessuna rivalità: ricordo che a fine stagione la partita finale era sempre un’amichevole al San Vito con tanto di fotona di gruppo (ne aveva di fantastiche Vecchione a Piazza Kennedy). Ne ricordo una, di partita, con tanti gol l’anno di Sonetti. In campo neutro le aquile (coccodé) giocavano spesso a Cosenza. E la gente tifava per loro.

milicchio

Ero lì quel diciotto novembre, ho vissuto qualche momento di autentico terrore: non mi sono mai saputo dare una risposta a quel che accadde.

Col tempo ho pensato che all’origine contasse qualcosa il precedente del concerto dei Sound, ma si trattava, in fin dei conti, di scaramucce tra gruppi ristretti di persone.

Ho anche pensato alla matrice politica: di destra loro, di sinistra noi (detto molto all’ingrosso: è innegabile però che nella ovest abbondavano le croci celtiche, nella Bergamini prevalevano invece stelle falci martelli e similia, icone del Che Guevara), ma quelli erano gli anni del “riflusso”: risposta non convincente fino in fondo, anche perché a Cosenza non mancano di certo i tifosi schierati “a destra” e qualche comunista ci sarà pure a Catanzaro e dintorni.

Queste e altre spiegazioni ho cercato, non trovandone nessuna di soddisfacente.

Alla fine, qualche anno fa lessi un libro di un economista molto spiritoso, che si diffondeva con sagacia e acume su un argomento importante e spesso negletto: la nostra essenziale stupidità. Intendo nostra nel senso di specie.

Ecco, mi sono detto: questo è un caso estremo di stupidità, all’ennesima potenza. Campasse ancora il Cipolla – autore di Allegro ma non troppo -, da questa tragica e farsesca vicenda potrebbe, presumo, trarre qualche legge essenziale, “aurea”, direbbe lui su questa nostra specificità tanto diffusa quanto poco investigata.

Astolfo Lupia