Catanzaro. Fondazione Betania, la “dittatura” della Fede e il club di Giuda

La trasparenza delle azioni e la legalità sono valori che sembrano sfuggire alla gestione di Fondazione Betania, almeno a quella che si consolida nell’ultimo anno, quello della reggenza di don Maurizio Aloise, da qualche tempo vescovo di Rossano-Cariati. E’ proprio il vescovo che dice di aver gestito la crisi (finanziaria e morale) insieme agli altri componenti del CdA, don Nicola Rotundo (già conosciuto in Basso profilo), Tonino De Marco, il guru di Agenda Urbana al comune di Catanzaro e l’attuale vicepresidente padre Piero Puglisi, che opera sul territorio catanzarese con un’altra Fondazione diocesana onlus, Città Solidale, estimatore del mattone e palazzinaro per vocazione.

Anche noi come testata giornalistica assolutamente libera ci eravamo interessati di Fondazione Betania nel mese di dicembre 2020, a distanza di qualche giorno dal verificarsi di un focolaio importante di Covid nella struttura per anziani Casa della Mimosa. Lo spaccato che avevamo raccontato, perché conosciuto grazie ad una lettera di un gruppo di lavoratori, è stato a dir poco devastante, per la qualità delle notizie, molte delle quali “notizie di reato”, ma soprattutto per quel grado di arroganza e di impunità presunta, che poi abbiamo scoperto essere reale per le frequentazioni nelle logge massoniche della città di Catanzaro di chi ha la responsabilità della direzione sanitaria di Fondazione ed alcuni medici dell’Asp locale. Alea iacta est: il dado è tratto.

Stato di impotenza e di sconcerto è la sensazione dei molti lavoratori di Betania, che indicando in 31 anziani e 11 operatori come dato dei contagi al 13 dicembre 2020, parlano del dilagare del virus all’interno della Fondazione tra personale ed utenti, per una mancanza di risposta e di un Piano di Emergenza Covid-19, attuato dai vertici aziendali, che sempre se realmente predisposto, si è dimostrato assolutamente non sufficiente a contrastare l’infezione da SARS-CoV-2. Sono sempre i lavoratori di Betania ad aggiungere che nonostante il virus si era già manifestato in altre strutture della Fondazione, come Casa Apa dove tutti, pazienti e operatori, erano stati abbandonati al loro destino, quello che resiste come metodo di contrasto al Covid è una superficialità sulle disposizioni e sulla distribuzione dei DPI, tanto che fino al manifestarsi del contagio nella Casa Mimosa, il personale ha lavorato solo usando guanti e mascherina, con l’unica eccezione dell’uso dei DPI per 2 pazienti che provenendo da una struttura ospedaliera erano isolati in quarantena preventiva in una stanza del reparto di degenza comune e le operazioni di vestizione e svestizione del personale che vi accedeva, avvenivano nel corridoio attiguo alla stanza di isolamento.

Emerge ulteriormente una situazione di caos e di confusione nella gestione dell’emergenza, per la mancanza di percorsi dedicati e distinti fra sporco e pulito e per l’inesistenza di aree di vestizione e svestizione del personale in turno, quella zona di filtro che garantisce come da protocollo il non dilagare del virus nei reparti. L’approssimazione sanitaria ha garantito realmente i pazienti?  Quanti sono i morti da Covid nella struttura di Fondazione Betania? E’ questo il dato che sfugge alla conoscenza della pubblica opinione, ma soprattutto dei parenti che ormai da anni assistono sgomenti alle connivenze ed alla complicità rispetto alle quali, come ci è stato riferito, nemmeno don Maurizio Aloise sembra essere innocente, rispettoso della regola del silenzio ed omertà.

Il vescovo monsignor Maurizio Aloise sarà “compagno di viaggio” nella terra di Rossano, mentre in terra di Catanzaro non lo è stato per quanti, condannati senza appello da medici massoni, hanno intrapreso il loro “ultimo” viaggio senza compagno e senza nessun accompagnamento. Qui è la responsabilità di chi ha gestito e gestisce ancora Betania sotto il profilo sanitario e nella rappresentanza legale, il virus si è moltiplicato nelle strutture, prima a Casa Apa e dopo a Casa della Mimosa, perché nonostante i divieti imposti per tutti i cittadini, dentro Betania si continuavano a celebrare le funzioni religiose in forma comunitaria, tanto che la Messa del giorno dell’Immacolata è stata vettore e causa della pandemia poi scoppiata dopo nemmeno due giorni. Ma, anche su questo nonostante le innumerevoli proteste dei familiari nessuno ha indagato, perché vige il principio della extraterritorialità dove la legge non è uguale per tutti e il mantenimento della zona di non sorvolo, la no-fly zone,  garantisce ed ha garantito fino ad oggi gli affari della curia cittadina, capace di fingere commozione e di non contare i morti. Betania è anche questo: la “dittatura” della Fede.

Perciocché, di qual giudizio voi giudicherete, sarete giudicati; e della misura che voi misurerete, sarà altresì misurato a voi”. (Matteo 7,2)

Ecco che così fra una Chiesa postulatrice di massomafia e l’occupazione militare di posti di potere, perché la Chiesa è potere, la curia di Catanzaro prosegue la sua teologia del crimine, quello morale soprattutto. Betania è terreno di scontro e di valutazione del potere di fuoco delle truppe, ma in particolare roccaforte economica, perché è “la gallina dalle uova d’oro” degli accreditamenti in sanità, quello che vale di più degli uomini e delle vite umane. Questo spiega l’impossibilità di cessione delle quote e i fitti di rami d’azienda, coinvolgendo un gruppo imprenditoriale nazionale della sanità privata di primaria importanza, come ha citato di vescovo Bertolone, che da fonti molto accreditate dovrebbe essere il Gruppo GIOMI.

Se da una parte si chiude, forse positivamente, una vicenda di difficoltà economica dei lavoratori da troppo tempo ridotti alla miseria per una volontà ecclesiale e, si recupera il valore della tranquillità economica che è sempre sinonimo di liberta, dall’altra restano intatte le colpe e le responsabilità di quanti insieme al neo vescovo Aloise hanno gestito, procurando dolore e consumando diversi reati. Riconoscere le colpe è sempre un atto di Fede, ancora prima che queste possano arrivare sui tavoli dei Palazzi Apostolici o sui tavoli della locale Procura, per poi rispondere in un aula di Tribunale. Sarebbe questo certamente il “primo” atto degno di rispetto dell’arcivescovo di Rossano-Cariati, ammettere le sue colpe per essere stato “prete leale e fedele” come ha ricordato monsignor Bertolone, una lealtà che non si dovrebbe coniugare con la colpa di aver coperto qualche morte di troppo, mascherata dal Covid e qualche complicità conosciuta perché consolidata nelle obbedienze di loggia. Ecco perché nell’assoluzione del peccato, quella assolutamente laica di chi ha dovuto solo piangere, lontano da liturgie stanche nel dichiarare il valore della coscienza, sarebbe opportuno un sorvolo ed atterraggio degli organi di Polizia giudiziaria nel recinto di Betania, per indagare fatti e circostanze che oggi, più di ieri chiedono giustizia, senza dimenticare una fermata ai box delle complicità di grembiule dell’Asp di Catanzaro.

Se Basso profilo è stata l’antologia della massomafia a Catanzaro, possiamo dire che Betania è il Bignami di come la Chiesa sappia mutuare il metodo di Giuda. Quel tradimento di uomini e di valori, che sono sembrati non più condivisi, tanto da spostare la missione dal sociale propriamente detto ad una transizione mascherata del profitto disumano, quello che è un metodo diffuso e pericoloso che si sintetizza con la denominazione Anziani S.p.A. Fare una fotografia di verità su Fondazione Betania è un esercizio complesso, perché passa da saccheggi morali e poteri più o meno occulti a volte anche deviati, che hanno svuotato e disperso quel valore di umanità e di speranza che c’è sempre stato nei volti dei tanti uomini e donne di Betania, che hanno lavorato in continuità di un insegnamento e di una visione autentica del bisogno e della malattia, che oggi non c’è più per colpe interne alla curia cittadina. Angeli e demoni, colpevoli ed innocenti.

Betania non si scinde dal nome, conosciuto e apprezzato, di don Biagio Amato che ha retto per oltre trent’anni il futuro della Fondazione, dei suoi pazienti e dei tanti operatori, trasformandola in una realtà sociale e sanitaria riconosciuta. E’ lui che viene tradito mentre prega nel giardino dei Getsemani da Giuda che in Betania è uno, è trino e pure quadruplo.

Betania fa gola ai tanti affaristi del sistema sanità, quelli conosciuti e quelli che si schermano dietro i paramenti sacri, sapendo però che l’ostacolo per fare razzia è solo don Biagio Amato, anzi era, se partiamo dalla realtà che sono riusciti a farlo fuori, mettendo al suo posto un “quadrumvirato” che siede in CdA, servo sciocco del volere della curia e pronto all’applauso, quello che sancisce la fine di un braccio di ferro durato dieci anni. Tutti sapevano e tutti sanno, per come lo sa bene il vescovo Bertolone ed il neo vescovo Aloise che dal 2010 siede nel board di Betania, per come lo sa chi ancora in Betania si richiama ai valori ed agli insegnamenti che don Biagio mai avrebbe consegnato i “suoi” innocenti, quei pazienti senza voce, nelle mani di certa gentaglia. La storia purtroppo è andata in modo diverso per una volontà ben definita, quella della curia cittadina che insieme ai suoi delegati ha saputo voltare la testa di fronte alle morti non spiegabili del Covid ed alle responsabilità accertabili di negligenza, inefficienza e manifesta incapacità, in quella complicità irricevibile fra Vangelo e compasso. Ora la parola passa alla sensibilità della Procura di Catanzaro ed all’attenzione del Procuratore Gratteri.

Fondazione Betania è il boccone più appetibile e succulento del patrimonio della curia di Catanzaro. E’ una rendita certa, perché operare in sanità è garanzia di profitto, soprattutto quando si ribalta l’impostazione e si massificano i proventi in danno della qualità, delle maestranze ed alla risposta sanitaria, pagata con soldi pubblici, che diventa minimalista oltre che un offesa alla malattia ed ai tanti degenti anche di Betania. Questo lo sanno tutti, lo sanno anche i “pupari” della curia cittadina ed i “pupi” che reggono il gioco, incapaci di dispensare un chiarimento ed incapaci di chiedere scusa, perché troppo occupati nelle scalate del potere ecclesiastico e temporale, dove la nomine ed il denaro valgono di più di un sorriso alla malattia. Questo è il clima ed il sentimento che lavora contro la storia di don Biagio Amato, dove uno dei Giuda consacrati è proprio il neo vescovo Aloise rigido osservatore della teologia della massomafia: silenzio e omertà.

La sceneggiatura contro inizia con una strategia di delegittimazione, i debiti accumulati da Betania sono frutto delle scelte, anche sbagliate di don Biagio Amato: questo è il ragionamento, l’infamia più grave costruita nelle stanze nobili della curia cittadina e riportata nei corridoi di Betania ed in fondo in tutta la città. Colpire per educare, si diceva una volta… Saltano quasi subito le relazioni sindacali che erano sempre state collaborative anche nei momenti di maggiore crisi, mai Betania aveva adottato un sistema di repressione anche psicologica nei confronti del personale, ora questo avviene. Il presidente Aloise e tutto il CdA adotta il metodo del bastone e della carota, colpisce e riconosce gratificazione almeno verbale, ammette di approfittare della benevolenza del personale – quello che segue perché cresciuto con una filosofia ed un insegnamento – che soffre economicamente accumulando mensilità arretrate e sprofondando nel terreno del disagio e della fame. Molti operatori presi dalla disperazione e dal pericolo del Covid, avendo constatato l’approssimazione delle linee di prevenzione, abbandona il campo, iniziano le dimissioni.

Emblema dell’incapacità di gestione e dell’arroganza comportamentale di chi mai si è sporcato le mani e non conosce le dinamiche, anche umane, sulle quali si reggono gli equilibri delle strutture sanitarie a valenza sociale, è la nota del 28 gennaio 2021 con la quale il CdA accusa i dipendenti che chiedono legittimamente le loro spettanze, di stare a causare la morte di Betania. C’è la negazione di ogni libertà sindacale, gli avvocati che operano per il recupero del credito sono indicati come avvoltoi ed il pericolo di dover portare “i libri contabili” in Tribunale diventa una colpa diffusa e non già della proprietà, la curia cittadina, che in un gioco all’ultimo sangue ha in dieci anni minato la credibilità di una realtà sanitaria, mai esponendosi e soprattutto mai prendendo le decisioni che competono in termini di prospettiva di politica industriale e di governance. L’obbedienza ed i silenzi di monsignor Aloise sono la caratteristica ed il metodo di manifestazione di una volontà, mai conosciuta.

Attori e protagonisti sono tutti, dall’ex vescovo scappato a gambe levate Bertolone fino all’ultimo consigliere d’amministrazione, il club di Giuda.

Legalità ed illegalità sono un confine pedagogico riconosciuto nel nuovo corso di Betania del presidente Aloise e del suo vice Puglisi, utile per spegnere la speranza diffusa e condannare, come avvenuto in area Covid, i deboli all’oblio, alla morte fisica oppure alla morte civile. Nascondere, tacere e negare è l’incipit del “manuale” studiato e assorbito dai responsabili delle strutture di Betania, dove tutto è negabile e dove ogni percorso deve trovare assistenza e supporto nell’area di incrocio della massomafia, quella del sistema Catanzaro.

La decadenza di Betania, quella contemplazione volutamente immobile perché si osserva, ma non si agisce, è tutta racchiusa nei numeri, nei bilanci che sono difficilmente consultabili e che, sia pure nella semplificazione della normativa Onlus sono il discrimine della verità, utile per validare o smentire le voci incontrollate, quelle che si alimentano e nascono proprio all’interno del CdA di Betania.