“Ho da poco trasmesso le mie dimissioni da Direttore Generale della Fondazione Tommaso Campanella al Presidente del CDA della Fondazione Prof. Paolo Falzea e comunicate al Presidente della Giunta Regionale On. Giuseppe Scopelliti” . Era il 29/11/2012 quando il Presidente della Commissione Regionale Sanità Sinibaldo Esposito lasciava con disinvoltura i ben 270 lavoratori della Fondazione Campanella in autentiche brache di tela.
Era il 2 agosto 2010 quando la Giunta regionale, che si era riunita sotto la presidenza di Giuseppe Scopelliti, su proposta dello stesso Presidente, aveva nominato il nuovo Direttore Generale della Fondazione “Tommaso Campanella”, il dott. Sinibaldo Esposito per l’appunto.
Vogliamo allora ricordare che la Commissione Serra-Riccio definì la Fondazione Campanella “un mostro giuridico” mentre veniva promosso a pieni voti il Dipartimento di Oncoematologia Radioterapia dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese – Ciaccio” di Catanzaro, definendolo “vero punto di riferimento di eccellenza a livello Regionale per le malattie oncologiche“.
Il Dipartimento Oncoematologico Ciaccio-De Lellis, in quegli anni, faceva registrare ben 1.650 pazienti in regime di ricovero ordinario, 4.120 in regime di Day Hospital, per un totale di 24.560 giornate di degenza, 66.621 prestazioni di visite ambulatoriali; mentre nell’Unità centralizzata di preparazioni Antiblastiche, unica in Calabria, sono state allestite 20.000 Chemioterapie; mentre altri 1.000 nuovi pazienti sono stati seguiti nella Struttura di Radioterapia Oncologica con ben 1.600 trattamenti erogati utilizzando tecnologie all’avanguardia.
Però nel frattempo la Fondazione Campanella ingoiava soldi pubblici ed assumeva personale su chiamata diretta senza alcuna selezione e senza alcun concorso per il sol fatto di soddisfare l’appetito della politica regionale. Quella stessa politica che nominò Direttore Generale il Dott. Sinibaldo Esposito. E tutto ciò la dice lunga sulla storia della Fondazione Campanella, finanziata con oltre 40 milioni di euro dalla Regione Calabria nel solo biennio 2009-2010 e che nella relazione annuale all’inizio del 2010 il Presidente Regionale della Corte dei Conti segnalava per la sua gestione “a dir poco disinvolta”.
La devastazione della Fondazione Campanella è tutta opera di quella politica regionale che l’ha gestita per imbottirla di “fratelli, sorelle, amanti, figli e concubine” senza arte e ne parte . Vorremmo ricordare infatti l’assunzione dello stesso fratello (Attilio Esposito) del Direttore Generale della Fondazione Sinibaldo Esposito da egli stesso assunto in Fondazione
La struttura è stata imbottita con centinaia di assunzioni per chiamata diretta, senza alcuna selezione e solo sulla base di segnalazioni politiche o addirittura “partitiche” e se la Fondazione è andata in tilt, è perché la mala politica l’ha trasformata da “fabbrica della salute” a “fabbrica di voti” per i vari Piero Aiello, Claudio Parente, Sergio Abramo e Mimmo Tallini e dei loro delfini politici come ad esempio Marco Polimeni.
Doveva essere un centro di ricerca, ma non lo è mai stato. Nata ai tempi di Giuseppe Chiaravalloti, con una semplice riunione di giunta in cui si approvò uno statuto, e che l’allora assessore alla Cultura Saverio Zavettieri non votò, in quanto nasceva una Fondazione quale ente di diritto privato, ma con il patrimonio ed i finanziamenti in carico al pubblico. Si tratta dunque di un enorme ospedale privato pagato in maniera disinvolta per anni con il denaro pubblico.
Un vulnus irreparabile, considerato che in una delle riunioni del tavolo Massicci, i rappresentanti dei ministeri dell’Economia e della Salute bocciarono l’ennesimo finanziamento alla Fondazione da parte della Regione, sottolineando che essa deve essere considerata una struttura sanitaria privata e non un istituto di ricerca di diritto pubblico. Ma l’interesse della politica di moltiplicare i voti sul bisogno dei calabresi, sia esso in tema di salute e di lavoro, ha consentito ancora per anni il disfacimento della sanità pubblica e la voragine creata dalla Fondazione Campanella, solo per continuare sul tracciato della massomafia che governa ormai da decenni la sanità calabrese con la complicità di certa politica, sia essa di destra, che di sinistra passando anche per un centro indefinito e variabile.
La riflessione sui dipendenti, che da anni sono mobilitati per difendere la Fondazione e il posto di lavoro non può che essere feroce, visto che viene steso un velo sulle modalità di accesso al lavoro, quasi fosse un particolare insignificante. Ma sulla possibilità negata a tutti coloro che avrebbero avuto i titoli per aspirare a quel lavoro, perché si stende un altro velo? Persone che si sono viste scippare un posto di lavoro da chi è entrato per le solite, disoneste vie della politica regionale di cui degni rappresentanti sono stati Abramo, Parente, Aiello, Esposito e Tallini, che pur di sistemare i loro amici – elettori, hanno fatto vantare la condizione politica per esigere il diritto all’assunzione come dipendenti pubblici, senza un concorso o una qualsiasi altra forma di legittima selezione.
E non si faccia il solito stucchevole discorso che in Calabria è fondamentale non far perdere nemmeno un posto di lavoro. Come lo hanno avuto questo posto di lavoro i dipendenti della Fondazione Campanella? La vicenda è la rappresentazione del modo con il quale si è governata e si continua a governare la Calabria.
Parlando della Fondazione Campanella non si può non pensare alla puntata di Report dell’aprile 2009, in cui il direttore della Fondazione Antonio Belcastro parla di topini per giustificare la molto presunta “ricerca” che si stava conducendo nella Fondazione. Da rabbrividire.
“La fine della Fondazione Campanella era già scritta in un atto mai completato e che ha rischiato di mettere nei guai l’ex governatore Scopelliti. Il patto di legislatura tra la Regione Calabria e l’Aiop- Associazione italiana ospedalità privata (giusto per non dimenticarci del nostro “amico” avvocato Enzo Paolini) è il documento che regola i rapporti tra le casse pubbliche e le strutture sanitarie private”. Il suo ragionamento finito al centro di un’inchiesta, poi archiviata, della Procura di Catanzaro, conteneva una postilla significativa: “per l’anno 2011, il budget di 180milioni sarebbe stato incrementato dalle eventuali economie risultanti sul finanziamento assegnato alla Fondazione Campanella”.
Cosa c’entra l’Audiologia con un polo oncologico d’eccellenza? Oppure la Chirurgia plastica? O quella maxillo-facciale? O ancora, la Neurologia, l’Otorino, l’Oculistica, la Pneumologia e l’Urologia?
L’elenco dei reparti della Fondazione Campanella è molto più lungo di questo. Lo si deve a un decreto del 21 novembre 2005 che trasferisce alcune strutture, in tutto 25, dalla “Mater Domini” alla Campanella; in pratica dalle strutture collegate all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro al centro in cui, all’epoca, la ricerca calabrese riponeva buona parte delle sue speranze.
Rimane questo un passaggio determinante dal punto di vista finanziario, visto il buco nero della Fondazione Campanella, perché mostra quanto peso abbiano sulle scelte strategiche nella sanità gli indirizzi dell’ateneo e della politica regionale.
Ricordiamo che il “nuovo” Direttore Generale della Fondazione “Tommaso Campanella” il dott. Sinibaldo Esposito, fu nominato il 2 agosto 2010.
La Fondazione Campanella assorbiva strutture che, almeno in apparenza, non c’entrano nulla con la sua mission. Sarebbe stata costretta a sostenerne gli oneri finanziari a fronte di un bilancio che si assottigliava anno dopo anno. È stata un esempio di scuola di come si crea un “buco economico”. Mentre in Calabria quasi nessuno bada ai guasti del sistema, a Roma qualcuno si accorgeva che la spirale si avvitava verso il basso, cioè verso il fallimento della struttura. Al Tavolo Massicci, i funzionari dei ministeri della Sanità e dell’Economia per quattro anni mettono in fila una serie micidiale di contestazioni. La Fondazione Campanella è sempre presente, è la sua essenza giuridica a non convincere. Ma c’è anche un altro particolare. Il Tavolo Massicci non vuole che i suoi costi ricadano sul Fondo sanitario regionale. E non può accettare che i dipendenti, assunti per chiamata diretta quando la Fondazione era un ente di diritto privato, diventino dipendenti pubblici.
Il primo punto, però, è sempre lo stesso: quei reparti non oncologici devono andare altrove, assieme ai loro costi e ai lavoratori. La struttura regionale che vigila sul piano sanitario recepisce l’osservazione e passa alle vie di fatto.
Ne veniva fuori un decreto che finalmente doveva rimette le cose a posto. Ogni decreto del Presidente della Giunta Regionale nelle sue funzioni di commissario per il Piano di rientro equivale a una legge. Dunque c’era una legge che risale all’11 settembre 2013 che disponeva “il trasferimento delle unità operative non aventi missione oncologica” perché «si pone in contrasto con le disposizioni vigenti in materia di accesso ai pubblici uffici nonché con la normativa contrattuale relativa al comparto degli enti nel Sistema sanitario nazionale».
Per essere ancora più chiari, il rientro delle attività nell’Azienda ospedaliero universitaria è disposto con decreto dirigenziale del dirigente generale del dipartimento Tutela della salute e Politiche Sanitarie.
Cosa credete che sia successo?
Assolutamente nulla. Visto che sbagliare non basta, ma in certi casi c’è bisogno di perseverare, ecco che il trasferimento viene ribadito in un’intesa raggiunta davanti al prefetto di Catanzaro. L’incontro del 1°ottobre 2013 ripropone la soluzione già decisa per legge: “Le unità operative a direzione universitaria, non oncologiche, della Fondazione Tommaso Campanella, già individuate nel verbale d’intesa dello scorso 26 giugno, rientrano entro il 30 ottobre 2013 nell’Azienda ospedaliera “ Mater Domini”.
Di nuovo, i mesi passano senza cambiamenti sostanziali. E ne trascorrono nove senza che quei reparti in più, che gravano sul dissestato bilancio della Fondazione, si muovano. Dieci mesi significano altri milioni di euro spesi per sostenere aree che nulla hanno a che fare con l’oncologia. E che secondo il Tavolo Massicci, non avrebbero neppure dovuto stare lì. Le scelte del 2005 producono effetti anche nel 2013. E chi dovrebbe intervenire per riparare i danni lascia tutto com’è. È in questo circolo vizioso che si cristallizza il golpe della politica, mai abbastanza coraggiosa, ma ingorda ed insaziabile.
Per restituire quei 25 reparti all’Azienda ospedaliero-universitaria di Catanzaro, sembrava che fosse la volta buona. Il decreto era pronto, il direttore generale del dipartimento Tutela della Salute lo aveva firmato, mancava soltanto che diventasse operativo.
È così che la Calabria risolve un problema: ignora le leggi che scrive e ci mette dieci mesi per firmare un decreto che si poteva completare in dieci minuti. Sono quelli i mesi nei quali la situazione della Fondazione è diventata assai precaria e il futuro dei suoi dipendenti ha perso prospettiva.
Nell’elenco dei colpevoli non si può trascurare la politica, che è stata un timoniere strabico: ha scelto manager fedeli e accelerato l’avvicinamento al precipizio. La storia della Campanella è legata al fedelissimo “amico” di Claudio Parente, il dg Antonio Belcastro, quello che al giornalista che chiedeva quale fosse l’attività di ricerca del centro, riuscì a rispondere che: “la ricerca si faceva perché abbiamo visto i topini e, a me, tra l’altro, dispiace”.
Un manager per tutte le stagioni. Infatti è il direttore generale della Mater Domini. Perfettamente bipartisan pure Anselmo Torchia: presidente della Fondazione ai tempi del servizio di Report, lo era ancora qualche mese dopo, quando le telecamere de La 7 lo immortalarono mentre teneva un incontro elettorale al quale partecipavano molti dipendenti della Fondazione Campanella, molti “suoi” dipendenti. Quasi tutti con un contratto appeso ai chiari di luna elettorali. Torchia, però, non aveva deciso di scendere in campo con il centrosinistra che lo aveva nominato, ma con l’UdC. Se si passa dalla politica è più facile governare il futuro della ricerca oncologica in Calabria.
Lo ha fatto pure un altro dei direttori generali designati negli ultimi anni: Sinibaldo Esposito, uomo di fiducia del Senatore Piero Aiello, ce ne sarebbe abbastanza per dimostrare che il sodalizio sanità-partiti non funziona. Eppure si va avanti a suon di assunzioni senza concorso e promesse di inquadramento nei ranghi del servizio pubblico. Assunzioni in cambio di voti consensi alle elezioni Regionali e alle Amministrative del Comune di Catanzaro.
Il solito ritornello: è stonato, ma produce consenso. E pure qualche atto anomalo. Ma ve lo racconteremo presto.