Catanzaro, il colpo “mafioso” al caveau della Sicurtransport. Ecco perché la Cassazione ha sconfessato la Corte d’Appello

«Appare carente e lacunosa» l’esclusione dell’aggravante mafiosa da parte della Corte dell’Appello di Catanzaro per la rapina da 8 milioni di euro al caveau della “Sicurtransport”, avvenuta a Caraffa il 4 dicembre 2016. Il perché? Da un lato i giudici di secondo grado hanno «omesso di valutare adeguatamente l’effettiva portata delle dichiarazioni» del pentito Santo Mirarchi, secondo il quale «l’assalto» non si sarebbe «mai potuto realizzare» senza «il placet» della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, all’epoca retta da Paolo Lentini, così da consentire alle famiglie di ’ndrangheta di partecipare «ad un lucroso affare» in base ad una logica di spartizione del territorio.

Dall’altro, ci sono le parole rese dalla collaboratrice di giustizia, Anna Maria Cerminara, che riferì di un coinvolgimento nel blitz di alcuni affiliati al clan Mannolo di San Leonardo di Cutro, ai quali i promotori dell’operazione armata si rivolsero per avere «maggiori disponibilità economiche da investire e possibilità logistiche ed operative più sicure». Una versione dei fatti, questa, ribadita pure dal pentito Dante Mannolo, figlio del boss Alfonso: «U Gigliotti (Giovanni Passalacqua, nda) propose anche al mio ramo della famiglia di prendere parte alla rapina ma declinammo l’invito. Della famiglia parteciparono Giuliano Dante e Rocco». Così la Cassazione ha spiegato i motivi per i quali lo scorso 31 marzo, nel rendere definitive sei condanne per la rapina ai danni dell’istituto di sicurezza, ha disposto un nuovo giudizio d’Appello per rivalutare la sussistenza dell’aggravante mafiosa nei confronti di due imputati: Dante Mannolo, cugino del collaboratore di giustizia, e Giovanni Passalacqua, ai quali era stata comminata la pena di 10 anni di carcere ciascuno. Fonte: Gazzetta del Sud