Catanzaro, lo scaltro Sergìun tenta di “galleggiare” fino alle Regionali usando i media

di Danilo Colacino

Il segreto, o quantomeno uno dei segreti, per navigare a lungo con il vento in poppa nella vita è riuscire a essere camaleontici. Un’accortezza che vale la pena di avere ancora di più in politica. E la dimostrazione plastica di questo assunto la dà, pur nel suo piccolo feudo di periferia, il reuccio delle amministrazioni locali Sergio Abramo. Sì, proprio lui, l’ineffabile Sergìun, il quale dopo essersi buttato alla… latitanza nelle settimane in cui c’era l’inchiesta tv de La7 su Gettonopoli (roba di scarso interesse eccetto per tre-quattro posizioni, rispetto a quanto parrebbe saltar fuori dal “sottofondo” dei cassetti comunali) adesso cerca invece “a lingua affritta” i giornalisti – o presunti tali – come fossero familiari che non incontra da tempo. Parenti da cui si tiene però parecchio alla larga, quando non è necessario frequentarli, come ad esempio faceva dal sottoscritto dal quale si guardava bene dal farsi intervistare temendo forse domande insidiose, mirate, e “cattive”.

Ma attualmente ha un disperato bisogno di parlare ai catanzaresi. Gli serve infatti che dietro alla cortina fumogena di una ben orchestrata ammuina del conduttore di turno possa proporre il solito show mandato in scena più o meno dal ’97 in poi: “Io responsabile di quanto si dice? Mai. Non sono formalmente accusato di alcunché e di quanto di male succedeva in Comune, semmai accadesse, non mi sono accorto. Né in passato né adesso>. Frasi che ricalcherebbero in qualche modo quelle asserite nei primi anni ’80 dal suo defunto pluricondannato collega Vito Ciancimino – pur se (lo preciso) il paragone non accosta affatto i profili del Sergìun e di don Vito, allo stato non assimilabili, almeno fino all’emergere di prove inconfutabili del contrario (si risparmi quindi, Abramo, le solite speciose minacce di querela basate sul nulla) – quando era primo cittadino di Palermo: <Io sindaco del Sacco…io sono stato un buon amministratore“.
E ne ha ben donde, del resto, Abramo di ribadire la propria estraneità a tutto (gli ancora presunti comportamenti illegali del principale sponsor Mimmo Tallini) e tutti (appunto alleati di ferro e numi tutelari di vecchia data inclusi) nelle tavole mediatiche apparecchiate da gente amica, considerato che alla distratta opinione pubblica di casa nostra dell’anacronistica “questione morale” – per cui non è necessario si siano commessi atti illeciti – importa poco o nulla. Al di là di ogni considerazione però, è vero, non ci sono al momento imputazioni o reati accertati da contestare al Sergìun.

E allora nulla da eccepire, anche se ha nominato e tenuto in quel posto per mesi – fino alle dimissioni del diretto interessato – un supermanager come Luigi Siciliani malgrado la condanna per bancarotta fraudolenta inflitta allo stesso dirigente d’azienda; se il nipote occupa un posto chiave nell’Ufficio Stampa di Palazzo De Nobili dove non è certo entrato a seguito di prova selettiva; se in una Partecipata come il Politeama, di cui è “ex lege” presidente della medesima Fondazione, abbia collocato al vertice un fedelissimo (non solo suo) a cui va uno stipendio pubblico per l’incarico ricoperto e al contempo lauti contributi annuali quando il medesimo soggetto bussa alle porte del Municipio in veste di “impresario privato”; se non si sia dimostrato un campione nell’applicare una rigida rotazione delle ditte edili al lavoro per conto del Comune; se sia in passato entrato, tirato in ballo in una conversazione intercettata dagli inquirenti fra un assessore allora in carica come Massimo Lomonaco e l’ex spin doctor abramiano (in realtà molto di più) Sergio Dragone, nella vicenda Concorsopoli intanto finita nel porto delle nebbie; se sia sindaco quasi esclusivamente per merito del citato Tallini (nel frattempo finito ai domiciliari con l’accusa d’esser vicino all’elite della ‘ndrangheta) di cui ora parla in modo fugace, solo se interrogato sull’argomento, e tanto altro ancora. Quisquilie e pinzillacchere, però, per carità… E infatti: “…Mo chi c’intranu sti cosi vecchi chi si sepparu sempa?”.

Tanto a Catanzaro ormai in parecchi sanno che l’obiettivo dello scaltro neoleghista Abramo è “galleggiare” fino alle Regionali del prossimo San Valentino per poi piazzarsi in qualche modo in Cittadella e consegnare la città a una coalizione guidata da un esponente di Catanzaro da Vivere. Sia il navigato Piero Aiello o l’eterno aspirante Marco Polimeni non fa alcuna differenza, l’importante è che sia il rappresentante di spicco di un soggetto politico (una lista civica espressione del centrodestra più classico e ortodosso, tranne quando è all’improvviso trasmigrata altrove per mero opportunismo: vedi alla voce passaggio all’Ncd del 2013) non a caso rimasto con la testa sotto la sabbia da quando è scoppiata la bufera giudiziaria “Farmabusiness”. Un silenzio assordante rotto solo dalla solidarietà espressa a mezzo stampa dal già senatore Aiello a Tallini.

Comunque sia, lo schieramento di cui parlo sarebbe inoltre rafforzato da una serie di transfughi del centrosinistra precettati e lusingati alle scorse Regionali (che si sgancerebbero all’ultimo minuto solo se sentissero puzza di bruciato come bravi topi, sempre lesti ad abbandonare la nave a picco), ambigui e chiacchierati per contatti borderline con “ambienti maleodoranti” sino al punto d’essere esclusi perfino dal novero dei candidati alle più recenti elezioni addirittura dal vituperato Pd (un vero e proprio record, ma di cui non andar fieri).

Gente, quest’ultima, che peraltro dove va porta curiosamente con sé messe di voti ma pure una ricorrente sconfitta. Una costante negativa, però spiegabile, considerato come sia vittima di una cattiva stella o, meglio, di un’inguaribile miopia politica causata anche e soprattutto da una famelica attenzione alla coltivazione dell’interesse contingente. Il guaio è che dopo Gettonopoli (di cui ribadisco esserci non molto da dire salvo per qualche soggetto coinvolto) soltanto in pochi hanno fatto un passo indietro, dimettendosi dal civico consesso) mentre gli altri sono e restano autentici Bostikmen tanto da restare attaccati al posticino sebbene si stia verificando qualcosa di mai visto prima. Un vuoto etico e morale, prim’ancora che giudiziario, per gli individui eventualmente oggetto di futuri gravi provvedimenti assunti dall’autorità giudicante.