«Catanzaro rischiò il disastro ambientale»: il mega appalto mai completato
La storia di Catanzaro e del suo depuratore è arrivata fino in Europa. Infatti la condizione del vecchio impianto di località Verghello e dell’intera rete fognaria del capoluogo calabrese sono citati nella procedura di infrazione che ha portato alla condanna dell’Italia. E dire che dieci anni fa per Catanzaro sembrava aprirsi una nuova era. Nel 2014 infatti il Comune aveva bandito un appalto con project financing da circa 26 milioni di euro per realizzare il nuovo depuratore. Con quella cifra si sarebbe dovuto realizzare non solo un moderno impianto, ma anche la collettazione fognaria dei quartieri ancora sprovvisti.
All’impresa vincitrice sarebbe poi spettato anche il servizio di bollettazione con sostituzione dei contatori. Nel 2015 l’appalto venne affidato a un’Ati con a capo una società specializzata proprio nel servizio di bollettazione. Il Comune però a quel punto decise di bloccare la procedura di assegnazione eliminando proprio il servizio. Ne nacque un lungo contenzioso. Il risultato è stato l’addio al progetto del nuovo depuratore. A quel punto si è virato su un intervento di rstrutturazione del vecchio impianto. Proprio a ottobre scorso l’amministrazione comunale ha consegnato alla ditta aggiudicataria i lavori per l’efficientamento e la manutenzione straordinaria. Poco più di un milione e duecentomila euro per completare l’opera. L’assessore comunale ai lavori Pubblici Raffaele Scalise aveva spiegato che l’intervento «ha come obiettivi quelli di favorire la semplicità gestionale e ridurre i costi associati ai consumi energetici, puntando al futuro incremento delle potenzialità dell’impianto». Gli interventi di revamping riguarderanno i pretrattamenti esistenti sia per la linea delle acque che di quella dei fanghi, con l’installazione di nuovi sistemi di grigliatura, una nuova condotta di alimentazione dei reflui da Roccelletta e Lido, l’ammodernamento dei comparti di dissabbiatura e disinfezione esistenti. Per l’assessore Scalise grazie anche ad altri interventi in via di progettazione si potrà «chiudere la partita sulla depurazione che la città ha giocato per fin troppi anni».
Il Comitato d’affari nella maxi inchiesta
Sono complessivamente 129 le persone finite nell’inchiesta Glicine, scattata nel giugno dello scorso anno e su cui la Dda di Catanzaro ha chiuso le indagini. Associazione a delinquere al fine di commettere una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione è il reato contestato ad alcuni importanti esponenti politici calabresi. La Dda di Catanzaro ipotizza l’esistenza di «un gruppo stabile e strutturato promosso, diretto e organizzato da soggetti politici, amministratori pubblici, imprenditori ed intermediari di imprese al fine di commettere una serie indeterminata e continua di delitti contro la pubblica amministrazione, nell’ambito regionale e crotonese in particolare».
I Ros dei carabinieri nel giugno scorso arrestarono 41 persone (22 in carcere e 12 ai domiciliari) per associazione mafiosa e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la Pubblica amministrazione. Gli indagati totali erano 123, ma nell’avviso di conclusione delle indagini sono saliti a 129. Il gruppo di politici e imprenditori, per l’accusa, sarebbe «riuscito a piegare ai propri interessi affaristici e politici, l’azione della pubblica amministrazione, condizionando pesantemente, e in molti casi illecitamente, le scelte relative ad incarichi e finanziamenti». Si fa riferimento alla «commissione di una sequela indeterminata di reati» mirati a far «accrescere il peso elettorale attraverso incarichi fiduciari, nomine e assunzioni, di matrice esclusivamente clientelare, in enti pubblici, nella prospettiva di ottenere il voto, affidando appalti anche a imprese i cui titolari avrebbero assicurato l’appoggio elettorale». Il blitz avrebbe fermato anche l’ascesa del boss di Papanice, Mico Megna, che dopo essere stato scarcerato nel 2014 era ritornato a tessere trame illecite. Fonte: Gazzetta del Sud