Cirella. Brunori e il “Popolo delle Calabrie”: cronaca di un concerto “militante” ma trasversale con tanto di “Bella ciao” e Palestina

Al Teatro dei Ruderi di Cirella non era mai accaduto che un artista “raddoppiasse” la data agostana e Dario Brunori ha scritto la storia già in anticipo con i due “sold out” del 7 e dell’8 agosto. Tutti o quasi nella Calabria “cosentina” allargata soprattutto a quella crotonese e catanzarese aspettavano con gioia e un pizzico di emozione il ritorno in patria di Dario e della sua Brunori Sas dopo i fasti del tour nei palazzetti e quelli del Circo Massimo in Roma. E i due bagni di folla sono stati così forti che per molti è stato addirittura un problema arrivare in… orario. Code e file chilometriche già da Belvedere in poi e francamente in pochi se lo aspettavano anche se – onestamente – la Direzione del Teatro dei Ruderi aveva avvertito, magari con un po’ di esagerazione, che bisognava arrivare sul posto due ore e mezza prima del concerto. Chi non ce l’ha fatta ad arrivare con la macchina se la deve fare a piedi: un chilometro e mezzo di tornanti che sembra l’Alpe d’Huez mentre i ritardatari fanno il verso alla bonanima di Pantani ma senza bici… 

Smaltito il fiatone, l’occhio clinico dell’addetto ai lavori registra subito che la platea del popolo brunoriano abbraccia almeno quattro generazioni: si va dai neonati agli ottantenni e pure senza particolari distinzioni di tifo e di affetto. E poi la pupilla, inevitabilmente dilatata per il lungo cammino e magari per qualche bicchierino, non può non registrare quanto sia eterogenea. No, non ci sono solo i radical chic, che pure non fanno mistero di avere Dario tra i massimi beniamini, ma pure larghe fette di proletariato più o meno militante e persino larghe sacche di destra sociale. Perfettamente inutile andare ad elencare vip o presunti tali: ce n’erano talmente tanti che si rischia concretamente di dimenticarne molti e non è proprio il caso.

La scenografia naturale del Teatro dei Ruderi lascia senza fiato ogni volta che ci metti piede: che sia la “tribuna alta” come la chiamano quelli dell’organizzazione o il sottopalco come lo chiamano i fan, fa comunque un bell’effetto. L’acustica non è proprio perfetta ma sarebbe impossibile, i giochi di luce ricercati e godibili e poi, finalmente, ci si può concentrare su musica e parole ché in fondo siamo qui per questo e ci mancherebbe pure.

Vista la qualità e soprattutto la quantità delle presenze, Dario opta per un ruffianissimo “Popolo delle Calabrie” per aprire le danze e sceglie uno dei brani che meglio lo rappresentano come “Al di là dell’amore” per rompere il ghiaccio. Gli scalda bene la voce, la estende e lancia anche messaggi universalmente ben riconosciuti. “La ghigliottina” infiamma il popolo brunoriano di vecchia e nuova data e a stretto giro di posta arriva la “doppietta politica” con “L’uomo nero” e “Secondo me”. In fondo, anche i destrorsi presenti sanno bene che Dario proviene dalla sinistra militante e persino comunista e, per dirla tutta, anche a destra la figura di Salvini – tanto per dirne una – è riempita di sacrosante contumelie. Per non parlare del genocidio israeliano in Palestina che notoriamente vede vicini ai “sinistri” anche tanti “destri” che i sionisti non li sopportano proprio. E così i richiami al “parlar sempre di Salvini, immigrati e clandestini” ma anche all’assenza – sempre militante – dai campi rifugiati e la giustificazione per chi va al centro commerciale “anche se è criminale perché si sta freschi e puoi sempre parcheggiare” strappano sorrisi totali, che si sciolgono in un mezzo boato quando dal sottopalco spunta la bandiera della Palestina. 

Con “Come stai” il concerto entra nel vivo. Dario si rilassa e inizia a dialogare col suo popolo tra auguri, benedizioni e persino una evangelica “imposizione delle mani” per guarire un fan che non è voluto mancare a Cirella nonostante una… vertebra rotta. E’ talmente a suo agio che, a fine pezzo, ci rivela che in fondo “Come stai” è un mezzo plagio di “Please dont’go” con tanto di dimostrazione pratica. Risate e applausi generali.

Due classici come “Italian Dandy” e “Il costume da torero” non mancano mai nei live della Brunori Sas e naturalmente sono inclusi nella scaletta cirelliana. Fanno da preludio a due dei nuovi brani più graditi dalla platea, con Dario che passa al pianoforte per eseguirli. Il primo è il cosentinissimoPomeriggi catastrofici” in stile Stefano Rosso tra Savino, Forgione, Pizzeria Romana, Sorrentino e Sasà e soprattutto la famiglia e anche qui, a fine brano, c’è una sorpresa perché le ultime note di Dario/Stefano portano dritte dritte a “Bella ciao”. Qui, a dire il vero, le risate e gli applausi sono di meno ma chi ride e chi applaude lo fa con più convinzione: 1-1 e palla al centro.

Il secondo è l’intenso “Un errore di distrazione”, che conduce quasi inevitabilmente, per aria e atmosfera, all’immarcescibile “Per due che come noi” che ha l’effetto dirompente di abbracciare e “unire” tutte le numerose coppie presenti: soprattutto quelle in crisi.

Si torna ai classici: Brunori imbraccia la chitarra elettrica e concede alla platea “Lamezia Milano” e “Capita così”, altri due pezzi che la Brunori Sas non tradisce mai per ritmi avvolgenti e tematiche varie affrontate. Più o meno come succede per “Lei, lui, Firenze”, canzone che si avvia ormai verso i suoi 15 anni di vita e che non ha perso minimamente il suo potere coinvolgente.

Ed ecco che avvicinandosi alla parte finale del concerto, Brunori estrae dal cilindro magico la sua prima canzone scritta in dialetto “cosentino/calabrese” dal titolo “Fin’ara luna” (con annesso richiamo alla luna presente) dedicata a una “Maria” che non c’è più ma anche alle nostre sonorità linguistiche che non sono seconde a nessuno e che fanno ribadire a Darione che non ci dev’essere vergogna a parlare con l’accento cosentino/calabrese. Per un artista è un concetto sacrosanto, ci mancherebbe altro: basterebbe pensare a Pino Daniele. Meno valido per chi dice di far politica e poi… scaca anzi raglia in un idioma spesso non comprensibile sia per gli indigeni sia per gli stranieri ma tant’è.

“Per non perdere noi”, altro brano in perfetto stile confidenzial-brunoriano, prima traccia dell’ultimo cd, apre l’ultima quartina del concerto. Che continua con il superbo “Kurt Cobain”, cantato sempre con l’immancabile trasporto e con “Don Abbondio”, della quale il Nostro si sente giustamente orgoglioso, data l’attualità del… tema.

Il Popolo delle Calabrie esulta alle prime note di “Canzone contro la paura” e la canta quasi interamente insieme a Dario ed è il prologo alla solita “pantomima” della finta ultima canzone, che in questo tour estivo è “Guardia 82”. E qui si apre l’eterno conflitto con l’opera che più piace ai fan e più gli “sicca” – nel senso che gli secca o gli ‘ncriscia in dialetto cosentino – ad eseguire. A dire il vero, Brunori aveva provato ad escluderla dalla scaletta nel tour dei palazzetti ma è stato praticamente costretto a ripresentarla pena… jestime in eterno che è meglio evitare, visti i tempi che corrono.

Non fa neanche in tempo ad andare dietro le quinte che i fan intonano il fatidico “fuori fuori” che dà il via agli ultimi fuochi. I “pezzi forti” sono “La Verità”, quello che ha consacrato Brunori nell’agone della canzone nazionale e naturalmente “L’albero delle noci”. Siparietto su Sanremo: “Dovevo vincere, dovevamo vincere… ma se avessi vinto avrei fatto ricorso al Tar: noi non possiamo vincere per natura!”. Cantano tutti, anche e forse soprattutto gli ottantenni (che non li dimostrano) presenti tra la folla. Finisce con la bandiera della Palestina che sale giustamente sul palco insieme alla band e suggella una “due giorni” comunque memorabile.

Non potremmo mai chiudere questa recensione non citando i compagni di viaggio di Dario, che sono a tutti gli effetti suoi familiari, a partire naturalmente dalla moglie Simona Marrazzo, sempre presente in voce e percussioni. Dario Della Rossa alle tastiere (e pastiere) non è parente sulla carta ma è come un fratello a tutti gli effetti mentre i due “maestri” Stefano Amato e Mirko Onofrio diventano ogni tour che passa sempre più parte integrante della band. Dario augura il fatidico “in bocca al lupo” a Onofrio, che dal 23 al 30 sarà il direttore artistico di Roccella Jazz e scherza con il suo batterista preferito, il mitico Massimo Palermo. 

Grandi applausi anche per la sezione fiati con Gianluca Bennardo (pare molto gradito alla piccola Fiammetta con annesse minacce… paterne) e Luigi Paese e imposizione della calabresità acquisita all’unica musicista non calabrese, la bravissima violinista Lucia Sagretti. Non potete neanche immaginare la “calca” per uscire dai Ruderi: ritorno a Cosenza a notte fonda, ben oltre le due. Ma ne è valsa la pena.