Cold Case del Tirreno: i collegamenti tra gli omicidi Losardo e Panaro

Nel corso degli anni ci siamo occupati più volte dell’omicidio di Pompeo Panaro, commerciante, ex dirigente provinciale della Dc cosentina, ucciso nel 1982 a Paola in circostanze mai veramente chiarite. Il caso è stato riportato alla ribalta delle cronache l’altra sera anche da Le Iene. 

Noi avevamo scoperto quasi per caso questo Cold Case attraverso la rubrica “Indignato speciale” del Tg5, che alla fine del 2015 non aveva esitato a chiamare in causa i soliti poteri forti che combattiamo da sempre.

A dire il vero, di Pompeo Panaro non si sono più avute notizie dal 28 luglio del 1982 e in molti hanno pensato, in quel periodo, alla famosa “lupara bianca”. In effetti, Panaro sembrava sparito nel nulla. Ma non era per niente così.

Paolo e Pompeo Panaro

Il figlio Paolo, dopo aver verificato che le indagini ufficiali facevano acqua da tutte le parti, nel 2011 si decide ad indagare per conto suo, senza nessun tipo di aiuto da parte dei familiari, evidentemente preoccupati di possibili ritorsioni.

E così scopre che in realtà i resti del padre erano stati trovati e alcuni suoi parenti lo avevano anche riconosciuto,

A quel punto si sarebbe dovuta mettere in moto la macchina burocratica per il seppellimento: l’invio del nulla osta all’anagrafe che certifica la morte di Pompeo. “Ma anche questo semplice atto amministrativo non avviene perché il documento rimane nel fascicolo”, ripete amareggiato il figlio. “Dopo il riconoscimento ufficiale nessuno ci ha comunicato l’esito”.

A riconoscere i resti sono gli zii, i quali, secondo il racconto di Paolo, non avrebbero mai comunicato alla moglie della vittima né ai due figli i risultati”.

“I miei parenti”, precisa l’uomo, “ricevono i resti, ma non si sa che fine hanno fatto”. La Procura archivia il caso come omicidio e carico di ignoti. Ma non va oltre.

La scomparsa di Pompeo Panaro resta una delle tante di cui è afflitta la Calabria. Si tratta di una delle vittime di un periodo scandito dagli agguati e dalle faide tra le ‘ndrine.

Ma la morte di Panaro ha sì a che fare con la mafia ma anche con altri tipi di poteri, che dovrebbero rappresentare lo stato ma sono evidentemente deviati.

Ecco come il giornalista d’inchiesta Giovanni Tizian, che all’epoca lavorava a Repubblica, metteva in relazione l’omicidio Panaro con quello di Giannino Losardo.

Giannino Losardo
Giannino Losardo

Due anni prima dell’omicidio Panaro, viene ucciso a Cetraro, pochi chilometri da Paola, Giannino Losardo, dirigente del Pci locale e capo della segreteria della Procura cittadina. I due casi potrebbero essere legati. Hanno comunque più di un punto in comune. A quei tempi, il vice pretore di Paola era Francesco Granata, un avvocato. Secondo il figlio di Losardo avrebbe ricevuto dal padre moribondo una importante confidenza: gli sarebbero stati indicati i possibili mandanti del delitto. Ma Granata ha sempre negato la circostanza. Anche nelle aule di Tribunale. Agonizzante, Losardo lo avrebbe esortato a “preoccuparsi di tutto”. Ma in ospedale, riportano i giornali dell’epoca, le voci raccolte nei reparti spiegavano e completavano quella frase. Losardo, morente, avrebbe detto al legale: “Tutti a Cetraro sanno chi è stato a sparare”. Un chiaro modo di puntare il dito contro la cosca del potente Franco Muto, il “re del pesce”, e i suoi picciotti. 

Omicidio senza colpevoli. La morte di Losardo rimarrà senza responsabili. Così come l’uccisione di Pompeo Panaro, anche lui politico e amico intimo dell’avvocato Granata a cui Losardo rivolse le ultime sue parole. Il figlio del commerciante scomparso ricostruisce così fatti dell’epoca: “Un giorno gli rubano l’auto. Un uomo del gruppo Serpa, una potente cosca del Cosentino, si offre di aiutarlo a ritrovarla e gli dà un appuntamento. Ci va da solo e nessuno si è mai spiegato il motivo. Come ha fatto a non capire che si trattava di un tranello? Mio padre si fida, pensa che tornerà a casa. Arriva sul posto dove aveva lasciato l’auto. Probabilmente trova i suoi rapitori. È a cento metri da casa nostra. Lì vicino viene tenuto prigioniero per una settimana. Poi, probabilmente, viene trasferito in montagna e qui ucciso. Nel fascicolo c’è la testimonianza di un bambino che racconta cosa si diceva in giro, tra le montagne. Che mio padre era stato duro a morire, che hanno fatto fatica a farlo fuori. Non so se si trattava semplicemente di una vendetta per qualche torto. Non capisco perché mettere in piedi tutta questa messinscena. Per farlo fuori sarebbe bastato sparargli in strada”.

Quando Giuliano Serpa inizia la sua collaborazione con la giustizia parlerà anche di Panaro. Ammette di essere stato presente durante l’omicidio. Il capo ‘ndrina spiega che l’uomo è stato ucciso perché  voleva denunciare gli assassini di Luigi Gravina, un’altra vittima di mafia. Sarebbe stato bruciato. “Ma resto convinto”, ragiona Paolo, “che ci possono essere altri motivi.