Comune di Rende, ecco cosa prevede il commissariamento per infiltrazioni mafiose

L’operazione del 10 novembre 2022 della procura di Cosenza, meglio nota come porto delle nebbie, non era nient’altro che una “foglia di fico” dietro la quale ha cercato disperatamente di nascondersi il procuratore Gattopardo di Cosenza, che finora non solo aveva dormito sonni tranquilli ma aveva anche “coperto” il suo compagno di merende Marcello Manna. 

Le vere mazzate a Manna le ha date la Dda di Catanzaro, che – beninteso – non ha ancora concluso il suo lavoro ma che certamente sarà facilitata (anche senza Gratteri, in procinto di andarsene a Napoli) dallo scioglimento del Comune di Rende deciso dal Ministero dell’Interno dopo quasi sei mesi di lavoro della Commissione d’accesso antimafia, che ha ascoltato decine di persone e alla fine non ha avuto dubbi a chiedere lo scioglimento. 

La Prefettura di Cosenza alla fine di settembre aveva dato il via libera per l’insediamento della Commissione d’accesso antimafia al Comune di Rende (avvenuto poi all’inizio di ottobre) dopo il blitz di Gratteri che ha scoperchiato tutti gli affari e gli agganci tra il sindaco Manna, i suoi collaboratori e i clan confederati di Cosenza e Rende. Il Prefetto Reppucci, indicato dalla Prefettura di Cosenza, per guidare la Commissione, è stato più volte a Rende per acquisire documenti e incontrare il sindaco mafioso e i suoi scagnozzi. 

La Commissione, oltre che da Reppucci, era composta da Giuseppe Zanfini, Dirigente del Commissariato di Polizia di Paola, e dal Tenente colonnello Dario Pini, Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale Carabinieri di Cosenza. Secondo quanto circolava ormai abbondantemente, la relazione finale è stata una mazzata a Manna e a tutti i suoi tirapiedi.

A Rende il pensiero di molti è volato indietro al 2012-13 quando, dopo l’arresto dell’ex sindaco Umberto Bernaudo (in quota Sandro Principe), il Governo aveva inviato la Commissione d’accesso agli atti, abilmente “pilotata” da Tonino Gentile, un cui uomo – il famigerato commissario Valiante – aveva avuto l’ordine di “azzerare” il Comune. E così fu, perché nel corso del lavoro della Commissione, il nuovo sindaco Vittorio Cavalcanti, che pure era espressione di Sandro Principe, voltò le spalle al suo “capo”, rassegnò le dimissioni e aprì la strada al successo elettorale di Marcello Manna, che vinse nel 2014 proprio in quota Cinghiale. Salvo poi buttarsi con Nicola Adamo e il Pd in corso d’opera. 

La vita è una ruota che gira, del resto. E così come Manna aveva sfruttato al massimo la Commissione d’accesso, adesso vedrà la fine della sua avventura politica proprio con un’altra Commissione d’accesso antimafia e ci sarà qualcun altro che – lui voglia o non voglia -, ne approfitterà anche se l’uomo che sussurra alle mazzette o la sua “scudiera” Annamaria Artese, sorella del mitico Ariosto (arrestato anche lui insieme a Manna il 1° settembre), non si sono dimessi aprendo le porte a uno scioglimento per mafia che è umiliante e mortificante per tutti i rendesi. 

Ma vediamo cosa prevede la legge. 

Lo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata è stato introdotto nel 1991 ed è ora disciplinato nel Testo unico degli enti locali. Si tratta di una misura di prevenzione straordinaria, che si applica quando esiste il reale pericolo che l’attività di un comune o di un’altra amministrazione locale sia piegata agli interessi dei clan mafiosi.

Al fine di accertare il condizionamento delle organizzazioni criminali sull’ente locale, il ministro dell’Interno nomina un’apposita Commissione di indagine prefettizia: la legge non prevede attualmente la comunicazione alle Camere dell’avvio della procedura di accesso; si tratta di una lacuna che andrebbe colmata al fine di informare l’opinione pubblica e le forze politiche di un fatto così rilevante nella vita di un ente locale.

La Commissione svolge un approfondito esame dell’attività amministrativa, analizzando anche le risultanze delle indagini giudiziarie sui gruppi criminali presenti sul territorio e gli eventuali provvedimenti adottati nei confronti di amministratori locali e dipendenti; il prefetto trasmette le conclusioni di questo lavoro del comitato provinciale per l’ordine pubblico (che esprime il suo parere al riguardo) e poi al ministro dell’Interno, il quale decide se archiviare (in tal caso la relazione del prefetto non è pubblicata: è un’altra lacuna della normativa attuale) oppure sottoporre la proposta di scioglimento al consiglio dei ministri che delibera nel merito; il successivo decreto di scioglimento del presidente della repubblica, con allegati la relazione del ministro e quella del prefetto, precisa la composizione della commissione straordinaria di tre membri, cui affidare la gestione dell’ente per un periodo massimo di 18 mesi, successivamente prorogabili a 24 mesi, al termine del quale si svolgono nuove elezioni. La relazione del prefetto è inviata anche all’autorità giudiziaria ai fini dell’eventuale applicazione delle misure di prevenzione.

Il commissariamento per infiltrazioni della criminalità organizzata può essere deliberato anche con riferimento ad enti precedentemente sciolti ai sensi dell’art. 141 del Tuel (come avviene ad esempio per le dimissioni del sindaco o della maggioranza dei consiglieri, cui fa frequentemente seguito il commissariamento ex art. 143). In base all’art. 146 del Tuel, la procedura di scioglimento si applica ad altri enti locali (comunità montane, unioni di comuni, circoscrizioni etc.), ai consorzi di comuni e province, nonché alle aziende sanitarie ed ospedaliere, oggetto di particolare interesse da parte delle organizzazioni mafiose (14 procedure di accesso dal 1991 a novembre 2019).

Contro il decreto di scioglimento è possibile presentare ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di stato: i giudici amministrativi decideranno in merito alla legittimità del decreto di scioglimento, dopo aver acquisito i verbali delle sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica ed il testo integrale delle relazioni della commissione di accesso e del prefetto, anche se segretate: i giudici potranno così effettuare una rigorosa valutazione complessiva degli elementi raccolti dal prefetto, alla luce delle puntuali contestazioni della difesa (in passato si sono verificati diversi casi di annullamento dei decreti da parte di Tar e Consiglio di stato).

Il fenomeno riguarda, storicamente, soprattutto le regioni del mezzogiorno. In particolare Calabria, Campania, Sicilia e Puglia. Circa il 90% dei commissariamenti per mafia si concentra nelle prime tre regioni. Le città metropolitane di Reggio Calabria (70 commissariamenti al giugno 2021) e di Napoli (61), da sole, totalizzano il 37% dei commissariamenti per mafia dal 1991 al 2021. Altro aspetto da sottolineare è che tutti i comuni che sono stati commissariati più di una volta dal 1991 si trovano nell’Italia meridionale.

Analisi

La legge richiede che emergano “elementi certi, univoci e rilevanti” sul condizionamento mafioso. Nel corso del tempo, grazie soprattutto ai principi stabiliti dalla giurisprudenza dei giudici amministrativi sono state meglio definite le condizioni per arrivare allo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata. Sulla legittimità della disciplina del commissariamento per infiltrazioni mafiose si è espressa anche la Corte costituzionale: sentenza n. 103 del 1993.

Attraverso ricorsi e sentenze, nel corso degli anni la giurisprudenza, in particolare quella amministrativa, ha chiarito molti ambiti di incertezza nella normativa sui commissariamenti per mafia e stabilito anche modalità di applicazione concreta. Per tenere traccia di questo lavoro, abbiamo raccolto un’analisi di sentenze e decisioni di Tar e consiglio di stato che hanno permesso di capire concretamente.

È richiesta non solo l’esistenza di forti collegamenti tra esponenti dell’organo politico e/o dipendenti dell’Amministrazione con i clan presenti sul territorio (assumono particolare valore a tale riguardo le frequentazioni assidue con i boss locali, il sostegno elettorale alle liste dei candidati, la comunanza di interessi degli amministratori con aziende controllate dalla criminalità) ma soprattutto la dimostrazione che singoli atti di gestione sono stati adottati proprio per favorire i clan mafiosi ed i loro esponenti. Ad esempio nel settore degli appalti di lavori, forniture e servizi oppure nella concessione di beni demaniali è frequente il ricorso a ditte già colpite da una interdittiva antimafia o che saranno successivamente escluse dalle white list.

Non si tratta cioè solo di accertare l’esistenza di singoli casi di corruzione, di atti illegittimi oppure di forte disordine nella gestione amministrativa o, ancora, di un uso distorto delle risorse pubbliche, ma è necessario verificare se e come le organizzazioni criminali sono state concretamente in grado di condizionare l’azione dell’ente locale.

Lo scioglimento prescinde da eventuali responsabilità penali dei singoli amministratori locali (che comunque possono essere considerate nell’ambito di un provvedimento di scioglimento). Perciò non è necessario attendere la conclusione del processo penale per deliberare in ordine al commissariamento di un ente. La procedura di accesso, infatti, riguarda gli organi elettivi nel loro complesso (a differenza dell’art. 142, che prevede la rimozione del sindaco o di un altro amministratore locale per “atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico”).

Pertanto è possibile lo scioglimento anche quando emerga un’incapacità del consiglio comunale, nel suo complesso, nel contrastare l’infiltrazione mafiosa e ad esercitare il dovuto controllo sulla burocrazia e sui gestori di pubblici servizi, a prescindere cioè dall’accertamento di una precisa volontà da parte degli amministratori di assecondare le richieste dei clan locali

Le conseguenze del commissariamento

Il decreto di scioglimento comporta la cessazione dalla carica di tutti i titolari di cariche elettive, la risoluzione degli incarichi assegnati a dirigenti e consulenti e l’affidamento dell’intera gestione dell’ente locale ad una commissione straordinaria, che dovrà  adottare tutti i provvedimenti necessari per il pieno ripristino della legalità. In tale ambito potrà anche procedere all’annullamento delle delibere (affidamento di lavori e forniture, concessioni demaniali e edilizie, contributi etc) di cui siano beneficiari boss locali oppure aziende comunque legate alla criminalità organizzata. Vengono altresì rinforzate le verifiche previste dal codice antimafia, prevedendo l’obbligo dell’ente commissariato di acquisire nel quinquennio successivo l’informazione antimafia relativamente a tutte le concessioni di valore economico.

In questo contesto assumono particolare importanza le misure volte a garantire la massima trasparenza dell’attività amministrativa, attraverso l’adozione di protocolli di legalità, d’intesa con la prefettura, e di regolamenti per i diversi settori (urbanistica, albo dei fornitori, accesso civico etc) nonché la riorganizzazione dell’apparato burocratico, con la rotazione degli incarichi e la rimozione del personale che risulti responsabile di aver favorito i clan locali (vedi, tra le altre, la sentenza del tar del Lazio n. 4215 del 2016 LINK).

Il commissariamento può determinare anche l’incandidabilità temporanea a tutte le successive elezioni (europee, nazionali, regionali e locali) degli amministratori locali ritenuti responsabili “delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento” (art. 143, comma 11). L’incandidabilità non è un effetto automatico del commissariamento dell’ente perché il tribunale civile dovrà accertare, in questo caso, gli addebiti specificamente riferibili  a ciascun amministratore nella cattiva gestione amministrativa, in contraddittorio con le parti, al di là degli eventuali reati commessi. Attraverso l’incandidabilità temporanea si vuole in sostanza evitare il rischio che i responsabili della situazione di grave illegalità dell’ente locale possano favorire anche in futuro il condizionamento mafioso delle istituzioni.