Consorzio del Cedro, una storia avvolta dai misteri e da flussi poco chiari di centinaia di migliaia di euro

di Saverio Di Giorno

Perché la tv non parla di Cedri, del Codice di Rossano, dei pani calabresi, delle bellezze calabresi? Perché tanto accanimento? Perché ce lo meritiamo. Infatti, se anche si parlasse di questi orgogli regionali, troveremmo vecchie storie di finanziamenti, di povertà e di investimenti poco chiari. È il caso dei misteri che avvolgono il Consorzio del Cedro che ha sede a Santa Maria del Cedro. Avvolto da misteri, appunto, e da flussi poco chiari di centinaia di migliaia di euro. E da amicizie, ovviamente. Senza che il prodotto e i dipendenti abbiano potuto avvantaggiarsene.

Tutto parte da una lunga lettera che alcuni soci (che si firmano) indirizzano al presidente f.f. Spirlì, all’assessore Gallo e al direttore di struttura Giacomo Giovinazzo. Chiedono di porre soluzione a una gestione scellerata del consorzio portata avanti dal presidente Angelo Adduci, presidenza ininterrotta dal 2005 (anno di costituzione del consorzio). Un consolato a vita. Un consolato ben retribuito.

Un consorzio nato per promuovere e far crescere il cedro di Calabria nel mondo, ma che ancora non è riuscito a dare un riconoscimento ufficiale a una delle migliori qualità di questo frutto. In realtà, più modestamente, non è riuscito nemmeno a stare in pari con il bilancio. Scrivono i firmatari che l’ultimo bilancio disponibile (2018) registra una perdita di 500 mila euro. Non poco. In effetti, verificando sul portale delle imprese – perché sul sito del consorzio non è possibile avere un bilancio, in barba a ogni consigliabile nozione di trasparenza – si nota come il fatturato del consorzio è in continua diminuzione. Addirittura, rispetto al quello del 2016 è quasi dimezzato (-46,5%). Non devono essere quindi lontane dalla verità le testimonianze raccolte che riportano soprattutto lamentele, trattamenti finanziari non sufficienti e così via. Ma questi soldi che mancano sono dovuti forse a investimenti sbagliati? Sfortuna insomma?

Non si direbbe: i firmatari denunciano “attività mai avviate”. Tra il 2016 e il 2017, infatti, lo stesso Adduci vendeva macchinari quasi nuovi, cosa di cui si può trovare traccia e addirittura i NAS sono intervenuti in passato negli spiazzali dove vengono ammassati i prodotti. Infine, anche il comune ha richiesto la restituzione dell’ex “Carcere dell’Impresa” Palazzo Marino (utilizzato in comodato gratuito) perché “gli impegni sono stati disattesi. Alla luce di tutto questo, è lecito un dubbio: che fine hanno fatto quindi questi soldi? Di più, come è stato possibile per la Regione continuare a finanziare un’attività fallimentare senza che si sia mai fatta una verifica? Si tratta pur sempre di cifre importanti.

In rete si possono trovare abbastanza facilmente finanziamenti erogati dalla Regione a enti di questo tipo, tra cui lo stesso Consorzio del Cedro. Uno forse salta di più agli occhi per entità e viene riportato anche nella lettera indirizzata alla Regione: poco meno di un milione e mezzo nell’anno 2016/2017 con il PSR 2014/2020. Con questi numeri e questi risultati deludenti, cosa devono dire non solo i dipendenti e i consorziati, ma anche le altre attività private che invece non godono di finanziamenti pubblici?

C’è un ultimo aspetto, un ultimo lecito dubbio che viene a chi ha sentito decine di storie di consorzi e finanziamenti. Se si tengono in vita carrozzoni di questo tipo senza che abbiano risultati pratici è perché fruttano altro tipo di risultati: quelli elettorali. Anche quando questi non siano voluti. Quando si riduce un mercato picconandolo e una comunità al bisogno, è una conseguenza molto probabile. E se la Regione non interviene questo dubbio non può che aumentare.