Corigliano-Rossano, la “lupara bianca” di Andrea Sacchetti: fu Nicola Acri ad accompagnarlo verso la morte

Da quando è diventato ufficiale il pentimento di Nicola Acri, il boss di Rossano dagli occhi di ghiaccio, erano in tanti ad attendere lumi su una lunga scia di omicidi che è rimasta senza colpevoli e sulla quale nessuno più di lui potrà dare ragguagli. Tra queste anche un caso di lupara bianca completamente caduto nel dimenticatoio, quello di Andrea Sacchetti. Proprio ieri le dichiarazioni di Acri e dell’altro pentito Ciro Nigro hanno fatto luce su questo caso di lupara bianca.  

All’alba degli anni Duemila, sullo Jonio, la criminalità organizzata ha “eliminato” una serie di giovani che evidentemente non erano più funzionali ai clan e davano “fastidio”.

Il sei febbraio del 2001 scomparve a Rossano Andrea Sacchetti, 29 anni, sorvegliato speciale. Su questa “lupara bianca” era calato un silenzio totale: solo qualche timido riferimento in qualche articolo di “nera” e niente più. Se non la “cronaca da bar”.

“Negli ultimi tempi – diceva un paio di anni fa un vecchio amico di Andrea Sacchetti – sono accaduti molti fatti di cronaca nella nostra zona tra Corigliano e Rossano… La mia più grande paura è proprio quella di sentire, magari tra qualche anno, le stesse cose di allora… Purtroppo niente di nuovo sotto questo cielo perché Corigliano e Rossano sono piene di storie e di omicidi non risolti”.

Andrea Sacchetti sparì nel nulla a Rossano nel bel mezzo della città, qualcuno ritrovò il suo motorino parcheggiato vicino alla stazione ferroviaria, quasi come se fosse il ragazzino innamorato che prende il treno per andare altrove dalla propria fidanzata… Ma purtroppo Andrea Sacchetti non stava andando da nessuna fidanzata ed era sorvegliato speciale per via del suo coinvolgimento in alcuni blitz, tra i quali il più famoso era “Satellite”.

Come mai non hanno più indagato o meglio come mai sono passati più di 20 anni e non si era mai saputo nulla di questo ragazzo? Eppure tutti sapevano che in quel periodo si “affacciava” alla ribalta quel clan emergente che successivamente e ancora oggi è il padrone assoluto della criminalità jonica ovvero il clan Acri-Morfò. Che sgarro ha potuto fare Andrea Sacchetti al clan in quegli anni di fuoco? Forse addirittura uno sgarro agli zingari di Cassano? Gli amici di Andrea Sacchetti lo escludono, perché a Rossano all’inizio del 2001 i “big” erano tutti in carcere, soprattutto quelli legati al boss Tripodoro. A Rossano all’epoca spadroneggiava già l’emergente Nicola Acri alias Occhi di ghiaccio con Salvatore Morfó. Che non si fidava più del ragazzo, perché troppo vicino a gente che in quel momento agiva contro Morfò e perché era scivolato nel vortice della tossicodipendenza. Sicuramente Andrea era attivo proprio in quella cosca emergente, e forse era diventato troppo ingombrante dopo essere stato “sfruttato” per qualche esecuzione.  

L’omicidio si sarebbe consumato nella stessa data della scomparsa, all’interno di un’azienda agricola del Rossanese, dove Sacchetti era stato condotto con una scusa e poi ucciso a colpi d’arma da fuoco, col successivo occultamento del cadavere.

Sacchetti era «inserito nei circuiti criminali» della città, ma i capi di lui non si fidavano. Ne riferiscono ancora una volta tanto Nicola Acri, l’ex boss “dagli occhi di ghiaccio”, quanto Nigro, allora “uomo di punta” della ‘ndrangheta coriglianese che faceva capo agli “zingari” della famiglia cassanese dei Pepe-Abbruzzese.

Anche Sacchetti come Salvatore Di Cicco venne attirato in una trappola. Il boss dagli Occhi di ghiaccio gli aveva fatto credere di poterlo rendere partecipe nei progetti criminali dei Pepe-Abruzzese. E fu proprio Nicola Acri a procurare la pistola calibro 9 con silenziatore e ad organizzarne l’omicidio. Lo accompagnò proprio lui nell’azienda agricola dove poi fu ammazzato.

Ad attenderli c’erano Eduardo Pepe, Rocco Azzaro e Fioravante Abbruzzese.

Il “pentito” Acri non partecipò all’occultamento del cadavere, ma il corpo viene distrutto «secondo una pratica già utilizzata per altri omicidi; Azzaro aveva assicurato che il luogo dell’occultamento era conosciuto, oltre che da lui, solo da Pepe e Fioravante Abbruzzese e che era sua abitudine frantumare i corpi da far sparire e disperderne i resti».