Corigliano-Rossano. Omicidio Morello, le indagini passano alla Dda: c’è lo stesso movente degli altri delitti di “lupara bianca”?

Un fotogramma nitido. L’ultima immagine in vita di Carmine Morello, ingoiato dalla lupara bianca il 7 agosto scorso a Corigliano e i cui resti sono stati ritrovati due settimane fa alla periferia della città ionica, è stata ripresa da un impianto di videosorveglianza. Il quarantasettenne è in sella a una moto poi rinvenuta a una decina di metri dal cadavere ormai in decomposizione. Sfreccia veloce e poi sparisce dopo aver superato delle auto incolonnate.
Morello è stato invitato a un appuntamento e assassinato con due colpi sparati a bruciapelo alla testa. L’uomo che l’ha ucciso gli aveva raccomandato di non portare con sé il telefonino: «Dobbiamo fare una cosa delicata, lascia il cellulare da un’altra parte». Morello ci ha creduto, cadendo nella trappola. Localizzare il corpo – proprio per mancanza di tracce telematiche – non è stato facile per i carabinieri del Reparto territoriale, diretti dal maggiore Marco Filippi.

La fine riservata alla vittima – coinvolta in passato nel maxiprocesso “Stop” istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca guidata dal boss (ora pentito) Nicola Acri – non appare decontestualizzata rispetto ai delitti di mafia avvenuti nella Sibaritide negli ultimi anni. E la circostanza sembra destinata a provocare la trasmissione degli atti dalla magistratura inquirente di Castrovillari a quella distrettuale di Catanzaro.

Sono già di competenza della procura antimafia del capoluogo di regione l’assassinio di Pietro Longobucco, trovato cadavere all’interno di un furgoncino gettato nelle acque del porto di Corigliano nel novembre del 2018. Longobucco, appartenente alle file della cosca un tempo guidata da Santo Carelli, era sempre in compagnia di un 29enne fidato guardaspalle, Antonio Sanfilippo. Quest’ultimo è stato fatto sparire contestualmente all’omicidio del suo capo. Muto il cellulare e nessuna traccia del corpo. Pure il padre di Sanfilippo, Domenico, detto “il siciliano”, venne eliminato con il sistema della lupara bianca nel 1997. I clan coriglianesi lo fecero fuori al confine tra la Germania e l’Olanda dov’era impegnato in un traffico di stupefacenti. A svelare i retroscena della sparizione è stato il killer coriglianese pentito Giorgio Basile, autore di clamorose confessioni ai magistrati calabresi e tedeschi e firmatario di un libro in cui racconta tutte le sue malefatte.

E sempre la Dda di Catanzaro indaga sulla sparizione di Cosimo Rosolino Sposato, 45 anni, avvenuta nel luglio 2019 a Corigliano-Rossano. L’uomo, intraneo a vicende di droga, è svanito nel nulla dopo aver lasciato la propria abitazione in sella ad uno scooter. Nella città ionica la lupara bianca è un antico strumento criminale utilizzato per sbarazzarsi di persone scomode. Basti pensare che solo nella primavera del 1993, furono assassinati e sepolti chissà dove Giorgio e Saverio De Simone, Antonio Filocamo e Edmondo Le Pera. I loro cadaveri non sono stati mai ritrovati. Fonte: Gazzetta del Sud