DALLA PAGINA FB DI PEPPINO CURCIO
Sparita a Cosenza la Via Cesare Curcio
Lo scorso 25 aprile ho preso parte alla manifestazione antifascista e sono intervenuto davanti alle vecchie Carceri di Colle Triglio per ricordare a tutti che in quelle galere non furono rinchiusi solo delinquenti, ma anche antifascisti come Cesare Curcio, mio padre, condannato non per aver commesso reati, ma solo perché professava e metteva in pratica le sue idee di uguaglianza e di libertà.
Indicai anche la finestra della cella dove fu rinchiuso per l’ultima volta dopo la caduta del regime nel novembre del 1944 per aver interrotto un giudice che aveva condannato 14 operai che avevano commesso la “grave colpa” di essersi astenuti dal lavoro nei cantieri forestali americani che tagliavano i nostri alberi in Sila per portarseli via come bottino di guerra.
“Qui si giudica ancora secondo le leggi fasciste!“ Gridò in faccia a quel giudice che subito dopo lo condannò a 12 mesi di prigione per oltraggio alla Corte.
Uno di quei quattordici operai di nome Salvatore Cava vide mio padre avvicinarsi al giudice per mostrargli le dita delle mani martoriate dalle torture subite 10 anni prima, nel 1932, prima di essere inviato per due anni di Confino a Ponza per la sola colpa di aver nascosto, nel convento di San Francesco di Paola a Pedace, giornali antifascisti (oggi restaurati e gelosamente conservati nella casa museo Fausto Gullo a Macchia di Casali del Manco) e una bandiera rossa.
Nella giornata che ricorda la Resistenza e la Liberazione ero consapevole di essere in mezzo a persone che manifestavano con un grande senso di appartenenza alla comunità cosentina, la stessa che in quei lontani momenti aveva risposto a quell’arresto con una manifestazione di piazza che non si era mai vista prima di allora. Mio padre a quella reazione spontanea reagì in modo esemplare: temeva una risposta dei carabinieri che aveva visto pronti a far fuoco alla folla che voleva liberarlo e stava per aprire le porte dell’attuale Galleria Nazionale. Chiese al direttore del carcere di parlare alla folla e disse a tutti un’amara bugia: che lo avrebbero rilasciato il giorno dopo. Così la folla si dileguò e Cosenza dimenticò. Solo un articolo di Gino Picciotto e una canzone ricordano quei momenti: “… no pecchì nue simu forti aperiamu chille porte…”.
Credevo che il riconoscimento della città fosse stato espresso anche con l’intitolazione di una strada a suo nome, ma stamattina con grande sorpresa ho potuto constatare che Via Cesare Curcio (se cercate su Google Map ancora c’è) è stata sostituita da Via Antonio Mirabelli.
Ricordo che al momento dell’intitolazione (negli anni ’90) la Deputazione di Storia Patria mi chiese (come è giusto che sia) la biografia di mio padre secondo quanto previsto dalla vecchia legge del 23 giugno 1927 n° 1188 (del periodo fascista! – ironia della Storia). Una legge giusta che rispetta la regola dei 10 anni che devono trascorrere dal momento del decesso di una persona, prima di poter affermare con più giustizia “l’ardua sentenza dei Posteri”.