Parliamoci chiaro: quella del 2 novembre 2017 non si poteva definire né una operazione né un blitz. Anche se per Cosenza, essendo la prima volta che si toccavano in qualche modo i famigerati colletti bianchi, restava una grande novità. Ma non era certo con qualche interdizione che si poteva dire risolto il problema della corruzione a Cosenza.
Per Pecoraro e Bartucci è stata l’occasione giusta per farsi una bella vacanza pochi mesi prima della loro “meritata” pensione. Per loro non è cambiato niente, anzi. Il loro patrimonio resta intatto. Dei milioni di euro sottratti illecitamente ai cosentini nessuna traccia nell’ordinanza emessa dal Gip. Ma come si dice: meglio poco che niente. Evidentemente era successo qualcosa all’epoca che aveva in qualche modo costretto Spagnuolo a muoversi su questo “versante”. Altrimenti Spagnuolo, se non fosse stato costretto, mai si sarebbe “lanciato” in questa avventura. In questa storia Spagnuolo ha solo da perdere, anzi diciamo pure che è coinvolto a tutti gli effetti.
E come da scontatissimo copione, il “Sistema Cosenza” che tutta la parte sana della città subisce da anni, è stato clamorosamente negato con assoluzioni per tutti: non esiste. Eppure a dirlo, quel giorno del 2017, sono stati anche i nostri rivali storici: la procura di Cosenza, alias porto delle nebbie. Spagnuolo ha parlato di un sistema collaudato e di reati gravissimi. Anche la Manzini – che tra una pettinata e l’altra ha trovato il coraggio di rispondere con carte alla mano al sindaco Occhiuto che più di una volta si è preso gioco di lei – aveva spiegato punto per punto tutte le irregolarità amministrative riscontrate in migliaia di atti, le famigerate determine dirigenziali e come l’ufficio tecnico del Comune era diventato un porto di mare per pirati e bucanieri. Lavori inesistenti affidati a ditte amiche in odor di mafia in cambio di denaro e favori. Urgenze inventate di sana pianta e pagate a peso d’oro. Quelli illustrati dalla Manzini sono reati conclamati, innegabili, lampanti, certi, perché messi nero su bianco dagli stessi ladroni che fino a ieri si sentivano intoccabili ed impuniti. Su questo non ci piove. Eppure non è bastato per ottenere condanne: tutto regolare, tutti assolti.
Eppure in tutto questo, come sempre, già allora, qualcosa non torna. A leggere l’ordinanza, si parlava, oltre che delle decine di ditte amiche, in particolare della Medlabor. Giova ricordare che il 20 maggio del 2016, proprio la Manzini inviò 6 avvisi di garanzia a dirigenti e imprenditori, nell’ordine: all’ex capo di gabinetto di Occhiuto, Carmine Potestio, ma anche all’ex dirigente Domenico Cucunato, all’ingegnere Carlo Pecoraro, agli imprenditori Francesco Amendola e Antonio Amato e al responsabile della ditta Medlabor Antonio Scarpelli. Tutti risultano indagati per corruzione e abuso d’ufficio, nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza, avviata all’epoca, sugli appalti per la manutenzione cittadina. In particolare, gli investigatori hanno deciso di approfondire la costosa gestione delle luminarie in città, per tre anni sempre affidata alla ditta Medlabor, e costata al Comune di Cosenza la modica cifra di 800mila euro.
Dice la Manzini nella nota stampa inviata all’epoca alle agenzie: la “fortuna” della ditta Medlabor si deve all’ex capo di Gabinetto del Comune di Cosenza Carmine Potestio che in cambio di denaro ha favorito la ditta, affidandole lavori e commesse in via diretta, senza passare attraverso una gara. E la prova di questa “favoritismo” sta nella crescita della Medlabor, ditta che nel 2011 aveva un giro d’affari di appena 10mila euro, ma tra il 2012 e il 2015 riceve appalti e commesse dal Comune di Cosenza per oltre 600mila euro. Il tutto conclude, la Manzini, con la complicità del dirigente del settore Lavori pubblici, Domenico Cucunato, e del suo direttore di dipartimento, Carlo Pecoraro. Gli appalti venivano frazionati in modo da non superare la soglia dei 40mila euro, quindi affidati attraverso il sistema del cottimo fiduciario alla Medlabor.
Ora, le domande sorgono spontanee: questi avvisi di garanzia, emessi ormai quattro anni e mezzo fa, facevano parte di un’altra inchiesta o rientravano nell’ordinanza del 2 novembre 2017? O meglio, l’ordinanza è la conseguenza giudiziaria di questi avvisi di garanzia o sono due cose distinte e separate?
Perché a leggere i nomi degli avvisati del 20 maggio 2016, 5 di questi li ritroviamo nell’ordinanza del 2 novembre 2017 ed uno no.
L’unico che non è stato raggiunto da nessun provvedimento è Carmine Potestio, ritenuto dalla Manzini, due anni fa, l’organizzatore di questa squallida truffa ai cittadini, nonché il referente unico della Medlabor in Comune. Ma nell’ordinanza del 2 novembre 2017, dove si parla tanto della Medlabor, il suo nome non risulta. E’ sparito dalle carte. Come mai?
Forse che Carmine Potestio era ritenuto dalla Manzini e da Spagnuolo, estraneo a tutta questa corruzione? Come mai la Manzini lo escludeva dall’ordinanza, quando fino a poco tempo fa lo riteneva l’unico referente della Medlabor in Comune? Cosa aveva fatto cambiare idea alla Manzini? Le risposte possono essere solo due. La prima: Potestio è talmente potente da ricattare la procura di Cosenza (perché conoscitore di tangenti e mazzette elargite a magistrati), e la foto che abbiamo pubblicato dove il pm Cozzolino va a cena con l’ex capo gabinetto, è la prova che la “mediazione” ha funzionato. Potestio in quella cena, alla presenza del presidente del consiglio comunale di Cosenza Caputo, come vi abbiamo raccontato, ha detto a Cozzolino: digli alla Manzini che o mi tiene fuori dalle inchieste, oppure mi canto tutto. E la Manzini per non far precipitare gli eventi, è stata costretta a tutelare Potestio.
La seconda: Potestio non rientra in questa ordinanza perché appartenete al livello politico. E non a quello “amministrativo” trattato nell’ordinanza della procura di Cosenza. Per cui è lecito pensare che esiste, in itinere, un’altra inchiesta che coinvolge il livello politico. che come tutti sanno è il vero “colpevole” di tutta questa storia, e Potestio evidentemente, rientra in questo “filone”.
Altrimenti non si spiega come fa a sparire dall’inchiesta colui il quale è considerato da chi ha svolto le indagini come il “capo della banda”. Ma su questo, almeno finora, non ci sono certezze.