La vile e violenta aggressione che ho subito ieri ricorda molto, volendo usare una metafora letteraria, il colpo di coda di Moby Dick che mozza di netto la gamba al capitano Achab.
Già, perché quello che ho subito ieri ad opera di due uomini appostati da tempo nei pressi della nostra redazione in attesa del momento propizio per aggredirmi, è un agguato che sa molto di colpo di coda. Un gesto estremo di chi oramai si sente alle strette. Di chi sa bene che in questa partita si gioca il tutto per tutto e non si rassegna ad un destino già scritto, e quando si è alle strette o in una strada senza via d’uscita, la reazione, per chi è abituato a vivere nella miseria della sottocultura malavitosa, non può che essere la violenza.
Quella di ieri, nei miei confronti, è stata una vera e propria azione violenta, fermata solo, per mia fortuna, dalla presenza di molte persone sul luogo dell’agguato. Le intenzioni dei due che vigliaccamente mi hanno aggredito erano quelle di andarci giù pesante. Volevano farmi del male, ma volevano fare anche di me “una lezione esemplare” per quei pochi che come noi osano disturbare il “manovratore”. E non si sono fatti scrupoli ad essere espliciti, volevano essere sicuri della chiarezza del messaggio: “caccia subitu i fotografie di l’avucatu Manna e un scriva chiù nenti supra a Patitucci, a prossima vota ti tagliamu a capu”. Questo è il messaggio che dovevano farmi entrare in testa a suon di pugni e calci. L’ordine era chiaro: colpire duro. Così com’è chiaro il mandante: la massomafia cosentina. Una organizzazioni tra le più potenti d’Italia.
I motivi dell’aggressione sono chiari: dopo l’uscita della notizia della richiesta di incidente probatorio nei confronti dell’avvocato Manna, dell’avvocato Gullo e del mafioso Patitucci, indagati dalla Dda di Salerno per aver corrotto il giudice Petrini, argomento largamente trattato dalla nostra testata, abbiamo pubblicato una serie di articoli in cui sveliamo la strategia malandrina messa in atto dall’avvocato Manna, con la complicità dei suoi amici massomafiosi, per fermare l’inchiesta a loro carico. Oltre a pubblicare un secondo frame dove si vede l’avvocato Manna porgere al giudice Petrini un fascicolo, analizziamo le assurde motivazioni addotte dal Gip di Salerno nel rigetto della richiesta d’arresto del giudice Petrini. Motivazioni insensate che vanno oltre le competenze del Gip, segno evidente che la massomafia si è mossa per mettere a tacere il giudice canterino che nei suoi racconti ai pm di Salerno inguaia mezza Calabria, principalmente giudici e avvocati. Una vera e propria mina vagante. Un uomo da fermare. Un problema serio per certa magistratura.
Dice il Gip Pietro Indinnimeo: «Allo stato, per il Petrini l’unica possibilità di inquinamento probatorio e di reiterazione del delitto di calunnia è collegato alla scelta della polizia giudiziaria e del pubblico ministero di continuare a interrogarlo nonostante la presa d’atto della sua sostanziale inattendibilità intrinseca. Da qui la scelta di non procedere a nuovi interrogatori in chiave investigativa proprio tenuto conto del suo contegno, esclude in nuce entrambi i rischi – inquinamento probatorio e reiterazione del delitto – paventati nella domanda cautelare che, di conseguenza, non può essere accolta».
Secondo il Gip i pm non dovevano interrogarlo, perché l’inattendibilità di Petrini è “innata”. Ovvero è sempre stato un inaffidabile anche quando era presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, perciò sottoporlo ad altri interrogatori non serve a nulla. Petrini per il Gip è totalmente incapace di intendere e di volere.
Lo scopo di questa descrizione, che non compete al Gip, è quello di avallare la tesi difensiva dell’avvocato Manna – in seria difficoltà nel giustificare la sua presenza nell’ufficio del giudice Petrini ripreso mentre gli consegna una bustarella per aggiustare il processo del mafioso Francesco Patitucci già condannato a 30 in primo grado per l’omicidio di mafia di Luca Bruni – che punta tutto sull’inattendibilità del giudice Petrini. Non ha altri argomenti se non questo: dire che Petrini è un mitomane che si inventa le storie, anche se Manna non spiega il perché Petrini lo chiama in correità. Perché Petrini fa il suo nome e non quello di qualcun altro? Forse perché gli è antipatico, o forse perché è il primo che gli è venuto in mente, oppure perché giocava con lui a golf? Perché Petrini fa il nome di Manna e non quello di Tizio o di Caio? E poi come mai Manna, visto che l’immagine della bustarella è di dominio pubblico, non spiega cosa c’era dentro senza tirarla alle lunghe? Lo dica pubblicamente cosa c’era nella bustarella se è sicuro delle sue azioni. Perché aspettare l’incidente probatorio se è veramente innocente?
È chiaro che tutto questo è diventato per Manna insormontabile, e la richiesta dell’incidente probatorio è la risposta dei pm di Salerno al tentativo di legittimazione del giudice Petrini. Manna e Petrini saranno presto faccia a faccia, e allora sapremo cosa dirà l’uno e cosa dirà l’altro. Siamo tutti curiosi di sapere come Manna spiegherà ad un giudice terzo, il passaggio di una bustarella e di un fascicolo al magistrato corrotto. Così come siamo curiosi di sapere se Petrini confermerà le sue accuse contro Manna, Gullo e Patitucci, accuse che all’oggi non ha mai ritrattato, checché ne dica l’avvocato Manna.
Le preoccupazioni di Manna sono evidenti, e lo dimostrano il suo silenzio nel merito della vicenda, preoccupazioni che ha trasmesso anche al suo assistito, il mafioso Francesco Patitucci, che rischia di vedersi annullata la sentenza di assoluzione emanata da Petrini. Un vero guaio per lui. Potrebbe ritornare in galera a scontare 30 anni. Ed è questo che ha fatto scattare il colpo di coda: l’aver messo a nudo la loro strategia in un momento delicato dove le possibilità di farla franca, questa volta, sono davvero esigue. Avranno pensato: perso per perso almeno gliela facciamo pagare. E così hanno fatto senza calcolare le conseguenza, agendo solo con rabbia e ferocia. Un agguato massomafioso che non fermerà il nostro lavoro, anzi, la vigliaccheria dimostrata nell’aggressione è uno sprone per noi ad andare avanti. Non sarà certo la spavalderia di qualche esaltato a fermarci, ci vuole ben altro. Lo dico da sempre: dovete spararmi alle spalle per fermarmi.
Sul fronte delle indagini per quel che riguarda l’agguato nei miei confronti, la squadra mobile ha già ascoltato i diversi testimoni presenti all’aggressione e recuperato le registrazioni di diverse telecamere puntate sul luogo dove è scattato l’agguato, nonchè ha rintracciato l’auto che i due hanno usato per la fuga. Non appena avremo notizie sull’identità degli aggressori vi informeremo.
La guerra è appena iniziata e il nemico da combattere è forte: possiede armi, denaro, scagnozzi e uomini al loro servizio nei posti chiave delle istituzioni. Non sarà per niente facile affrontarli, ma pensiamo che sia arrivato il momento di schierarsi concretamente, e dire chiaramente da che parte si sta, senza ambiguità, anche perché, alla luce di tutto ciò, una occasione concreta, per cambiare davvero qualcosa, come questa che stiamo vivendo, non ci ricapiterà più.