Cosenza candidata a capitale italiana della Cultura 2026. E meriterebbe di esserlo, i presupposti ci sarebbero pure: più di 2000 anni di storia, con influenze romane, normanne e bizantine. Un centro storico che, dal punto di vista storico e architettonico, è tra i più belli del sud, anche se a livello strutturale risulta abbandonato e mortificato. E non mancano i personaggi famosi che nel corso della storia hanno reso Cosenza (che vuol dire anche la provincia) una città dotta e colta, ne citiamo più di qualcuno: San Francesco di Paola, Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio, Aulo Giano Parrasio, Paolo Antonio Foscarini, Antonio Serra, Giovan Battista Amico, Marco Aurelio Severino, Tommaso Cornelio, Rutilio Benincasa, Mattia Preti, Pirro Schettini, Giovanni Vincenzo Gravina, Alfonso Rendano, Vincenzo Padula, e tanti altri. Coraggiosi pionieri del pensiero critico. Veri campioni di filosofia, scienza, arte, musica anche se considerati dalla letteratura ufficiale “minori”, e non si capisce, come nel caso di Mattia Preti e non solo, il perché.
Tutti nomi sconosciuti ai più, con qualche eccezione come Telesio e San Francesco, e studiati solo dagli addetti ai lavori. Eppure il loro apporto allo sviluppo delle arti e delle scienze è stato fondamentale, specie per il sud. Meriterebbero più considerazione. Ma nessuno, a cominciare dai cosentini, li ha mai omaggiati per il lavoro svolto. Spesso contrastato dal “potere” dell’epoca. Oltre ad intitolargli qualche strada e piazza, per ricordarli non si è mai fatto di più. Un patrimonio intellettuale di peso e poco conosciuto che potrebbe fare la differenza nella scelta, che avverrà il 29 marzo 2024, della città italiana capitale della cultura 2026.
Ma ancora una volta non è su questo che punta l’amministrazione, come presupposto culturale da cui partire per spiegare la Cosenza di oggi e quella del futuro, per vincere la sfida. Recuperare il colpevole silenzio sulla nostra storia, e sui personaggi che l’hanno animata, che dovrebbero rappresentare l’identità culturale dei cosentini, è complicato. Del resto non siamo mai stati capaci nemmeno di “avantarci” pezzotti del calibro di Bernardino Telesio, salvo qualche timido convegno in passato, una statua, e qualche finta copia della sua principale opera il “De Rerum Natura iuxta propria principia”, oltre non si è andati. Meglio perciò buttarla sul “Dai sogni ai segni”. Che è il titolo del dossier di candidatura a città italiana capitale della cultura presentato dal comune di Cosenza, e che francamente vuol dire tutto e non vuol dire niente.
Un dossier che più che raccontare le peculiarità storico/culturali di Cosenza, e i motivi per cui meritiamo più della altre 16 città candidate a vincere la sfida, sembra uno spot pubblicitario del presunto lavoro svolto da questa amministrazione. La storia di questi straordinari personaggi si riduce ad un generico “richiamo all’Atene di Calabria”. Un dossier vago e aleatorio come i “sogni”. E i cantieri aperti sono i “segni”. “Cosenza da città sognante a città segnate” uno degli slogan presenti nel dossier. Cosa mai vorrà dire, in termini concreti, è difficile capirlo. Si fa riferimento, nel dossier, ad una presunta ripresa culturale e civile di Cosenza, merito di questa amministrazione ovviamente. Che ha come progetto per vincere la sfida: il confronto, la ricomposizione tra passato, presente e futuro, l’apertura alle contaminazioni, la ricucitura tra centro e periferie, la prossimità, l’inclusività, la sostenibilità. E chi più ne ha più ne metta. Che è come dire vogliamo la pace nel mondo. Chi mai può dirsi contrario alla pace? Così come nessuno, in linea di massima, può dirsi in disaccordo con le belle parole espresse nel dossier sulla fratellanza e il senso di comunità. In sostanza siamo di fronte alle solite chiacchiere che si scrivono quando si vuole glissare, per mancanza di coraggio e capacità, un tema spinoso: l’identità culturale dei cosentini. Ricorrere alle chiacchiere è la soluzione migliore.
A Cosenza non manca la storia e la cultura, anche se da almeno 4 lustri a questa parte se ne sono perse le tracce. Non che prima ci fosse chissà cosa, ma almeno il fermento culturale non mancava. Oggi, dopo un decennio occhiutiano, la cultura a Cosenza è confusa con lo svago. E non mancano nel dossier i riferimenti allo svago camuffato da cultura. Che è il vero programma esposto nel dossier: feste e festini, che vanno bene se calate in un contesto storico e culturale di peso, che è quello che manca alla nostra candidatura. Sarà dura spuntarla contro progetti come quelli presentati da Lucca, “Lucca 2026. Abitare la cultura”; Arezzo, Unione Montana dei Comuni della Valtiberina “Il Cantico delle Culture”; Siena, Unione dei Comuni Valdichiana Senese, “Valdichiana 2026, seme d’Italia”; Perugia, Unione dei Comuni Terre dell’Olio e del Sagrantino. Ma noi, nonostante tutto tifiamo Cosenza che più che candidarsi come città capitale italiana della cultura, stando al dossier, sembra essersi candidata a città capitale italiana delle chiacchiere 2026.