Cosenza. Cantafora, il lato oscuro della questura

Per capire il perché dell’accanimento del dirigente di polizia Raffaele De Marco, capo della sezione digos della questura di Cosenza, nei riguardi degli antagonisti cittadini, bisogna partire da una figura che più delle altre ha fatto la “storia” della questura cosentina: il primo dirigente Alfredo Cantafora. Un nome una garanzia. Entrato in polizia nel 1990, Alfredo muove i suoi primi passi da sbirro presso il commissariato di Lamezia Terme. Nel 1993 viene trasferito alla questura di Cosenza con il ruolo di dirigente della squadra mobile prima, e della digos poi, dove trascorrerà gran parte della sua vita professionale. Nel 2011, dopo una serie di vere e proprie peripezie professionali, Alfredo è costretto a fare le valigie per trasferirsi a Catanzaro come primo dirigente presso l’Ufficio di Polizia amministrativa e sociale e dell’immigrazione. Ma il suo “esilio” dura poco, nel 2013, “scontata la pena”, fa ritorno alla questura di Cosenza dove attualmente presta servizio.

Alfredo sin da subito evidenzia la sua propensione sbirresca dimostrandosi volenteroso e sempre pronto ad assecondare ogni desiderio dei suoi superiori, pur di far carriera. Vuole far capire ai suoi superiori che è disposto a tutto, anche a lavorare giorno e notte se serve per far carriera. Ha voglia di mettersi in mostra Alfredo, e così, tra il ’94 e il ’95, riceve l’ordine di “mappare” la geografia politica dei sovversivi a Cosenza. Erano gli anni della caccia agli “anarchici insurrezionalisti” e degli attentati ai simboli del potere capitalistico. E Cosenza, dopo una serie di “attentati simbolici” contro sedi fasciste e caserme dei carabinieri, era finita nel mirino del Ministero degli Interni: per gli analisti dell’antiterrorismo Cosenza era (ed è) una città con un forte potenziale sovversivo, e andava per questo attenzionata. Di più: Cosenza, all’epoca, era una della poche città a sud di Napoli che aveva dato fuoco alla miccia dei “Centri Sociali Autogestiti”, e il Gramna rappresentava, per tutto l’antagonismo italiano, un punto di riferimento per le lotte al sud. Un vero e proprio fortino che andava a tutti i costi abbattuto.

È l’occasione giusta per Alfredo di mettersi in mostra. Vuole compiacere il questore (Gallucci prima, Panico dopo), sa che solo leccando si fa carriera, quando non hai talento. Al governo c’è Berlusconi, e la direttiva per tutte le questure è una sola: dajè al comunista. E i vertici delle questure rispondono. I politici locali, legati ai marpioni del governo, vedono in questo l’occasione giusta per togliersi dalle scatole qualche “zecca rossa”. E così affidano ad Alfredo, il compito di “incastrare” i sovversivi. Il tutto sotto l’attenta guida della procura cosentina sollecitata dagli amici degli amici a porre un freno all’attivismo politico, che tanto male fa agli affari loschi, dei militanti del “Centro Sociale Gramna”. Una vera spina nel fianco degli intrallazzatori massomafiosi.

Alfredo si mette subito al lavoro, compiacere ai potenti è il suo unico scopo, esaudendo a comando ogni richiesta della procura. Indaga, pedina, registra, intercetta ogni mossa e respiro di tutti quelli finiti sulla lista nera della procura. Alfredo diventa di fatto il braccio armato dei pm che lavorano per gli amici degli amici. Loro ordinano, lui esegue. Sbarazzarsi di tutta la marmaglia legata al Gramna, la richiesta principale. Su questo Alfredo non può sbagliare, se vuole fare carriera. E così inizia a costruire tutto il materiale necessario ai Pm per “incastrare” i sovversivi. Tra i suoi tanti scritti famoso resta il dossier di venti pagine dal titolo: «Appunto riguardante la storia dell’eversione cosentina degli anni settanta fino ad oggi», rivolto alla cortese attenzione del sostituto procuratore Fiordalisi da parte del dirigente della digos Alfredo Cantafora, che così inizia il suo discorso: “Si premette che negli anni trascorsi, in questo capoluogo, si sono verificati fatti tali da far ritenere l’esistenza di un filo conduttore importante tra elementi legati all’eversione, specialmente quella di sinistra da cui sono scaturiti episodi eclatanti del terrorismo in campo nazionale e soggetti che operano localmente”.

Il tutto supportato da prove del tipo: Caio (e citiamo testualmente) è stato beccato a scrivere sui muri della città: “Berlusconi cretino”. Tizio è stato visto in una trasmissione televisiva di Minoli sull’America latina. Sempronio è stato intercettato mentre diceva a persona rimasta sconosciuta che per “cambiare le cose ci vorrebbe una rivoluzione”. E ancora: “in casa di alcuni militanti del centro sociale, sono stati ritrovati libri scritti da appartenenti alle “Brigate Rosse”. Queste erano le contestazioni mosse da Cantafora, su suggerimento di Fiordalisi, contro i famigerati sovversivi.

L’attività di Cantafora contro i sovversivi dura da oltre 25 anni. In tutto questo tempo non è mai riuscito a dimostrare niente di tutto quello che i pm gli avevano detto di scrivere contro gli antagonisti e i sovversivi. E la sentenza del processo No-Global, che lo vede protagonista, è la  sconfessione di tutto ciò che ha scritto: un cumulo di cazzate totalmente inventate solo ed esclusivamente per compiacere, per mere questioni di carriera, agli amici degli amici. Di verità Cantafora non ha scritto neanche un rigo. La bocciatura delle sue false indagini, da parte di una ventina di magistrati, lo dimostra ampiamente. Alfredo ha fallito miseramente su tutti i fronti e questo gli costerà l’amaro trasferimento a Catanzaro. A lui subentrerà Pietro Gerace. Quella che doveva essere una buona occasione per la sua carriera si è trasformata nella peggiore delle sciagure. Ma la vendetta si sa, è un piatto che va servito freddo.

Alfredo è uno che non si arrende, non ha accettato la sconfitta e dopo aver concordato il suo rientro a Cosenza, ha continuato da dietro le quinte a muovere burattini e pupazzi, nella sua oramai santa guerra contro i sovversivi, arruolando, di nascosto, alla sua causa, sempre sostenuta dagli amici degli amici, dirigenti pimpanti pronti a mettersi in mostra in cambio di una promessa di carriera. Tra questi l’attuale capo della digos Raffaele De Marco. Cantafora, il lato oscuro della questura.

Iniziamo col dire che a volere De Marco a capo della digos, dopo la breve ma intensa era Gerace, l’attuale questore Petrocca…

2 – (Continua)