Cosenza capitale del volontariato: ma chi sono i “poveri cosentini”?

Se il volontariato non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Ma per fortuna, in questo mondo, esiste da sempre una umanità che non si arrende all’egoismo, all’individualismo, e alle barbarie, capace di contrapporre alla povertà e alla violenza, la potente arma di cui è dotata: la solidarietà tra esseri viventi. L’unica vera esplosione che porta alla pace. Se vuoi la pace per davvero, più che la guerra, prepara e arruola un esercito di volontari, verrebbe da dire pensando all’immensa opera sociale costruita, in tutto il mondo, da tanta gente di buon cuore che ogni giorno, senza nulla a pretendere, si spende per gli altri. Senza il loro sincero impegno, senza il loro alto senso di responsabilità, tanta umanità non ce la farebbe. Chi impiega, volontariamente, parte del proprio tempo a costruire umanità, percorrendo sentieri che portano alla fratellanza tra gli uomini, appartiene di diritto alla “schiera dei giusti”. Il volontario è un Giusto. Ed è un onore per tutti i cosentini ospitare i tanti volontari, uomini e donne di cui andare fieri, nella nostra città in occasione della manifestazione “Cosenza capitale italiana del volontariato 2023”.

Un’occasione straordinaria per ascoltare le tante storie che i volontari hanno da raccontare. Un modo per meglio comprendere, attraverso le loro esperienze, cosa vuol dire la povertà, e cosa ognuno di noi, anche nel suo piccolo, può fare per combattere le tante disuguaglianze sparse nel mondo. Nessuno al mondo dovrebbe morire per fame o per guerra. Nessuno al mondo dovrebbe essere povero. E’ questo il sentimento che fa battere il cuore di tutti i volontari del mondo: abolire la povertà il sogno da inseguire. Povertà, che in questo triste mondo, non è uguale per tutti. Un conto è essere povero in un villaggio sperduto dell’Africa, un altro conto è essere povero, ad esempio, a Cosenza che, per quanto storicamente “cresciuta” ai margini dei processi produttivi e finanziari dell’ultimo secolo, resta ed è una città del ricco, opulento e belligerante “Occidente”. Nei villaggi africani devastati da carestie e sanguinose guerre, la “gente” per davvero muore di fame, mentre, nessuno, grazie a Dio, a Cosenza (come nel resto d’Europa), dal dopo guerra in poi, muore di fame perché non ha niente da mangiare. Un piatto di pasta, grazie al lavoro dei volontari, in Occidente, non si nega a nessuno.

Essere poveri a Cosenza, in Occidente, significa accontentarsi di quello che dalle tavole dei ricchi padroni avanza che, seppur avanzato, riempie sempre la pancia. Sta qui la differenza tra un povero africano e un povero occidentale. L’africano, a differenza dell’occidentale, non ha neanche la “tavola del padrone” da dove rubacchiare qualche briciola. I problemi del povero cosentino sono di altra natura: vivere al di sotto dello “stile di vita sociale” che in una società avanzata come la nostra dovrebbe essere uguale per tutti. Il vero salutare benessere è destinato solo a determinate “caste”. Per tutto gli altri c’è la Caritas.

Per capirci: il povero cosentino non muore di fame, ma vive di surrogati (materiali e immateriali) in una società che potrebbe dare la qualità a tutti ma che ha deciso di destinarla solo a pochi. Nel pratico: il povero cosentino, che non muore di fame, fa la spesa al Discount, spesso si serve anche al “banco” o nelle chiese, e mangia e beve solo prodotti che con l’originale non hanno niente a che fare. Caffè che non è caffè, mozzarelle che non sono mozzarelle, parmigiano che non è parmigiano, e una infinita serie di sotto prodotti industriali che francamente fanno davvero schifo. Il povero cosentino se perde i denti, è destinato a restare sgangatu per tutta la vita. Il povero cosentino vive in alloggi precari, insalubri, e privi di ogni servizio, nel menefreghismo delle istituzioni. Il povero cosentino se ha bisogno di cure non può far altro che mettersi in fila e sperare di arrivare vivo all’appuntamento con il medico del servizio pubblico. Il povero cosentino non sa che cos’è un ristorante, una gita con la famiglia, una domenica al circo con i bambini, un mese al mare. Il povero cosentino, anche quando lavora, non può sforare i 700 euro al mese. Al povero cosentino non è concessa nessuna opportunità, deve accontentarsi di quel che passa il convento, la sua condizione di povero non può e non deve cambiare. Senza il povero non c’è il ricco. Il povero cosentino se ruba una mela, finisce subito in galera. Se poi il povero cosentino è diversamente abile, i problemi, per lui, si triplicano, vedersi riconosciuti i propri diritti diventa una impresa impossibile.

È chiaro, a questo punto, che se chiedessimo ad un povero africano che vive di solo “aiuti umanitari”, con una aspettativa di vita che non va oltre i 40 anni, se il suo villaggio non è zona di guerra, di cambiare la sua povertà con la povertà di un cosentino, ci direbbe subito di sì. Ci vuole fortuna anche nella povertà, perché i “bisogni primari materiali”, non sono uguali per tutti. Per questo il volontariato ha diversificato la sua azione. Dove serve pane, i volontari portano pane, dove servono “servizi”, i volontari portano servizi. E a Cosenza sono proprio i servizi sociali che mancano. Ed è solo grazie al lavoro delle associazioni di volontariato che tanti servizi primari vengono erogati gratuitamente a chi non può permetterseli. Un prezioso lavoro di cui spesso si appropria, con la compiacenza di qualche volontario mascherato, la politica che avrebbe il dovere di fare, in occidente, quello che fanno i volontari per i poveri cosentini. I volontari, con il loro generoso impegno, tappano i buchi sociali che la politica lascia, perché impegnata ad arricchirsi, volutamente aperti. Bisognerebbe dire all’assessore ai servizi sociali Buffone, madrina di questa bella manifestazione che, oltre ad impegnarsi a promuovere l’egregio lavoro che fanno gli altri, potrebbe impegnarsi ad incominciare il suo che da quando è in carica tutto fa, tranne che risolvere i problemi dei poveri cosentini.