Cosenza. Capomolla e il porto delle nebbie

A un anno dalla nomina a procuratore capo di Cosenza, come è consuetudine per tutti gli incarichi di rilievo, proviamo a tirare le somme del lavoro svolto dal dottor Vincenzo Capomolla alla guida di una Procura che per decenni è stata il simbolo di un preciso modo di intendere la giustizia. In realtà, più che di un anno, si tratta di otto mesi effettivi di operatività. Un arco di tempo che, da solo, non può bastare per una valutazione compiuta sul piano dei risultati e dell’efficacia complessiva. Ma è comunque sufficiente per cogliere un primo elemento fondamentale: la direzione intrapresa.

Cosenza convive da decenni con una Procura che tutti conosciamo come il porto delle nebbie. È questo l’ufficio che Vincenzo Capomolla eredita. Una Procura chiacchierata, e allineata alle esigenze della cricca massomafiosa che governa la città. In principio fu Nicastro, poi Serafini, quindi Granieri, fino al Gattopardo. Una lunga scia di successioni, senza alcuna reale discontinuità, che ha consolidato prassi, consuetudini e logiche operative orientate più alla gestione di equilibri esterni — politici, economici e relazionali, spesso opachi — che all’affermazione del diritto. Un metodo che ha inciso profondamente non solo sull’organizzazione interna, ma soprattutto sull’etica e sulla cultura reale dell’ufficio, intesa non nel senso dei valori istituzionali e costituzionali che dovrebbero ispirarla, ma come insieme di abitudini, rapporti di forza e convenienze consolidate. È dentro questa deformazione della funzione che, nel tempo, la giustizia, a Cosenza, è stata piegata al malaffare, normalizzando prassi illecite, silenzi e inerzie che nulla hanno a che fare con la Giustizia. Un’eredità pesante, sedimentata, che non si cancella con una firma né con un semplice cambio di nome sulla porta. Questa è la storia con cui Capomolla è chiamato a fare i conti, ed è su questo terreno che va valutata la sua azione.

Una valutazione che può essere fatta anche a fronte di un periodo di insediamento relativamente breve, perché a Capomolla non serve certo tempo per adattarsi o per capire come funzionano le cose qui. Non arriva da una Procura del Nord: ha sempre lavorato a Catanzaro e, da quando è entrato nella Dda, si è occupato in modo diretto e continuativo di Cosenza. Capomolla conosce bene la città. Ne conosce il lato oscuro. Ha lavorato sull’inchiesta “Sistema Cosenza”. Conosce il voto di scambio politico-mafioso che ha attraversato la città coinvolgendo destra e sinistra: quell’indagine l’ha condotta lui, e non è mai arrivata davanti al Gip. Sa delle cricche massomafiose che operano sul territorio, spesso dall’interno della cosa pubblica. Ha piena contezza della presenza mafiosa a Palazzo dei Bruzi: da facente funzioni della Dda di Catanzaro è stato lui a ricevere i rapporti della polizia giudiziaria contenenti le dichiarazioni del presidente del Consiglio comunale Mazzuca, che ammette di aver incontrato un boss della ’ndrangheta accompagnato da un usciere comunale. Ha incrociato sul campo la connivenza tra politica e massoneria, sa quali imprenditori riciclano e ha seguito da vicino gli intrallazzi nella sanità, individuandone dinamiche e protagonisti.

Insomma, Capomolla — almeno sulla carta, per la città e per la Procura — è il procuratore migliore che Cosenza potesse realisticamente sperare di avere. È colui che meglio di chiunque altro conosce il malaffare cittadino. Da oltre dieci anni lavora sul dossier Cosenza, ne conosce nomi, meccanismi e snodi. Una conoscenza che non consente alibi né attenuanti preventive. Tutto questo, almeno in teoria, farebbe pensare a una possibile discontinuità con il passato.

Ma c’è un elemento che merita di essere tenuto in considerazione. Le inchieste che hanno riguardato Cosenza, nel corso degli anni, non hanno mai prodotto approdi giudiziari nei segmenti più sensibili: politica, corruzione, voto di scambio, rapporti tra affari e potere. Quelle traiettorie si sono sistematicamente interrotte prima, lasciando intatte le aree in cui si muovono i nomi che contano. Alla luce di questa costante, non è irragionevole chiedersi se l’ascesa di Capomolla alla guida della Procura di Cosenza sia anche il frutto di una continuità ritenuta affidabile, più che l’inizio di una rottura. Una continuità fatta di equilibri preservati e di confini non oltrepassati. È proprio questa lettura, oggi pienamente plausibile, a rendere l’ipotesi della discontinuità possibile solo in un modo: come smentita di ciò per cui questa nomina appare, allo stato dei fatti, perfettamente coerente. Tocca a lui farci capire da che parte sta.