Il trittico dei vescovi: dal silenzio alla speranza
Dietro il crollo morale dell’Istituto Papa Giovanni XXIII e il linciaggio ecclesiastico di Padre Fedele, c’è anche la storia dei vescovi che si sono succeduti a Cosenza. Un trittico che, per chi ha vissuto quegli anni dall’interno, racconta più di mille atti ufficiali: Agostino, Nunnari, Nolè… e infine Checchinato, che oggi qualcuno vede come possibile segnale di svolta.
Agostino: il “satanista” del potere
È con lui che inizia il buio. Accusato di coprire corruzione, scandali e abusi, viene descritto come il simbolo di una Chiesa cosentina corrotta e omertosa. Al termine del suo mandato lascia dietro di sé ferite profonde e un’eredità avvelenata.
Nunnari: il vescovo che si addormentava
L’incontro con Salvatore Nunnari avviene subito dopo il pensionamento di Agostino. Ci si aspetterebbe un vescovo deciso, pronto a ripulire. Invece, il ricordo è quello di un uomo capace solo di dire “preghiamo”… appena sveglio da un pisolino.
In quell’occasione ammise candidamente di essersi trovato in una situazione ingestibile: 100 milioni di euro spariti dall’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello e lui costretto a “pagare il conto” senza capire davvero cosa fosse successo.
Quando si toccò il tema più delicato – quello di aver fatto abortire una ragazza – la risposta fu glaciale: “Se ho sbagliato in qualcosa, ne renderò conto a Dio”…
Sul “Monaco” (Padre Fedele) si limitò a un secco “Eh…”. Nessuna presa di posizione, nessun atto concreto.
Nolè e la continuità del silenzio
Il successore, monsignor Nolè, non ruppe il muro. Continuò a coprire ogni cosa: corruzione, pedofilia, e quella che viene definita la “band gay” del clero cosentino – sacerdoti con doppia vita e “vizietti” noti a tutti. L’unico, in passato, ad aver tentato di affrontare certe deviazioni era stato monsignor Trabalzini, “un vero padre”, ma isolato e lasciato solo.
Una Curia che preferisce il silenzio
Spesso si preferisce tacere invece di combattere, tacere invece di parlare. Perché se osi ribellarti al sistema, vieni messo fuori. Conviene vivere una vita tranquilla, piuttosto che dare fastidio a quella cerchia omertosa e massonica che gravita attorno alla Curia cosentina.
E mentre qualcuno gioca a disegnare il proprio stemma episcopale, sperando di essere nominato vescovo, la vera domanda resta: perché non c’è la volontà di azzerare la Curia?
Perché non mettere ai posti chiave sacerdoti umili, invece di arrivisti e papponi? La risposta è semplice: la lobby non si tocca. La casta è protetta.
Checchinato: il vescovo che può cambiare le cose
Da un anno la diocesi è nelle mani di monsignor Checchinato, descritto come “vescovo buono” e forse ultima occasione per restituire dignità a una Chiesa piegata dall’omertà. Ma il tempo stringe.
Quando venne informato che Padre Fedele era ormai in agonia, fece chiedere – tramite uno dei suoi scribi – di poter concedere al Monaco di celebrare messa in pubblico, quasi in cerca di un “miracolo mediatico”.
Un gesto tardivo, giudicato ridicolo da chi conosceva la persecuzione subita da Padre Fedele: “Gli avete impedito di celebrare messa in pubblico per disobbedienza… Ma voi, clerici cosentini, avete mai obbedito a Cristo? No, non lo avete mai fatto”…
Funerale? No, passerella
Al funerale del Monaco c’è stata solo una “passerella di stole”: uomini in tonaca che non hanno mai conosciuto davvero il volto di Cristo, impiegati del sacro che hanno schernito e crocifisso Padre Fedele.
Oggi sfilate, oggi sorridete. Il Monaco vi ha perdonati e assolti tutti… ma, chissà, forse vi aspetta in Paradiso per poi, prima di farvi entrare, darvi un calcio nelle palle.









