Cosenza. Da Zanfini a Catalano: i nuovi “assetti” della questura

Dopo oltre 10 anni di ingiustificate vessazioni, persecuzioni, abusi, carcere, sorveglianza speciale, il 21 giugno del 2012 arriva la sentenza definitiva della Cassazione sul famigerato processo No-Global: i reati contestati dalla procura cosentina ai tredici attivisti appartenenti alla rete del “Sud Ribelle”, accusati di associazione sovversiva per fatti occorsi durante le contestazioni del Global Forum di Napoli nel marzo 2001 e del G8 di Genova nel luglio successivo, non sussistono. Tutti definitivamente assolti. Una sentenza che decretò il fallimento su tutta la linea del duo Cantafora/Fiordalisi, l’anello terminale di una infame catena di potere politico/massonico che aveva cercato di spostare le grandi responsabilità dell’allora governo Berlusconi, per i gravi fatti avvenuti a Genova, sui manifestanti. Non solo: le motivazioni dell’assoluzione, espresse nelle varie fasi processuali da tutti i tribunali, oltre a mettere in evidenza la pretestuosità di tutta l’inchiesta (condotta da Fiordalisi per conto degli amici degli amici e con la manovalanza di Cantafora), hanno “decretato”, senza ombra di dubbio, la costruzione fittizia e farlocca di tutta l’investigazione, dove nulla di tutto quello che Cantafora ha scritto, sotto dettatura di Fiordalisi, è risultato essere vero. Hanno lavorato per anni, spendendo un mare di soldi, non per la Giustizia, come dicono i giudici, ma per compiacere il potere politico (vedi sentenze sul G8 di Genova, Diaz) e nascondere le responsabilità dell’intera catena di comando della polizia che operava in quei giorni a Genova.

Cantafora e Fiordalisi per i giudici sono dei bugiardi che hanno testimoniato e costruito il falso. Il che è certificato. Al loro fallimento segue il trasferimento, la Sardegna per il pm Fiordalisi e Catanzaro per Cantafora. E a dirigere la digos di Cosenza arriva Pietro Gerace, classe 1952, cosentino di nascita, ha ricoperto nella sua carriera diversi incarichi, come vicedirigente dell’Upg Sp (Servizio di controllo sul territorio) a Reggio Calabria, commissario a Bovalino e a Paola e vice capo di gabinetto presso la questura di Cosenza. Che sin da subito si dimostra un vero e proprio continuatore della “linea” Cantafora. È Gerace l’esecutore materiale delle inchieste sulla bomba alla questura, minacce al sindaco, bombe al Comune, e robetta simile. Come Cantafora anche Gerace si presta alla costruzione di prove false nei confronti di chi sputtana il potere massomafioso cittadino. E questo solo per far carriera. Infatti dopo aver svolto il suo ruolo di fido servitore, anche lui, come Cantafora, viene promosso e trasferito a Crotone.

A raccogliere il testimone, il vicequestore della polizia di stato Raffaele De Marco. Raffaele arriva dalla divisione anticrimine della questura bruzia. Originario di Campana, ma residente a Corigliano-Rossano, ha svolto il ruolo di commissario nella città bizantina dal 2012 al 2017. Una carriera ancora agli albori “senza lode e senza infamia”. E come tutti i dirigenti pubblici anche lui aspira a ricoprire importanti ruoli. A volerlo come dirigente della digos il questore Petrocca. Il perché il questore abbia scelto proprio lui, lo si può intuire: Raffaele ha fatto la sua gavetta all’anticrimine, ed ha maturato tutti i “requisiti” per dirigere una sezione. E poi Raffaele lavora a stretto contatto con il nuovo dirigente della squadra mobile bruzia, il dottor Catalano, subentrato al dottor Zanfini, oggi dirigente presso il commissariato di Paola. Potrebbe essere stato anche il dottor Catalano a suggerire alla dottoressa Petrocca, da poco insediata alla guida della questura di Cosenza dopo la toccata e fuga del dottor Conticchio, il nome di Raffaele, destinato a diventare l’uomo di fiducia del nuovo questore.

L’uscita di scena del dottor Zanfini, che tanto aveva lavorato sul sistema Cosenza con l’allora pm antimafia Pierpaolo Bruni, oggi procuratore capo a Paola, apre un nuovo scenario nella questura di Cosenza. L’arrivo del dottor Catalano, acuto e incorruttibile investigatore sempre ligio al proprio dovere, non è ben visto da tutti. Quello che viene “spacciato” come un normale “avvicendamento” tra dirigenti, è in realtà vissuto come uno smacco da una parte della “squadra mobile”. La sostituzione del dottor Zanfini nel bel mezzo di una importante inchiesta, è parsa ad alcuni come una sonora bocciatura (da parte dell’autorità giudiziaria) del lavoro svolto, e il trasferimento la giusta punizione. Il mugugno serpeggia, e le varie “anime” presenti da sempre in questura si schierano, e Raffaele sceglie di stare dalla parte della dottoressa Petrocca, ma quella che sembra una adesione ad un “ideale” in realtà nasconde altro…

3 – (continua)