Cosenza dagli anni ’70 al ritorno di Mancini

Pino Iacino

Nel 1971 la popolazione di Cosenza superò i 100.000 abitanti, il 50% dei quali proveniente dall’entroterra. Anche a Cosenza nasce una giunta comunale Dc-Psi., che opera una serie di scelte contraddittorie sul piano dell’edilizia urbana, di cui ancora oggi si subiscono gli effetti negativi. Vengono creati grandi quartieri popolari completamente staccati dal centro urbano, emarginando dalla vita civile decine di migliaia di famiglie appartenenti ai ceti meno abbienti. La nuova identità urbana, con una divisione per quartiere decisamente classista, si produce anche nella città vecchia, in cui alla fuga dei ceti borghesi verso la città nuova, corrisponde l’insediamento nei vecchi edifici di famiglie di immigrati.

Viene quindi soddisfatta l’esigenza di costruzioni a basso prezzo, ma creata una situazione di degrado urbano ed emarginazione sociale

Nel 1975 si forma una giunta completamente di sinistra con a capo il socialista Pino Iacino. L’ascesa delle sinistre si verifica nel momento in cui si dà l’ultimo colpo allo sviluppo industriale della zona. Il segnale che questo governo lascia è la quintuplicazione degli spazi verdi rispetto a quelli creati nei vent’anni di governo Dc e il rianimarsi dell’attività culturale, in quel periodo infatti il Rendano è dichiarato teatro di tradizione.

Nel 1981 Cosenza contava 106.000 abitanti, ma da quella data comincia lo spopolamento (oggi ne conta poco più di 70.000) e lo spostamento verso le zone residenziali di Rende, Castrolibero, Montalto, Mendicino e Vadue, mentre la città vecchia viene completamente abbandonata a se stessa.

Ma di lì a poco si ricomincia con una forte instabilità politica, prima una giunta di centrosinistra che produce 4 crisi amministrative in 5 anni, poi nel 1985, grazie all’accordo tra Francesco Principe e Mancini (il primo Presidente della Giunta regionale e il secondo sindaco di Cosenza) si tenta una rinascita, impedita però da quelle che possono essere chiamate incongruenze politiche che fecero dimettere Mancini e passare nuovamente la mano alla Dc. Successivamente ritornano i socialisti in giunta, con il figlio di Mancini, Pietro. Che però resta in carica poco tempo perchè la disgregazione di alcuni gruppi consiliari riporta il Comune alla Dc e all’avvocato Carratelli.

Sul piano municipale persisterà la presenza tra le elites di gruppi familiari detentori di consistenti quote di potere non solo strettamente politico. Si pensi al protagonismo secolare dei de Matera (ereditato dai Mancini) o degli Stancati o dei Carratelli, ma anche a quello degli Antoniozzi, dei Perugini, dei Pisani, dei Nucci e dei Gentile.

“… Antonio Costabile, autore di una pregevole ricostruzione della storia delle élites cosentine, scrive che le risorse fondamentali di queste ultime consistevano nel controllo delle professioni libere, nella proprietà dei suoli urbani, nella ricchezza e, più in generale, nella loro grande capacità di mediare fra vecchio e nuovo.

Così, ad esempio, si scopre che Giuseppe Magliari e Mario Stancati, che fecero parte per lungo tempo della commissione edilizia durante la grande espansione edilizia, appartenevano a due famiglie proprietarie dei terreni intorno alla cinta urbana. Magliari, democristiano, è imparentato con la famiglia Mancini, avendo sposato la sorella di Giacomo, figlia del capostipite Pietro, già deputato socialista negli anni Venti. E Stancati diventa cognato dell’ex ministro Dario Antoniozzi. E così via, all’infinito.

Questa è Cosenza, nel bene e nel male. Non stupisce il fatto che nel 1993 i cosentini abbiano votato in modo massiccio il vecchio Giacomo Mancini (nonostante non rispondesse più a logiche di partito), pilastro caparbio, malinconico e paternalistico della città”.

(Guglielmo Nardocci, Famiglia Cristiana)

Tutti pensavano che con il ritorno di Giacomo Mancini sarebbe finita una dinastia iniziata negli anni ’20, imparentata con le altre stirpi potenti della città attraverso una ragnatela di matrimoni e parentele inestricabili. E che Mancini sarebbe stato l’ultimo alfiere di un’élite cittadina un poco cattolica e molto massonica.

Niente di più sbagliato: questa oligarchia ha continuato a non gradire nuovi attori e il sistema ha assorbito bene anche la scomparsa di Mancini, fagocitando agevolmente i sindaci che si sono alternati dopo di lui…