Cosenza. De Marco, il doppio gioco per fare carriera in questura

Raffaele De Marco, capo della digos

Che il vicequestore De Marco abbia da tempo scatenato una vera e propria “caccia al manifestante”, è cosa chiara ed evidente a tutti, questore compreso. Si potrebbe dire: è il suo lavoro indagare sui manifestanti e sanzionarli quando violano la Legge. Ed è vero, ma è anche vero, ed è sotto gli occhi di tutti, la “disparità di trattamento” tra i cosiddetti “antagonisti” e tutto il resto del mondo politico/massonico/delinquenziale che opera da decenni indisturbato in città. Com’è altrettanto evidente la pretestuosità delle “diffide” elargite con generosità dal vicequestore De Marco che evidenziano, senza lasciare spazio ad altre interpretazioni, un accanimento ingiustificato nei confronti dei manifestanti. E per meglio capirci facciamo un esempio: il vicequestore De Marco ha recentemente multato una decina di manifestanti che avevano partecipato alla manifestazione del “No Draghy day” giorno 4 dicembre, regolarmente autorizzata dopo formale e ufficiale richiesta da parte dei promotori alle autorità competenti, con la “scusa” di aver creato un “assembramento”, violando le norme anti contagio. Una “giusta attenzione”, da parte di ufficiali di polizia, al rispetto delle norme anti-covid che però il De Marco non ha avvalorato in nessuna altra occasione. Una su tutte: gli assembramenti nel periodo natalizio in tutte le piazze cittadine, oggetto anche di una interpellanza consiliare da parte della consigliera Rende che chiedeva proprio alla polizia il perché della totale assenza di controlli in città, in merito ai vistosi assembramenti di quei giorni, con specifico riferimento a quelli avvenuti a piazza Santa Teresa a 50 metri dalla questura. Come spiegare lo zelo operativo di De Marco quando si tratta di manifestanti, e la sua totale poltroneria quando si tratta di applicare le stesse “misure” ad altri? Più evidente di così si muore.

Ma perché De Marco ce l’ha così tanto con gli antagonisti, ma soprattutto perché il suo accanimento è esploso negli ultimi tempi? Non che prima non ci fosse, ma ora ha assunto gli aspetti di una persecuzione mirata, camuffata da “rispetto della legge”. Un film, questo, già visto a Cosenza, e lo abbiamo raccontato con tanto di fatti. Questo non si può più nascondere. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, ed è questo il caso. De Marco agisce più per “vendetta” che per senso del dovere, come lui vorrebbe far credere. De Marco viene dall’anticrimine e conosce bene il panorama criminale cittadino e ci piacerebbe, per esempio, chiedergli se ha mai “riferito”, visto il suo zelo, ai suoi colleghi della mobile, gli stessi che hanno stilato i verbali per la richiesta di sorveglianza speciale ai due giovani manifestanti Jessica e Simone, di aver notato in qualche luogo della città più pluripregiudicati “assembrati” in atteggiamento sospetto. Una situazione che è facile notare per chi gira la città come De Marco e bene conosce i volti dei personaggi della mala locale. Possibile che De Marco non ha mai visto una scena di questo tipo in città? Pare di sì, perché di richieste di sorveglianza per pluripregiudicati che si assembrano e che continuano a praticare usura e spaccio, non ce ne sono. Questo genere di “assembramenti” non esistono né per la mobile, né per De Marco che ha uno sguardo così attento ad annotare ogni infrazione commessa dagli antagonisti. Ma per tutto il resto diventa orbo. Francamente la cosa suona strana e tuttavia non vogliamo neanche questa volta escludere la possibilità di spiegare l’atteggiamento sui generis di De Marco con la solita formula: la ‘ndrangheta e la massomafia a Cosenza non esistono, ed è per questo che De Marco non vede niente, perché non c’è niente da vedere, tranne i pericolosi reati commessi dai sovversivi. Se a voi tutto questo sembra normale, a noi no! C’è dell’evidente esagerazione tra le azioni “poste in essere” dai sovversivi e le misure applicate dal dirigente De Marco.

A voler trovare una logica nell’operato di De Marco, che non brilla certo per acume, ma resta persona estranea ad intrallazzi, possiamo racchiudere tutto nel suo spropositato senso dell’opportunismo, legato alla smania di far carriera. E come tutti quelli che non hanno talento, iniziativa, e capacità (professionalmente parlando), anche De Marco, pur di far carriera, è stato costretto a legarsi a qualcuno di potente che lo spinga verso la sua scalata sociale. Che per De Marco significa compiacere il suo superiore del momento. Una sorta di Fantozzi serio, che si prostra a tutti i potenti pur di essere tenuto in considerazione. E come Fantozzi, De Marco si è sempre dimostrato pronto a cambiare casacca, ogni volta che è cambiato il vento in questura. E il vento, in questura, con l’arrivo del dottor Catalano sembrava davvero cambiato. Il che aveva prodotto due palesi schieramenti: il vecchio gruppo dirigenti legati a Cantafora/Zanfini e il “nuovo” gruppo legato al trio Petrocca/Catalano/Albano. E De Marco, capito che i perdenti erano i “cantaforiani”, non esitò a schierarsi con Catalano.

Infatti la sua attenzione nei riguardi dei sovversivi, durante il periodo “catalaniano” è quasi nulla. Ingoia rospi e non reagisce. Ma oggi sappiamo che conservava tutto nella scatola della vendetta. E prova ne è il fatto che non appena gli equilibri di potere, tutti interni alla questura, tornano a mutare con il trasferimento del dottor Catalano e del dottor Albano, entrambi giustamente e meritatamente promossi, il vicequestore De Marco capisce di trovarsi al posto giusto al momento giusto, e che la sua “nuova” posizione di “uomo di fiducia del questore”, conquistata con l’aiuto sincero del dottor Catalano, può essere sfruttata per ottenere una qualche promessa di promozione.

La Petrocca è rimasta sola, e Raffaele è il dirigente a lei più vicino, si fida di lui. Ma non conta più niente in termini di “raccomandazione”, e poi è invisa al vecchio gruppo di potere, perché la Petrocca, che sarà anche un po’ svampita, è una poliziotta tutta di un pezzo e le sue disposizioni in materia di “riservatezza interna” hanno non poco infastidito più di qualcuno che con le “informazioni riservate” faceva mercimonio. Il fatto che da alcuni uffici non trapeli più niente, è solo grazie al lavoro svolto dal questore Petrocca. E così, sempre mosso solo ed esclusivamente dalla smania di far carriera, De Marco, ha colto i momenti giusti per far passare i provvedimenti contro i manifestanti, fino a qualche mese prima sepolti nel suo cassetto, così da accreditarsi da entrambe le parti in attesa di ulteriori sviluppi sulla gestione e il controllo del potere interno alla questura. Da un lato, perseguitando i manifestanti si pone come il continuatore della linea Cantafora, fino a quel momento “accantonata”, e dall’altro si pone nei riguardi di tutti i dirigenti, come l’unico consigliere interno del questore, e per questo di lui si può sempre avere bisogno.

Come dire: una sorta di doppiogiochista con un unico scopo, sistemare se stesso, nella maniera più classica di questo mondo: leccando il superiore. Altro non fa, e si muove solo in questa direzione. Non è uno che si vende alla politica o altro, De Marco spera che siano i suoi superiori a farlo per lui. Ed in questo momento di estrema confusione nella questura dove chi è che veramente comanda non è chiaro a nessuno,  restare con due piedi in una scarpa è la migliore opzione. Sta tutto qui il senso dell’azione repressiva messa in campo da De Marco che con la Giustizia e il senso del dovere ha poco a che fare, tutto si risolve nella solita lotta interna per guidare una istituzione che a Cosenza, città con un alto tasso di massomafiosità disposta a comprare tutto, specie informazioni, può essere spendibile sul mercato. Come avviene per tutte le altre istituzioni cittadine.

Ma ci sa che questa volta più di qualcuno ha fatto i conti senza l’oste.

Fine