Cosenza e Rende, il blitz di Gratteri. Le accuse a Remo Florio: “Imprenditore colluso col gruppo D’Ambrosio”

Tra i reati-fine della confederazione mafiosa cosentina spiccano diverse estorsioni, consumate e tentate. Va premesso, infatti, che generalmente le associazioni mafiose, di qualsivoglia denominazione o argine geografica (‘ndrangheta, camorra e così via), pongono m essere numerose estorsioni sovente organizzate alla stregua di una vera e propria attività  lavorativa.  Trattasi,  in effetti, di una totale distorsione di ciò che si ritiene lecito, normale, o  addirittura  dovuto,  dai membri di associazioni criminali di stampo mafioso i quali, forti del vincolo che li lega al gruppo di appartenenza e della capacità intimidatoria che da esso promana nel territorio di riferimento, avanzano (privi di qualsiasi lecito titolo) richieste di denaro alle vittime  (soprattutto imprenditori) che, pur di poter continuare a svolgere la loro attività di impresa (solitamente  coincidente  con la loro unica fonte di reddito) si piegano alle richieste pagando il “pizzo”, senza accorgersi di entrare irrimediabilmente in un circolo vizioso costellato di continue ed insistenti richieste.

La particolare diffusione di questo fenomeno ha portato in certi casi alla conversione dell’imprenditore vittima in imprenditore colluso, conversione questa che avviene tendenzialmente allorquando l’imprenditore inizia a scorgere dei vantaggi derivanti dal pagamento del pizzo (come ad esempio l’aiuto degli ‘ndranghetisti per vincere gare di appalto pubbliche, o per annullare la concorrenza con altri imprenditori che restano vittime di queste dinamiche, o ancora per difendersi da richieste estorsive provenienti da altri gruppi).

Viene contestato all’imprenditore Remo Florio, titolare della società Dee Jay Service, il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa e, in particolare, con il gruppo D’Ambrosio. Florio rientra in pieno nella casistica di quegli imprenditori che, inizialmente vittime di estorsioni, diventano poi imprenditori collusi.

L’imprenditore colluso, dunque, è colui che trova nel contatto con la mafia non una sciagura, bensì una ghiotta occasione per accrescere i propri introiti senza rispettare le regole della civiltà e della leale concorrenza. Ed allora, proprio grazie ai collegamenti con i mafiosi, emergono nel panorama imprenditoriale, imprenditori, sovente non brillanti, che riescono a primeggiare sugli altri onesti lavoratori.

Remo Florio, in particolare, è legato al gruppo D’Ambrosio e tale legame risulta saldo e duraturo nel tempo, per come emerge da precedenti pronunce giudiziarie per fatti risalenti al 2010 quando Adolfo D’Ambrosio aveva “sistemato” una questione da 50.000 euro relativa a una manifestazione dal titolo “Motor Show” per la quale il Florio non era stato pagato.

Gli elementi indiziari posti dal pm a fondamento dell’ipotesi accusatoria sono costituiti principalmente dalle intercettazioni telefoniche relative a dialoghi coinvolgenti, oltre al Florio, anche Adolfo D’Ambrosio, Ivan Montualdista, e Michele De Rose. Le conversazioni intercettate sono chiare e dal significato univoco, al punto da poter individuare agevolmente non solo le relazioni che legano queste persone l’una all’altra ma addirittura il ruolo da ciascuno rivestito nella gestione degli affari. Il D’Ambrosio è il boss dell’omonimo gruppo, il Montualdista è l’intermediario tra il boss e l’imprenditore, il De Rose – imprenditore – è il punto di riferimento del gruppo anche all’interno della Regione, occupandosi principalmente di questioni relative ai pagamenti. Emerge, dunque, con lampante evidenza il coinvolgimento in prima persona del Montualdista negli affari della società, al punto da confondersi con il titolare della società del Florio.

Dalle intercettazioni emerge che:

il Montualdista aggiornava il De Rose sull’aggiudicazione di una gara d’appalto ad Acri, parlando in prima persona e manifestando la percezione della società del Florio come se fosse sua;

il De Rose aggiornava il Montualdista sulla posizione della società del Florio in altre procedure di aggiudicazione; il Montualista pretendeva che il Florio gli corrispondesse denaro, alla stregua di partecipazione agli utili dell’attività aziendale senza però avere alcun tipo di ruolo ufficiale all’interno della società, né alcun titolo che legittimasse tale partecipazione. A tali richieste il Florio si presentava succube e completamente asservito al Montualdista, al punto da tentare giustificazioni che non venivano accettate dall’interlocutore;

il Montualdista non perdeva occasione per ricordare al Florio che gli era subalterno e che non tollerava comportamenti da lui non giudicati appropriati. Nel rimarcare la sua posizione, il Montualdista evocava la sua caratura criminale, per cui gli altri si possono prendere in giro ma lui no;

quando vi erano problemi relativi al pagamento anche da parte della Regione, entrava in gioco il De Rose. Questi interveniva e veniva interpellato anche per conoscere l’esito di procedure di aggiudicazione di lavori;

il Montualdista e il Florio erano consapevoli della illiceità delle loro condotte e l’imprenditore stesso era consapevole della caratura criminale dei soggetti;

il Florio era l’imprenditore di riferimento del gruppo D’Ambrosio, al punto che riceveva esplicite rassicurazioni in merito dal Montualdista: “… Mi hanno contattato per questo fatto degli appalti… per le scuole e le cose… che vogliono trovare un’altra azienda: tu lo sai che hai l’esclusiva sì? Gli ho detto che il mio rapporto è con Remo Florio e basta… quindi lasciatemi stare… ciao”;

nel perfetto rispetto delle gerarchie interne del gruppo D’Ambrosio, il Montualdista svolgeva anche le funzioni di intermediario tra l’imprenditore e il boss Adolfo D’Ambrosio, tant’è che si preoccupava, ad esempio, di convocare il Florio al cospetto del capo quando questi ne faceva richiesta: “… vedi che ti vuole parlare Adolfo… Adolfo è fuori che sono 60 giorni… è sempre con me in giro dentro Rende… ti deve parlare di alcuni progetti… gli stanno dando praticamente il palazzetto dello sport… vabbè te lo dice lui…”;

la forza del gruppo D’Ambrosio veniva percepita anche dal sindaco di Rende Marcello Manna, tanto che il Montualdista non lo considerava affatto un problema per le aggiudicazioni dei lavori, ribadendo che il Florio per loro aveva la precedenza su tutti gli altri: “Ohi Remo e dai… che c’è Manna che quando vede a noi ha paura perciò ti dico… siccome ci sono molte cose da fare in cantiere ha detto: vuole parlare con te giusto per metterlo in cantiere perché è giusto che ci venga messo tu in queste cose anche per i precedenti passati… noi ti teniamo in considerazione sopra tutto…”;

il Montualdista non solo pretendeva che gli venisse corrisposto del denaro provento dell’attività di impresa, ma curava egli stesso la spartizione degli utili nonché il pagamento della fatture emesse dalla società;

il D’Ambrosio disponeva che il Montualdista coinvolgesse il Florio in diversi affari, proprio in ragione dell’immedesimazione della società dell’imprenditore e del gruppo mafioso.

Alla luce di questi elementi, il gip ritiene che ci sono gravi indizi di colpevolezza di concorso esterno in associazione mafiosa per Remo Florio, asservito al gruppo da anni, pur non facendo parte organicamente dell’associazione mafiosa, Questo asservimento va inteso nel senso di reciproci vantaggi: se da un lato il Florio si vedeva costretto ad accettare le disposizioni del gruppo per lo svolgimento dei lavori e la spartizione degli utili, dall’altro ne traeva numerosi vantaggi in termini di rassicurazioni ed effettive aggiudicazioni di diversi lavori nonché sul recupero dei crediti. Il Florio è un imprenditore a disposizione del gruppo D’Ambrosio pur non essendone parte.

Fin qui le accuse che vengono contestate a Reno Florio dalla Dda di Catanzaro e che hanno portato al suo clamoroso arresto nel blitz di giovedì. Ma la storia di Remo Florio è molto ma molto più vasta, articolata e “complicata” e porta dritti nelle stanze del bottoni del Comune di Cosenza, dove il Florio ha fatto incetta di affidamenti diretti in tutti i dieci anni della sindacatura Occhiuto, rastrellando centinaia di migliaia di euro. Ma di queste vicende ci occuperemo a breve in maniera specifica. Stiamo facendo i conti e vi assicuriamo che non è facile…

1 – (continua)