Elisa ne ha fatto sacrifici per tirare su quei quattro figli, tra le palazzine di Torre Alta. Sola, senza un compagno, come tantissime altre nei quartieri popolari di Cosenza e delle sterminate periferie italiane. Adesso è adagiata su un lettino d’ospedale. Il cranio fracassato, la gola tagliata, lei non ha più nulla da sperare. Chi le vuole bene, si augura che sopravviva e che non resti allo stato vegetativo.
Ha chiesto aiuto diverse volte, Elisa. Ha capito che il figlio Valentino stava male, malissimo, e che prima o poi avrebbe riversato questa sua sofferenza su di lei o su chiunque altro. Aveva preso appuntamento con un’associazione che difende le donne vittime di violenze, ma non ha fatto in tempo a recarsi all’incontro. Ha persino provato a sporgere denuncia, ma la risposta delle istituzioni è stata pressoché nulla. Per un paio di semplici motivi. Anzitutto perché non esistono istituzioni deputate al trattamento del disagio psichico che dilaga nelle nostre case. Quel poco che c’è, tra Comune e sanità pubblica, interviene a colpi di psicofarmaci e trattamenti sanitari obbligatori. Però non esiste alcuna forma di umano accompagnamento per chi ha perso il senno. E pensare che è questo il vero problema del nostro tempo. Spesso chiamiamo “terrorismo”, “emergenza sicurezza” ciò che in realtà non viene da lontano, non ha niente di ideologico o criminale, ma si annida dentro di noi, accanto alle nostre vite e fingiamo di non vedere. Ci sono migliaia di giovani e adulti che per motivazioni diverse stanno perdendo, o hanno già perso, il proprio equilibrio psichico, nonché qualsiasi rapporto con la realtà. Le nuove droghe, la solitudine, la perdita di riferimenti sociali e familiari sono tra le principali cause del fenomeno. In alcuni casi, questi soggetti, inseguiti da fantasmi che soltanto loro riescono a vedere, decidono di indossare i panni dei giustizieri e attaccare tutto ciò che li circonda, a volte lanciandosi con un camion contro la folla, in altre circostanze invece si autodistruggono oppure s’avventano contro le persone a loro più prossime, soprattutto donne: mamme, compagne, mogli, vicine di casa.
C’è poi un’altra motivazione alla base dell’inanità istituzionale dinanzi a tali situazioni: in una vasta fascia di circostanze, gli organismi preposti alla sicurezza pubblica non intervengono più. Si sprecano risorse ed energie in decreti per la sicurezza e il “decoro urbano”, sintomi della nuova vera ideologia neonazista del nostro tempo; si sguinzagliano vigili e finanzieri per reprimere la contraffazione delle merci, gli ambulanti, i fumatori di canapa o la gente che dormicchia sulle panchine, ma di fronte a denunce di violenze domestiche, furti in appartamento e litigi condominiali, i questori, i responsabili dei servizi sociali, i comandanti delle innumerevoli polizie italiane fanno spallucce: “abbiamo carenze d’organico”, “non sappiamo dove mettere mano”.
Tragedie come quella di Elisa dovrebbero indurre a riflettere chi ha ancora accesso alla gestione delle risorse pubbliche. Quali sono le vere priorità nelle nostre città? Abbiamo davvero bisogno di un investimento per “decorare” gli spazi comuni oppure forse sarebbe il caso di accompagnare con dignità le migliaia di persone che per effetto della distopia in cui viviamo, oscillano al di qua e al di là della barricata eretta tra la propria mente, le mura domestiche e il mondo intero?
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