Cosenza. Esposto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati contro Maria Karen Garrini, il legale (dei pentiti) col marito poliziotto

Nei giorni scorsi si è registrato un clamoroso colpo di scena in Corte d’Assise a Cosenza al processo contro Catiuscia D’Apolito e Maria Grazia Foggetti, madre e sorella del pentito Ernesto Foggetti, accusate di minacce in concorso con più persone nei confronti di Miriam Bartolomeo, convivente di Vincenzo Foggetti, rispettivamente ex marito e padre delle due imputate (Colpo di scena al processo).

La procura di Cosenza aveva incaricato di seguire il caso anche la squadra mobile di Cosenza e la questura ha indicato l‘ispettore Rocco Francesco Silvestri, il quale tuttavia nella sua relazione – contenuta in una serie di verbali – ha clamorosamente omesso l’intera trascrizione di una telefonata di Edyta Kopaczinska, legata da vincoli parentali alla famiglia Foggetti, e di una registrazione di un altro testimone-chiave del processo. Sulla base di questa relazione, inviata alla Dda di Catanzaro, la Distrettuale aveva deciso di archiviare il procedimento, che poi è ritornato a Cosenza per competenza territoriale.

Miriam Bartolomeo, a distanza di tempo, ha capito le motivazioni di queste strane dimenticanze dell’ispettore. E’ emerso infatti che Rocco Francesco Silvestri è il marito dell’avvocato Maria Karen Garrini, che difende la D’Apolito e la Foggetti, e pertanto, non dichiarando la parentela e producendo una relazione farlocca e una serie di verbali palesemente falsi, è incorso nel reato di dichiarazioni false e in un pacchiano abuso d’ufficio. La Bartolomeo, venuta a conoscenza del legame di parentela, ha presentato un esposto-denuncia contro l’ispettore Rocco Francesco Silvestri e l’avvocato Maria Karen Garrini, con il quale è stata chiesta la modifica dell’imputazione da minacce in concorso con più persone a tentato omicidio.

Il presidente della Corte, giudice Urania Granata, in particolare, ha disposto nell’udienza di venerdì scorso 14 luglio l’acquisizione dei verbali falsi della squadra mobile della questura di Cosenza firmati dall’ispettore Silvestri e delle lettere minacciose di Maria Grazia Foggetti inviate al padre Vincenzo che di trovava nel carcere di Castrovillari, dalle quali si capivano molto bene le intenzioni della famiglia contro la Bartolomeo. Così come aveva richiesto il pm Vittoria Perrone.

In apertura di udienza ha testimoniato il maresciallo dei carabinieri di Rende Portulano, che ha raccolto la prima denuncia di Miriam Bartolomeo e naturalmente ha preso visione della documentazione allegata. Dal cd nel quale un testimone conferma che i Foggetti volevano farle del male alla telefonata di Edyta Kopaczinska, clamorosamente omessa dall’ispettore Silvestri, e che è stata poi trascritta dal perito Zengaro, nominato dalla stessa Bartolomeo. 

L’avvocato Maria Karen Garrini ha “digerito” decisamente male il colpo di scena che le ha scompaginato i “piani” e incredibilmente ha deciso di non astenersi e di continuare a difendere le imputate nonostante il clamoroso smacco subito. Il maresciallo Portulano, con calma olimpica e senza cadere nelle provocazioni dell’avvocato, ha snocciolato fatti e circostanze senza darle la possibilità di replicare e mettendola ancora di più alla berlina.

La Garrini poi ha rimediato una figura ancora più barbina quando ha interrogato Miriam Bartolomeo, incorrendo più volte nei richiami della presidente della Corte, che in sostanza le ha rigettato tutte le domande provocatorie che avrebbe voluto porre alla donna che scoprendo la sua imbarazzante parentela l’ha ridotta sostanzialmente in mutande. Decisamente deliranti le sue dichiarazioni secondo le quali il marito ispettore non avrebbe firmato nessuna relazione, attribuendola invece ai… carabinieri. Una falsità talmente evidente che il pm Vittoria Perrone si è vista quasi costretta a produrre al giudice la relazione firmata dal marito poliziotto.

L’avvocato di Miriam Bartolomeo, Antonio Ingrosso, ha avuto di conseguenza gioco facile nell’incassare l’acquisizione di tutte le prove accusatorie prodotte. La prossima udienza è prevista adesso per il 24 novembre. La Bartolomeo ha dichiarato che si riserva di denunciare l’avvocato Garrini al consiglio distrettuale disciplinare forense degli avvocati.

Detto, fatto. Miriam Bartolomeo ha presentato un esposto all’avvocato Maria Karen Garrini del Foro di Cosenza al Consiglio dell’Ordine degli avvocati bruzio. Di seguito, il testo. 

Miriam Bartolomeo, con il presente atto avanza formale esposto nei confronti dell’Avvocato Maria Karen Garrini, del Foro di Cosenza, per i fatti di seguito esplicati.

Le ragioni a sostegno del presente esposto a carico dell’avvocato Maria Karen Garrini risiedono nella condotta posta in essere in violazione dell’art.24 del Codice Deontologico Forense, omettendo di astenersi malgrado il manifesto conflitto di interessi gravante sulla stessa.

Preme alla scrivente rappresentare che nell’anno 2018 è stata vittima di gravissime minacce poste in essere da Prosperoso Giuseppe, Pavone Claudio, Foggetti Maria Grazia, D’Apolito Catiuscia e Parise Gianfranco. Le medesime condotte sono oggi sub iudice nel proc.pen. 380/2019 R.G.N.R. pendente davanti al Tribunale Ordinario di Cosenza.

A seguito di denuncia-querela contro i predetti cinque autori della condotta delittuosa, la scrivente forniva quattro (4) files audio alla A.G. e quindi alla P.G. delegata e nella specie al Vice Ispettore Silvestri Rocco Francesco, ufficiale di P.G. operante presso la Squadra Mobile di Cosenza.

Occorre precisare che il predetto Vice Ispettore Silvestri Rocco Francesco è coniugato e convivente con l’avvocato Maria Karen Garrini, che assiste Foggetti Maria Grazia e D’Apolito Catiuscia imputate nel processo penale generato dalla denuncia sopra citata ossia il proc.pen. 380/2019 R.G.N.R.

Ciò detto, preme alla scrivente rappresentare che durante il processo penale a carico di Prosperoso Giuseppe, Pavone Claudio e Parise Gianfranco, definito con rito abbreviato, è emersa la condotta infedele del Vice Ispettore Silvestri Rocco Francesco, il quale seppur incaricato di trascrivere integralmente i quattro (4) files audio consegnati da chi scrive alla P.G. delegata, abusando del proprio ruolo ed omettendo atti imposti dal proprio ufficio, arbitrariamente –senza che nessuno glielo chiedesse- selezionava gli audio contenuti nei files preferendone alcuni e così mitigando le fonti di prova a carico delle imputate Foggetti Maria Grazia e D’Apolito Catiuscia.

La scrivente ha già provveduto a denunciare la condotta delittuosa del Vice Ispettore Silvestri, e pertanto pende proc. pen. 2171/2023 R.G.N.R a carico di questi per violazione degli artt.323 c.p. e 328 c.p.

Ciò detto, all’udienza del 14.7.u.s. la sottoscritta rappresentava all’A.G. giudicante il conflitto di interessi gravante sull’Avvocato Garrini e pertanto la evidente opportunità che la stessa, in conformità ai canoni deontologici, abbandonasse prontamente la difesa delle imputate Foggetti Maria Grazia e D’Apolito Catiuscia.

Si tenga presente che il Silvestri con la propria condotta delittuosa ha certamente condizionato l’esito del processo penale con rito ordinario 380/2019 R.G.N.R. -definito con sentenza assolutoria ex art.530, comma 2 c.p.p. – contribuendo senz’altro a rendere la prova manchevole, insufficiente o contraddittoria.

Orbene, la condotta dell’Avvocato Maria Karen Garrini integra senza dubbio la fattispecie prevista dall’art.24 del codice deontologico forense poiché

<<Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 c.d.f. (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico>>.

Appare ridondante rammentare che l’illecito disciplinare “è un illecito di pericolo, quindi l’asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell’illecito contestato.” (C.N.F. sentenza del 29 luglio 2016, n. 265)

Appare doveroso richiamare recenti arresti del CNF su vicende integranti fattispecie  di cui all’art.24 del Codice Deontologico Forense.

Recentemente il COA di Massa Carrara chiede di sapere se sussistano profili di conflitto di interesse per l’avvocato che, dopo aver svolto l’incarico di amministratore di sostegno assuma, dopo la morte dell’amministrato, la difesa di uno dei suoi figli nella controversia ereditaria che questi intenda avviare nei confronti dei fratelli.

La risposta è resa nei termini seguenti.

L’articolo 24, comma 1, del codice deontologico, dispone che “L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale”. Il successivo terzo comma integra la previsione generale disponendo che: “Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico”. Nel caso di specie, per come prospettato dal quesito sembrerebbero sussistere – almeno in astratto – alcuni dei profili del conflitto di interessi disciplinato dall’articolo 24, comma 3. È ben possibile infatti che, nel corso dell’incarico come amministratore di sostegno, l’avvocato sia venuto in possesso di informazioni – anche relative ad affari delle controparti – che possano limitare la sua indipendenza nell’esercizio del mandato. Si ricorda, in ogni caso, che secondo la costante giurisprudenza domestica e di legittimità “il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale (art. 24 cdf, già art. 37 codice previgente) risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato ma, altresì, alla loro apparenza (in quanto l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell’immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale” (così CNF, sent. n. 174/2022). Valuti dunque il COA, anche alla luce delle circostanze del caso – e, in particolare, considerato il rilievo della natura anche solo potenziale del conflitto e alla luce dell’eventuale esistenza, tra le ragioni del conferimento dell’incarico di amministratore di sostegno all’avvocato, di conflitti tra i fratelli – la possibilità di declinare in concreto i principi sin qui evocati”.

Consiglio nazionale forense, parere 24 marzo 2023, n. 10

Inoltre,  viola l’art. 24 c.d.f. la condotta dell’avvocato che non garantisca la propria terzietà ed indipendenza, anche se l’esistenza di un conflitto di interessi sia solo apparente o potenziale, nello svolgimento della propria attività professionale, in particolare se in astratto possono essere presunti condizionamenti dovuti a rapporti di tipo personale.

È stato richiesto parere riguardo alla insorgenza di un possibile conflitto di interessi per l’avvocato che assiste due clienti, di cui uno è il proprio genitore; i clienti hanno posizioni diverse e non in conflitto, tuttavia, il proprio genitore, commercialista dell’altra cliente, vanta un credito nei confronti di questa e potrebbe agire giudizialmente per il relativo soddisfacimento. L’avvocato non assisterebbe la cliente in un’eventuale giudizio promosso dal genitore e chiede altresì se, ritenuta sussistente una ipotesi di conflitto di interessi, sia sufficiente per eliminare il conflitto rinunciare ad ogni mandato ricevuto dal proprio genitore.

Viene in rilievo l’art. 24 del Codice deontologico forense (c.d.f.), il quale stabilisce che:

“1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

  1. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.
  2. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.
  3. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.
  4. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.
  5. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

Tali principi sono stati messi in evidenza dal Consiglio Nazionale Forense nelle proprie sentenze, dove si è sottolineato che l’avvocato deve garantire l’assoluta terzietà, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, nell’espletamento della professione.

Così il C.N.F. nella sentenza n. 182 del 17 dicembre 2018 (vd. anche sentenza del 12 luglio 2016,  n. 186):

Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 c.d.f. (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico”.

La ratio dell’art. 24 c.d.f. è, per il Consiglio Nazionale forense, quella di “evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato e, quindi, perché si verifichi l’illecito, è sufficiente che potenzialmente l’opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte.”

In particolare, la sentenza in questione nell’individuare la natura giuridica dell’illecito disciplinare in materia di conflitto di interessi fa riferimento alle categorie del diritto penale, affermando che l’illecito disciplinare “è un illecito di pericolo, quindi l’asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell’illecito contestato. “(C.N.F. sentenza del 29 luglio 2016, n. 265)

In altre parole, le situazioni personali (quali i rapporti familiari) o gli atteggiamenti del professionista che, anche solo astrattamente, possano implicare un conflitto di interesse, violano il codice deontologico.

<<E’ pur vero che nella vicenda in esame le posizioni dei clienti appaiono totalmente indipendenti tra loro; le circostanze concrete, la natura dei rispettivi incarichi professionali e, in particolare, l’esistenza di stretti rapporti familiari devono tuttavia indurre il professionista ad assumere un atteggiamento prudente e valutare eventuali ragioni di opportunità nell’assumere o mantenere incarichi professionali.

Alla luce di quanto sopra, appare irrilevante, ai fini di escludere l’astratta configurabilità di un conflitto di interessi. L’eventuale rinuncia dei mandati ricevuti dal cliente–padre, visto che uno dei punti centrali della questione pare proprio essere il rapporto di parentela. 

Viola l’art. 24 c.d.f. la condotta dell’avvocato che non garantisca la propria terzietà ed indipendenza, anche se l’esistenza di un conflitto di interessi sia solo apparente o potenziale, nello svolgimento della propria attività professionale, in particolare se in astratto possono essere presunti condizionamenti dovuti a rapporti di tipo personale.>>.

Tutto quanto sopra evidenziato, la scrivente

CHIEDE

che la condotta dell’Avvocato Garrini Maria Karen sia censurata sottoposta a scrutinio disciplinare attraverso l’avvio di apposito procedimento finalizzato a rilevare la violazione dell’art.24 C.D.F., o di altri canoni deontologici, che l’organo giudicante ravviserà, adottare ogni iniziativa disciplinare come previsto dal più volte richiamato C.D.F.