di Franco Panno
Giocavamo nel cortile, come al solito, di questi periodi, la scuola era appena finita. Avevamo tre mesi di spensieratezza davanti, la scuola ricominciava ad ottobre, cosi’ come il campionato di calcio.
Correvamo dietro un Supersantos, il pallone ufficiale di più di una generazione. La regola era, se si bucava, lo si ricomprava tutti insieme. Capitava spesso. Il problema era trovare i soldi della recompra. Giocavamo nel cortile, a portata d’occhio delle nostre Mamme, eravamo troppo piccoli per giocare al campetto. Le partite erano spesso interrotte da secchi d’acqua e da invettive che lanciavano le Signore che avevano appena steso i panni. Si sospendeva per un po’, si ricominciava. Ogni tanto si affacciava un anziano sarto, che minaccioso diceva: “Uno di questi giorni ve lo buco questo pallone…” Non lo fece mai. Guardava di nascosto le nostre partite, si divertiva. Ogni tanto mi chiamava, “Ehi, Di Stefano mi compreresti le sigarette?”
Non me lo facevo ripetere due volte, il resto, in caramelle, era mio. Piuttosto mi era ignota l’identita’ di Di Stefano.
Chiesi a mio padre, mi disse che era il più grande calciatore di sempre. Intanto il buco alla saracinesca diventava un cratere. Passava Bruno, portava le spese a domicilio, lavorava in un minimarket. Guardava con malinconia la nostra spensieratezza. Più di una volta, gli facemmo battere un rigore, un tentativo di farlo sentire uno di noi. Ricordo Tony, che prima delle partite, intonava la sigla dell’Eurovisione. Era l’estate del ’74, cominciavano i mondiali di Germania. Dalle prime battute, ognuno si scelse il suo eroe. Io diventai Housemann, un fuoriclasse che fece ammattire in blocco la difesa della nazionale italiana.
Correvamo dietro un Supersantos. Non avevamo bisogno d’altro. Solo di un sorso d’acqua fresca, alla fontanella vicina, per ricominciare.
Windows of the world, Burt Bacharach
Buongiorno