Visto e considerato che c’è ancora qualcuno che continua a ripetere che all’Azienda Ospedaliera di Cosenza sono stati raggiunti risultati “importanti”, forse è il caso di rinfrescargli la memoria.
Giornate da incubo al Pronto soccorso dell’ospedale di Cosenza. Sono un medico, sorvolo sul caso clinico che potrebbe interessare soltanto agli addetti ai lavori e descrivo le condizioni socio-sanitarie del Pronto soccorso di Cosenza, note alla stragrande maggioranza dei cosentini, ma che con assurda ed incomprensibile rassegnazione sono accettate, perpetuando lo stato di cose.
Cari concittadini, se vogliamo migliorare la nostra Calabria, non possiamo restare inermi di fronte ai disservizi e ai comportamenti non rispettosi della nostra persona, o addirittura nocivi. È una sanità indegna di un paese civile: quando un’anziana donna giunta in un Pronto soccorso per abbondante rettorragia, dopo 30 ore non riceve diagnosi né terapia, ma ci si limita a valutare, su ripetute richieste dei familiari, i parametri vitali affinché non ci scappi il morto e non s’incorra in questioni legali, che cosa possiamo dire se non che non siamo in un paese civile?
Sì, nel Pronto soccorso di Cosenza, si affrontano con notevole impegno soltanto “i codici rossi”, gli altri pazienti sono tenuti per giorni senza diagnosi, né terapie, molto spesso i medici non si esprimono né per un ricovero in un reparto né per un’eventuale dimissione (fa comodo non assumersi responsabilità).
Oggi, dopo un’interminabile attesa da parte della mia paziente, a me cara, decido definitivamente d’assumermi la responsabilità di curarla a casa e di farle fare privatamente i dovuti accertamenti ad iniziare da un semplice emocromo, che è stato eseguito in un laboratorio privato, nel tragitto del ritorno a casa.
Mi chiedo: se la paziente non avesse potuto contare su un parente medico e se non avesse potuto disporre di somme di denaro per fare privatamente, ciò che la sanità pubblica avrebbe dovuto offrirle, a quale supplizio sarebbe stata ancora sottoposta?
Il Pronto soccorso è un lazzaretto, i pazienti con “codice verde” sono sottoposti ad attese estenuanti e, senza alcun rispetto per la dignità umana, vengono tenuti nei corridoi anche per più giorni, trascurati dal personale sanitario. I parenti, dopo ore che non vedono al capezzale dell’ammalato alcun medico, nei casi migliori vanno ad invocare l’intervento di qualcuno, in tanti altri casi, qualcuno più impaziente, minaccia : “a chissu oi u mignu” e si assiste a litigi tra personale sanitario ed utenti.
Le condizioni igieniche sono scarsissime; l’odore d’urina è diffuso nell’ambiente, i pazienti sono trasportati da una stanza all’altra con pannoloni, catetere e mutande in bella vista! La cosa più grave di tutte è lo stress che manifestano gli operatori durante l’esercizio dei loro compiti. Sì vedono: volti tirati, ansiosi, personale che va da una parte all’altra lamentandosi continuamente, pronunciando la tipica frase: “non si può continuare in questo modo”… come può un paziente affidarsi tranquillamente alle cure di questi sanitari, in questo clima di tensione? È vero, il personale è insufficiente, ma gli operatori presenti non hanno alcuna organizzazione, a chi tocca intervenire? Che faccia presto, perché la situazione è insostenibile. Siamo arrivati al punto che molti pazienti rischiano il peggio pur di non recarsi nel Pronto soccorso, luogo di sofferenze indicibili. I miei pazienti mi dicono: la supplico, mi faccia lei qualcosa, non mi faccia andare al Pronto soccorso!
Lettera firmata