Cosenza. I dubbi sulla scultura di Boccioni esposta a Palazzo Arnone: è una copia del 2011?

I dubbi sulla scultura di Boccioni esposta a Palazzo Arnone: è una copia del 2011?

di Francesca Canino

Fonte: Stampalibera

Su “Il Fatto Quotidiano” del 16 luglio scorso è apparso un articolo dal titolo “Il Boccioni dubbio non va a Roma ma resta a Cosenza”. E continua così: “Il Ministero della Cultura, per la mostra sul Futurismo prevista a ottobre allo Gnam (Galleria Nazionale Arte Moderna), non esporrà più la celebre scultura: ora non sono sicuri di chi sia”. Si tratta della scultura “Forme uniche della continuità nello spazio” di Umberto Boccioni che si trova nelle collezioni del Ministero della Cultura, esposta alla Galleria Nazionale di Cosenza. C’è una indagine in corso per capire “cosa sia”.

Nel numero 10 di Stampalibera dello scorso ottobre, sollevammo il problema con un articolo dal titolo “Il bronzo ‘di Boccioni’ una copia del 2011 o una replica del 1971?”. Il bronzo non sarebbe quello vincolato nel 2013 come una delle repliche fuse nel 1971-72. È stato, tuttavia, prestato a Bottega Veneta nel febbraio 2023 in occasione della sfilata “Winter 2023”. È emerso che l’ammontare del valore assicurativo del bronzo, un semplice multiplo contemporaneo, è pari a 4,2 milioni. Cifra alquanto strana, considerato che nel 2018 la scultura era assicurata per 800.000 euro. La verifica autoptica del manufatto ha consentito di leggere sulla base le grossolane incisioni 2/6 e 1912–2011, nonché la marca di fusione “Realizzazioni SRL”.

Tali diciture sono leggermente diverse da quelle riportate nel Condition Report, ovvero la scheda di prestito compilata dal personale della Galleria prima del trasferimento a Milano, dove persino il titolo della scultura è impreciso. Nella scheda di prestito si legge, infatti, alla voce Datazione, che il bronzo trasferito per qualche giorno a Milano, chiamato erroneamente “Forme uniche nella continuità dello spazio” invece che “Forme Uniche della continuità nello spazio”, sarebbe la copia n. 2 delle 6 eseguite nel 2011 a valle dell’accordo Bruni Allen-Bilotti. Non, dunque, una delle repliche fuse nel 197172. E un multiplo, tanto più se del 2011, non ha titolo per essere assoggettato a vincolo ex D. Lgs. 42/2004, specialmente ai sensi dell’art. 10, c. 3, lett. a). La lettera a è infatti riservata agli originali (con più di settant’anni) o alle opere qualificabili come uniche. Il vincolo, apposto con DDR n. 77 del 15 maggio 2013, firmato dall’allora Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria, arch. F. Prosperetti, perciò, è di fatto nullo.

Nella Relazione storico-artistica associata alla notifica si legge che: “…Dalla terracotta del Boccioni prima di andare distrutta ad opera dello stesso artista, era stato realizzato un calco in gesso patinato in possesso di Filippo Tommaso Marinetti, oggi custodito in Brasile, al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo e, negli anni Quaranta del secolo scorso, dallo stesso calco vennero realizzate altre cinque fusioni non numerate, oggi conservate a New York, Milano e Londra. Successivamente, nel 1972 il Conte Marinotti concordava con Claudio Bruni la realizzazione dalla propria scultura, l’unica completa di base, di una nuova tiratura di altri otto esemplari, numerati da uno a otto e di due “prove”, prive di sigle o alcun numero, una delle quali è appunto la scultura in esame. L’opera, già di Claudio Bruni ed ereditata da Stanley John Allen, fu donata alla collezione di Carlo F. Bilotti di Long Beach con l’intento di realizzare una nuova tiratura di altri sei esemplari in bronzo, ed ereditata poi dal nipote Roberto Bilotti”».

In sintesi, la scultura descritta nel DDR Calabria n. 77 del 2013 che ne riconosce l’interesse culturale particolare non coincide con la scultura esposta a Palazzo Arnone. L’opera esposta non è quella vincolata. Nel 2017, la Galleria nazionale, dunque lo Stato, ne ha tuttavia accettato la donazione. Non si sa bene, ora, ‘cosa’ la Direzione Regionale Musei e la Direzione Generale Musei abbiano prestato a Bottega Veneta, né perché le sia stato attribuito un valore di 4,2 milioni di euro. Com’è possibile che il valore di una delle sei fusioni risalenti ad appena dodici anni fa, e sempre che si tratti di una di quelle (dato l’errore cronologico: 1912 invece che 1913), a rigore inversamente proporzionale al numero delle repliche, aumenti a dismisura (invece di diminuire) per iniziativa di un ufficio del Ministero della Cultura? Non si sa nemmeno perché Bottega Veneta l’abbia esposta in cambio di un contributo di 2000 euro al giorno più “la disponibilità ad una sponsorizzazione tecnica” di cui sembra essersi persa traccia.

“Il Fatto Quotidiano” continua riportando che «… nel caso Bilotti d’Aragona si sarebbe intascato un Boccioni vincolato per poi rifilarne un altro a Cosenza. Ma non lo dice chiaramente. “Io me la riprendo, se lo Stato non la vuole – spiega Bilotti – il vincolo è stato scritto male, ma la statua quella è, io so cos’ho donato: è la 2/6 della tiratura autorizzata dagli eredi, quella vincolata”». Sicuro? In attesa di avere certezze, ricordiamo anche il mistero che avvolge la Cariatide esposta su corso Mazzini, altra donazione del Bilotti. Non si sa, infatti, a quale serie appartenga il multiplo esposto dal 2015 sul corso, realizzato nella fonderia Paolo Olmeda, ma privo di numero di serie. I difetti di fusione evidenti nel volto della Cariatide e la politura non altrettanto perfetta sembrano anch’essi confermare, al confronto con le immagini della Testa inaugurata in Sant’Ivo alla Sapienza il 14 novembre 2006, che si tratta di tirature diverse. Ora, sarebbe d’obbligo fare una indagine su tutte le cosiddette donazioni del Mab. Sul punto è apparso un ampio servizio sul numero 32 di Stampalibera del 13 aprile scorso.