La notizia annunciata dal presidentissimo del Napoli De Laurentiis dell’ingaggio del direttore sportivo cosentino Mauro Meluso inorgoglisce giustamente tutta la Cosenza sportiva che ha avuto modo di conoscerlo a fondo negli anni. Sia quando muoveva i suoi primi passi da calciatore “bambino prodigio” con la Panebianco di Attilio Granata e Santino Palermo e con il Rende, sia quando, da direttore sportivo, nell’anno di grazia 2014, è ritornato nella sua città da direttore sportivo.
Il Cosenza Calcio e tutto ciò che gli gira intorno stavano dando vita ad una farsa che indispettiva ogni giorno che passava, E l’aspetto più irritante era che tutti eravamo perfettamente consapevoli (noi compresi, ci mancherebbe) di essere in balia – allora come oggi beninteso – di un personaggio che andrebbe analizzato a fondo per capire quanto sia quasi patologico nelle sue pratiche quotidiane legate al Cosenza Calcio, visto e considerato che non osiamo pensare a quelle professionali o peggio ancora personali.
Eppure, in 12 anni di guida del Cosenza Calcio, praticamente tutta la città , in qualche modo, ha avuto a che farci. Ci sarebbe da stilare un elenco lunghissimo di tutte le tragicommedie alle quali abbiamo assistito in questo lungo decennio, comprese quelle – incredibili e che passeranno comunque agli annali di questa gloriosa società – della promozione in B vincendo ai playoff e della miracolose salvezze delle stagioni successive, compresa quella conquistata grazie all’esclusione del Chievo Verona.
Solo per restare all’area tecnica potremmo scrivere un romanzo sulle vicende che hanno caratterizzato le due stagioni nelle quali c’erano Stefano Fiore e Aristide Leonetti. Erano gli anni in cui l’amministratore delegato, l’avvocato Domenico Quaglio (per ironia della sorte arrestato proprio oggi dalla Procura di Catanzaro) faceva da parafulmine al patron in maniera così totale da far credere che fosse veramente lui l’anima nera della società . In realtà , Quaglio era solo l’altra faccia di Guarascio stesso, geniale a suo modo nell’individuare il personaggio giusto per recitare la parte del suo mister Hyde nascosto. Quaglio aveva alzato bandiera bianca quando il patron aveva confermato Cappellacci nel primo campionato di Serie C: non gliel’ha proprio perdonata. E così, al posto dell’amministratore delegato doveva subentrare un’altra vittima sacrificale, che a questo punto non poteva che essere il direttore sportivo.
A cantare e portare la croce allora è stato Mauro Meluso, che ha combattuto a lungo con il bipolarismo guarasciano dando vita ad estenuanti tira e molla che trovarono il loro epilogo nell’addio del diesse, immediatamente additato a traditore della patria perché si era portato dietro qualcuno dei giocatori che tra l’altro aveva portato lui a Cosenza come Andrea Arrigoni, Simone Ciancio, Luca Fiordilino e Antonio Vutov.Â
In realtà , Meluso era stato eroico nel resistere due anni ai budget fantasmagorici del faccendiere di Parenti passando da Cappellacci, a Roselli e infine a De Angelis con una squadra che non era attrezzata per vincere il campionato non certo per colpa sua. E che bene o male era anche riuscita a vincere una Coppa Italia di Lega Pro con una rosa non certo da categoria superiore. Era stato lui a portare in rossoblù La Mantia, che poi sarebbe stato lasciato andare via in maniera sciagurata, ma anche Tedeschi, Pinna, il buon Caccetta, Statella e Arrighini. Oltre ai quattro citati prima, che poi lo seguirono a Lecce.
Anche Meluso, come prima Stefano Fiore e Ciccio Marino, avevano fatto di tutto per convincere Guarascio a curare il settore giovanile, dando una “casa” al vivaio per valorizzare i talenti cosentini, ma senza successo come i suoi predecessori. E in ogni caso era stato proprio Meluso a proiettare nel giro della prima squadra tre ottimi profili locali come Andrea Gaudio, Omar Grosso e Antonio Bilotta.Â
In tanti dovrebbero chiedere scusa a Meluso per il trattamento che gli è stato riservato e fomentato dal patron. Il diesse cosentino tuttavia da quando ha lasciato Cosenza ha poi conquistato due promozioni in Serie B e in Serie A col Lecce, poi è diventato il capo dell’area tecnica di una società come lo Spezia, che ha centrato una salvezza miracolosa nella stagione 2020-21 prima di restare fermo per qualche tempo ai box ma aggiornandosi e aspettando pazientemente il progetto giusto, quello di Napoli. E tutto questo non può che aumentare a Cosenza i rimpianti per quello che poteva essere se ci fosse stato un presidente appena all’altezza del suo ruolo.