Un aspetto che richiede una seria e approfondita riflessione, nel caso del rapimento lampo della piccola Sofia a Cosenza, riguarda la gestione e la diffusione di tutto il materiale probatorio legato alle indagini. Dal rapimento della piccola Sofia abbiamo tutti, chi più chi meno, chi con più attenzione, chi con meno, partecipato alla caccia sfrenata del particolare pruriginoso da sbattere in prima pagina, materiale che attira gli spettatori e i lettori come il miele attira l’orso, scrivendo e pubblicando di tutto. Era dai tempi del tragico omicidio della piccola Sarah Scazzi che l’opinione pubblica non si appassionava così a un caso. E quando la passione morbosa imperversa, il che, tradotto in termini di comunicazione, significa grandi ascolti, ecco che arriva il famigerato circo mediatico: frotte di giornalisti alla ricerca spasmodica di una notizia inedita da raccontare. E avere le fonti giuste, in questi casi, fa la differenza. La concorrenza è spietata. Vince chi riesce ad arrivare per primo alla notizia che nessun altro ha. E le fonti da cui attingere notizie non possono che essere gli investigatori, gli unici in possesso di materiale e informazioni di prima mano.
Come avviene in questi casi, qualche investigatore ha capito subito che da questa storia avrebbe potuto trarre un qualche vantaggio, offrendo l’esclusiva delle notizie al miglior offerente. Così, mentre i cronisti locali si affannavano a reperire informazioni, sempre qualcuno, vista la straordinaria mediaticità del caso, ha pensato bene di sfruttare l’occasione per barattare materiale oggetto di indagine con i giganti dell’informazione mainstream in cambio di visibilità. Infatti, diverse conversazioni e chat contenute all’interno del telefonino e del pc di Rosa – materiale sequestrato, tuttora al vaglio degli inquirenti e coperto dal segreto istruttorio – sono state diffuse su giornali e Tg nazionali. Tutti abbiamo ascoltato gli audio di Rosa trasmessi dal Tg5, in cui racconta al marito la nascita di Ansel e i problemi del bimbo infettato dal Covid. Materiale che è contenuto per forza nell’informativa che il questore e il capo della mobile hanno redatto sul caso, quindi ad uso esclusivo degli inquirenti. E allora, la prima domanda è: come è stato possibile che informazioni protette, ancora al centro delle indagini, siano trapelate e siano state utilizzate per alimentare un’informazione sensazionalistica? E poi: chi ha permesso che questi documenti riservati fossero diffusi?
Questo aspetto non solo evidenzia, ancora una volta, la disparità di trattamento tra i poveri cronisti di provincia e i giornalisti dei grandi network, che sembrano beneficiare, a differenza dei primi, di un accesso privilegiato a materiali delicati, ma pone anche un serio problema di una evidente fuga di notizie. Una consuetudine a cui la questura di Cosenza non è nuova.
Del resto, dagli uffici della questura è già uscito di tutto: informative, soffiate, avvertimenti, depistaggi. E anche questa volta la fuga di materiale probatorio coperto dal segreto istruttorio è arrivata puntuale. E non poteva che essere così. Dopo il lieto fine – per fortuna – di questa drammatica vicenda, e dopo i tantissimi complimenti arrivati da tutte le parti, Meloni compresa, non cavalcare l’onda del successo per accelerare la tanto attesa promozione sarebbe stata, sempre per quel qualcuno, un’occasione persa. Perché di occasioni così non ne capitano tante nella vita professionale di un poliziotto.
Il rapimento di una neonata risolto brillantemente in poche ore, con la giusta visibilità, può fare di un poliziotto un eroe nazionale. Ma bisogna avere a che fare con giornalisti di un “certo livello” e non certo con un povero cronista di provincia. Ancora di più in questa storia, dove è sempre più chiaro che questore e capo della mobile si sono appuntati medaglie al petto per un’azione che, tutto sommato, si è risolta rapidamente perché priva di connotati criminali.
È bastato visionare le telecamere di sorveglianza, che hanno inquadrato l’auto di Moses e Rosa, per indirizzare gli investigatori a colpo sicuro dritti alla loro abitazione. Senza l’enfasi giornalistica sulla loro rapida azione investigativa, i due non sarebbero gli eroi di questa vicenda. Resta però il fatto che una talpa ha fornito materiale probatorio a giornali e Tv nazionali ancora al vaglio degli inquirenti e questo, anche se ai più potrebbe sembrare roba di poco conto, visto che si tratta di una “ladra di bambini”, è un reato che va perseguito. Ma come sempre tutto finirà a tarallucci e vino, perché, in fondo, non hanno fatto niente di male se non cogliere un’occasione che tutti avrebbero colto. E aver colto questa occasione, che tutti vorremmo avere, non può essere una colpa. Anche perché, si sa: è l’occasione che fa l’uomo talpa… e un’occasione come questa quando gli ricapita più?