COSENZA, IL PRONTO SOCCORSO CHE “RIFIUTA” I CODICI MINORI
Ed ecco che, puntuale come un orologio, qualche addetto ai lavori, forse “punto” un po’ troppo dal nostro articolo sulla gestione delle ambulanze del 118, ci fornisce qualche risposta inaspettata, puntando i riflettori sulla gestione del Pronto Soccorso Cosentino più che sulle ambulanze.
La decisione di deviare i pazienti “non urgenti” verso altri ospedali, infatti, pare sia nata (o meglio riesumata) da un verbale di qualche anno fa. Era il lontano 12 settembre 2023 e, tra le mura dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, si teneva una riunione che — col senno di poi — spiega molto bene perché oggi al Pronto soccorso dell’Annunziata si entra solo se si sta morendo.
Il verbale di quella riunione, firmato dagli allora dirigenti ospedalieri, 118 e ASP di Cosenza, parlava di “Gestione del sovraffollamento – Incontro per la gestione condivisa dei pazienti che afferiscono al Pronto Soccorso dell’Annunziata attraverso i mezzi di soccorso del 118 e del terzo settore.”
Già il titolo è tutto un programma: il sovraffollamento è il male da combattere. Ma come? Non con più personale, più medici, più posti letto, o più ambulanze. No. L’idea geniale è un’altra: spostare i pazienti altrove.
“SOVRAFFOLLAMENTO” O SCARICABARILE?
L’obiettivo è “garantire risposte tempestive, adeguate e ottimali, ai pazienti giunti in ospedale in modo non programmato”, e che “in una situazione in cui il normale funzionamento del Pronto Soccorso viene impedito dalla sproporzione tra la domanda sanitaria e le risorse disponibili, si parla di sovraffollamento.”
Fin qui tutto logico. Ma poi arriva il punto chiave. Si concorda un percorso da attuare in caso di sovraffollamento, nell’ipotesi in cui il paziente sia affetto da patologia con urgenza minore e quindi trasferibile d’accordo con la CO 118, presso altra sede ospedaliera territoriale per garantirne la continuità di cura e la salvaguardia della salute. Tradotto: se non sei grave, non ti curano lì — ti mandano altrove.
TRIAGE “VELOCE” E VISITE SOMMARIE
La procedura è esplicitata nero su bianco. In caso di sovraffollamento… uno dei medici del P.S. dovrà provvedere ad effettuare un veloce triage (documentandolo) ed una visita medica, o all’interno del Pronto soccorso o sull’ambulanza. “Veloce triage” significa una valutazione minima e accelerata, senza strumenti di approfondimento diagnostico. E “mezzo di soccorso dei volontari” significa che la decisione di trasferire il paziente può avvenire anche direttamente sull’ambulanza privata.
Risultato: i cosiddetti codici gialli e azzurri (cioè condizioni non critiche ma potenzialmente evolutive) vengono spostati su ambulanze non medicalizzate, affidate a soli soccorritori che non hanno né competenze cliniche, né coperture assicurative adeguate. Quindi non è il 118 a prendere autonomamente tali decisioni, ma è il medico di turno in P.S. che si carica della responsabilità di trasferire il paziente altrove.
IL “TERZO SETTORE” IN PRIMA LINEA… MA SENZA TUTELE
Si parla chiaramente del coinvolgimento del “terzo settore”, cioè delle associazioni private di soccorso. Ma si dimentica di dire che queste realtà non sono convenzionate, né tutelate. Le ambulanze private, infatti, operano spesso senza medico e senza infermiere a bordo. In caso di aggravamento del paziente durante il tragitto, chi risponde penalmente?
Il medico che ha disposto il trasferimento? Il 118 che lo ha coordinato? O il volontario che guida il mezzo? Nessuno lo chiarisce. E infatti nel verbale si scrive che si raccomanda di salvaguardare la continuità della cura, senza precisare chi la garantisce.
L’IPOCRISIA DEL “SOVRAFFOLLAMENTO”
In pratica, per risolvere il problema del sovraffollamento, si svuota il Pronto soccorso scaricando pazienti su altri ospedali già in difficoltà. Un gioco delle tre carte che sposta la pressione, ma non la risolve. Persino nello stesso verbale si ammette che il fenomeno del sovraffollamento può causare ripercussioni sul sistema di emergenza territoriale, determinando alterazioni e dirottamenti di ambulanze verso altri presidi. Cioè: il rimedio genera lo stesso problema che vuole curare.
CHI DECIDE QUANDO “BLOCCARE” IL PRONTO SOCCORSO?
Nel documento non è definito chi, come e quando può dichiarare il “sovraffollamento”. Nessun criterio oggettivo, nessuna soglia, nessuna procedura di verifica. Il rischio è che basti un ordine informale del “professoricchio” o del medico di turno per dirottare pazienti altrove, anche se potenzialmente gravi.
LA FACCIA PULITA DEL “NUOVO CORSO”
A oggi, la prassi descritta nel verbale è perfettamente coerente con ciò che avviene quotidianamente all’Annunziata: un pronto soccorso che accoglie solo i codici più gravi e respinge tutto il resto. Un sistema che fa bella figura sulle statistiche (“meno attese”, “meno barelle”, “meno caos”) ma scarica i malati sulle spalle di strutture periferiche allo stremo. Come se bastasse spazzare la polvere sotto il tappeto per dire che la casa è pulita.
LE CRITICITÀ ISTITUZIONALIZZATE
1. Triage sommario → rischio di sottovalutazione clinica.
2. Trasferimenti non medicalizzati → possibile aggravamento durante il tragitto.
3. Catena di responsabilità confusa → rischio legale per medici e volontari.
4. Coinvolgimento del “terzo settore” senza convenzioni → lavoro precario e scoperto.
5. Assenza di criteri oggettivi per i dirottamenti → decisioni arbitrarie.
6. Logica di facciata → il problema resta, solo spostato altrove.
Come se bastasse spazzare la polvere sotto il tappeto per dire che la casa è pulita.









