dal blog di Stefano Nazzi, giornalista del settimanale “Gente”
Fonte: (https://www.ilpost.it/stefanonazzi/2010/04/21/il-macabro-ospedale-di-serra-daiello/)
Sarà anche un luogo comune la frase che dice che la realtà supera la fantasia, però a volte è vero. A volte, tanto luogo comune non è. A Serra d’Aiello sembra di essere sul set di un filmaccio (o di un filmone, fate voi). Sono successe cose strane e brutte in quel posto.
Serra d’Aiello è un paese piccolo, in Calabria, Amantea non è lontana, la provincia è quella di Cosenza. Ci vivono 764 persone. E’ diventato un posto famoso anni fa per via di un ospedale per lungodegenti, l’istituto Papa Giovanni XXIII. C’erano, nei tempi d’oro, 900 pazienti; ci lavoravano duemila persone, il triplo della popolazione del paese. Si scoprì che gli amministratori, il direttore era un prete quarantenne, don Alfredo Luberto, rubavano alla grande. I pazienti, quasi tutti malati psichici, vivevano in condizioni disastrose, mancavano anche i soldi per le medicine. Lui don Luberto, se la passava invece parecchio bene: in casa aveva quadri e sculture pregiate, roba da collezione, si era fatto costruire una palestra e poi aveva questa fissa delle penne stilografiche Mont Blanc, continuava a comprarne. Si scoprì che dall’amministrazione dell’ospedale erano spariti 13 milioni di finanziamenti, 15 milioni di contributi dei dipendenti non erano mai stati pagati.
Il magistrato iniziò a indagare, ma era solo. Chiese di avere aiuti e finalmente arrivarono. Non si sa come, ma ai magistrati venne l’idea di andare a cercare nel piccolo cimitero di Serra d’Aiello. Forse fu una soffiata. O magari un’intuizione.

Ed è qui che la realtà supera la fantasia e si entra in un film. Vi ricordate Brubaker? E’ del 1980, Robert Redford è direttore di un carcere, fa scavare tutto intorno e trova un sacco di scheletri di detenuti che in teoria erano spariti nel nulla. Be’, quasi uguale. Nel cimitero i carabinieri hanno iniziato ad aprire loculi senza nome, quelli indicati dalla lettera X: significava che dentro ci doveva essere una sola tomba. Ne hanno aperte un bel po’. In alcuni loculi c’erano due tombe, in altri quattro cadaveri. In una addirittura otto. Cadaveri fantasma, senza nome, nessuno sa chi sono. O meglio, chi erano. Sui giornali locali si parla di Clinica degli orrori. Titoli scontati, è vero. Però la Papa Giovanni XXIII era davvero la clinica degli orrori.
A Serra d’Aiello, tra i 700 abitanti, sono arrivati i Ris, quelli di Messina. Fuori dal cimitero sono state piazzate grandi tende, uomini coperti da tute bianche hanno iniziato a fare avanti e indietro. Sono state riesumate 70 salme, poi le hanno portate a Messina. Lì il DNA viene comparato a quello dei familiari dei pazienti scomparsi dalla clinica. A qualcuno si arriverà a dare un nome, ad altri forse no. Perché ora i magistrati sospettano anche che quella che hanno chiamato “anarchia cimiteriale” sia stata sfruttata dalla ‘ndrangheta per seppellire i suoi morti, o le sue vittime. Gente che dove scomparire e rimanere senza nome.